mercoledì 13 luglio 2016

Predicazione di Domenica 5 Giugno 2016 su Efesini 2, 11-22 a cura di Marco Gisola

Efesini 2, 11-22

11 Perciò, ricordatevi che un tempo voi, stranieri di nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi, perché tali sono nella carne per mano d'uomo, voi, dico, 12 ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. 13 Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. 14 Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell'inimicizia, 15 la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace; 16 e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia. 17 Con la sua venuta ha annunciato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini; 18 perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito.
19 Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio. 20 Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, 21 sulla quale l'edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. 22 In lui voi pure entrate a far parte dell'edificio che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito.

Per un ebreo del tempo di Gesù, era difficile immaginarsi persone più diverse e più estranee che i pagani. Il fatto stesso che uno stesso termine – la parola pagani - venisse utilizzato per indicare tutti gli altri esseri umani, da qualunque luogo essi venissero, è già indice di quanto gli ebrei si sentivano diversi dagli altri, diversi perché scelti e chiamati da Dio fin dal tempo di Abramo.
Possiamo quindi immaginarci – ma solo immaginarci, non avendola vissuta – la rivoluzione che è accaduta a quegli ebrei che sono diventati cristiani, come l’apostolo Paolo, e che si sono trovati quasi subito fianco a fianco di altri cristiani come loro, ma diversissimi da loro, perché venivano dal paganesimo.
Uguali, ma diversi o - se preferite – diversi ma uguali, questa era la situazione che vivevano i primi cristiani, in parte proveniente dall’ebraismo, in parte dal paganesimo.
Nella lettera agli Efesini l’autore parla a cristiani ex-pagani e dice loro: «voi stranieri - cioè pagani - di nascita»; «ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo». Ma ora è venuto Gesù e tutto è cambiato: “Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione, [...] per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace; e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia”.
Gesù di due popoli ne ha fatto uno, ha abbattuto il muro di separazione, ha riconciliato i due popoli con Dio in un solo corpo, mediante la croce. La croce è il luogo dove, con Gesù, muore l'inimicizia tra ebrei e pagani. Parole forti, che esprimono un cambiamento profondissimo.
Qui Paolo parla della conversione dei pagani. Che cos’è dunque la conversione? In un certo linguaggio evangelico si dice che la conversione consiste nell’accettare Cristo. Ma questo brano biblico ci dice che la conversione non è il nostro accettare Gesù ma è l’azione di Dio che accetta noi in Cristo.
La conversione è il passaggio da una vita senza Cristo ad una vita con Cristo, o per usare un linguaggio più biblico, a una vita in Cristo.
Questa è la conversione, e i destinatari di questa lettera ne sono un esempio evidente: il cristianesimo era giunto a loro come un fenomeno completamente nuovo, che aveva aperto loro orizzonti completamente nuovi. Non l’avevano cercato, né l’avevano voluto, ma qualche apostolo aveva portato loro l’evangelo di Gesù Cristo e loro l’avevano creduto.
Questa è la conversione: il passaggio da una vita senza Cristo ad una vita in Cristo; e questo passaggio è opera di Dio, non dell’essere umano. Questo dovrebbe renderci attenti a due abusi della parola conversione che a volte sentiamo: la conversione, nella Bibbia, non è il passaggio da una chiesa cristiana ad un'altra, da un gruppo cristiano ad un altro: un cattolico che diventa protestante, un protestante che diventa ortodosso e così via, queste non sono conversioni, perché non è ad una chiesa che ci si converte, ma a Cristo.
E la conversione non è un’opera umana. Non siamo noi che ci convertiamo o che ci siamo convertiti. La conversione è opera di Dio che ti dona la fede in Gesù Cristo e ti chiama a seguirlo e a mettere in pratica la sua volontà. Non è una mia decisione, ma è l’azione di Dio in me e per me.
Come viene descritta qui, la conversione è il fatto che coloro che erano lontani sono stati avvicinati mediante il sangue di Cristo, cioè mediante la croce di Cristo.
Non c’è dunque soltanto una conversione dei pagani, ma anche una conversione degli ebrei. Sia i pagani, sia gli ebrei sono stati convertiti da Dio per mezzo della croce di Cristo, su cui è morta la loro inimicizia. I pagani hanno creduto in Cristo e hanno accettato di avere come compagni degli ebrei.
Lo stesso gli ebrei: hanno creduto in Cristo e hanno accettato di avere per compagni dei pagani, cosa che per molti di loro non era affatto facile e scontata. Anzi: è stata una faticosa rivoluzione spirituale e culturale.
Conseguenza della conversione è il fatto che essere stati ebrei o pagani, cosa che prima era centrale e creava inimicizia, dopo la conversione a Cristo passa in secondo piano: davanti a Dio non conta più ciò che si era, ma conta ciò che Dio ci ha fatti essere; non conta se si era ebrei o pagani, ma conta il fatto che in Cristo si è quello che è chiamato l’“uomo nuovo”.
E qui c’è una conseguenza sempre attuale della conversione: Dio mi accoglie e mi accetta attraverso il suo perdono, in Cristo, e io sono chiamato ad accettare e ad accogliere i fratelli e la sorella che Cristo ha chiamato e perdonato esattamente come me.
Pensiamo appunto alla situazione degli ebrei e dei pagani (o ex-ebrei e ex-pagani) che si trovano nelle stesse comunità cristiane, diversissimi per storia e provenienza, ma uguali in Cristo.
Della nostra conversione fa parte la chiamata ad accettare la sorella e il fratello che è cristiano come me, che probabilmente è diverso da me, a volte molto diverso da me, ma uguale a me in Cristo. Accettare la diversità dell’altro è parte integrante del mio diventare o del mio essere cristiano.
Perché non siamo noi a sceglierci gli uni gli altri, ma è Dio che sceglie tutti e tutte noi e ci mette fianco a fianco, come ha fatto con ebrei e pagani allora.
La nostra situazione è totalmente diversa da quella della prima generazione, ma questa sfida che fa parte della nostra vocazione, rimane uguale: accettare la diversità del fratello, della sorella in nome della uguaglianza che Cristo ha creato tra noi davanti a lui.
Per noi non si tratta di ebrei o pagani, ma lo stesso discorso vale per qualunque tipo di differenza e per qualunque credente: qualunque sia la provenienza religiosa, razziale, sociale, culturale, quello che conta è la conversione che Dio ha operato in ognuno, rendendo tutti un solo popolo e tutti uguali davanti a lui.
Se poi gli esseri umani mantengono le differenze che Dio ha cancellato, tra ricchi e poveri, tra bianche e neri, ecc. sono gli esseri umani che commettono un grave peccato e che hanno bisogno sempre di nuove conversioni.

