lunedì 13 febbraio 2017

Predicazione di domenica 12 febbraio su Luca 17,7-10 a cura di Marco Gisola, ricordando la concessione dei diritti ciili ai valdesi (17 febbraio 1848)

Luca 17,7-10
7 «Se uno di voi ha un servo che ara o bada alle pecore, gli dirà forse, quando quello torna a casa dai campi: "Vieni subito a metterti a tavola"? 8 Non gli dirà invece: "Preparami la cena, rimbòccati le vesti e servimi finché io abbia mangiato e bevuto, poi mangerai e berrai tu"? 9 Si ritiene forse obbligato verso quel servo perché ha fatto quello che gli era stato comandato? 10 Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: "Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare"».


Una parabola che sconcerta questa di Gesù, per l’immagine che usa e che è facile fraintendere. Può anche sembrare fuori luogo in questa domenica in cui ricordiamo la ricorrenza del XVII febbraio, ovvero la festa della libertà, che ricorda la concessione dei diritti civili ai valdesi nel lontano 1848. Celebriamo la libertà leggendo un testo che parla di servi? Ma non è una contraddizione? Su questo ci ritorniamo tra poco.
Partiamo dal testo. Come sappiamo, nelle sue parabole Gesù prende sempre spunto dalle cose che accadono intorno a sé, nel suo mondo e nella sua società. In questo caso prende spunto dal rapporto che c’era ai suoi tempi tra padroni e servitori. Ma sarebbe un errore trasformare questa parabola in un’allegoria; prendere questa parabola per allegoria vuol dire che noi sostituiamo Dio al padrone e noi al servo e la interpretiamo come se Gesù volesse dirci che Dio è il nostro padrone e noi siamo i suoi servi. Ma non è questo l’intento di Gesù. Gesù non vuole dirci che Dio è il nostro padrone e noi siamo i suoi servi e non vuole nemmeno dirci che Dio ci tratta in modo sprezzante come fa il padrone di questa parabola e come hanno spesso fatto tutti i padroni con i loro servi.
Attenzione però: il tema della parabola non è come Dio ci considera, ma come noi consideriamo noi stessi. Che cosa dice infatti Gesù dopo aver raccontato la parabola? Dice: «Così, anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è comandato, dite: “Noi siamo servi inutili; abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare”». Siamo noi che dobbiamo considerarci servi inutili, non è Dio che ci considera tali. Se Dio ci considerasse inutili non si sarebbe preso la pena di inviare suo figlio in mezzo a noi e farlo arrivare fino alla croce per la nostra salvezza. No, la parabola non è un giudizio di Dio su di noi, ma è un insegnamento su come noi dobbiamo considerare noi stessi. È una parabola che vuole insegnarci come considerare il nostro fare, le nostre opere. Gesù con l’immagine del servo, vuole sgombrare ogni dubbio: quello che fai nella tua vita da credente non lo fai per avere qualcosa in cambio.
Come dobbiamo valutare le nostre opere, il nostro agire? Per prima cosa - se vogliamo rimanere nell’immagine della parabola di Gesù - potremmo dire che ciò che facciamo è nostro dovere: «abbiamo fatto quello che eravamo in obbligo di fare». Gesù vuole dirci che nei confronti di Dio – se proprio vogliamo usare una metafora economica – non siamo creditori, ma siamo debitori. Siamo debitori di tutto: della vita – della nostra vita in senso biologico e di tutte le vite di cui siamo circondati, dagli affetti alle sorelle e ai fratelli, fino alla natura – siamo debitori della nuova vita, cioè della vita che viviamo nella fede.
Gli dobbiamo la salvezza, cioè il fatto che Gesù è venuto, è morto e risorto anche per noi, anche per me e per te. Gli dobbiamo il perdono, cioè il fatto che ci guarda con gli occhi della misericordia e non con gli occhi del giudizio; gli dobbiamo la chiamata che ci rivolge ogni giorno, gli dobbiamo la fede che è anch’essa un suo dono, gli dobbiamo la speranza di cui ha riempito la nostra vita