Questo brano si conclude con la bella immagine dell’edificio, di cui ogni credente costituisce una parte e Cristo la pietra angolare. Edificio di cui fanno parte tutti i convertiti di cui si parlava prima, dove nessuno è straniero o ospite, ma tutti sono membri della famiglia di Dio.
Questo edificio ha due caratteristiche interessanti: innanzitutto è un edificio in costruzione, non è finito, più che un edificio completo è un cantiere in lavorazione, «si va innalzando per essere un tempio santo al Signore». L’opera di costruzione non finisce mai, perché l’opera di conversione di Dio non finisce mai.
Dio continua a chiamare discepole e discepoli instancabilmente, e ogni credente, ogni generazione di credenti partecipa alla composizione di questo edificio che si eleva verso l’alto. La meta finale sarà il regno di Dio, e finché questa meta non sarà raggiunta la costruzione continuerà ed ognuno farà la sua parte.
E la seconda caratteristica di questo edificio è che non è casa nostra; non siamo noi che ci stiamo costruendo una casa per noi: è Dio che costruisce la sua casa: questo edificio «ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito». Quest’immagine ci dice che Dio si sta costruendo una casa e i credenti sono i mattoni di questa casa; noi siamo i mattoni della casa di Dio, Dio si serve di noi per dimorare nel mondo.
Ma di nuovo è lui che agisce e noi siamo i suoi strumenti, strumenti che lui ha scelto ed ha onorato di essere «concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio» e suoi collaboratori nell’annunciare la pace di Cristo, che abbatte i muri e abolisce le inimicizie.
Che il Signore ci converta sempre di nuovo ogni giorno alla sua volontà e ci renda testimoni della sua pace, che non annulla le diversità, ma le trasfigura nell’uguaglianza di tutti davanti a lui. 

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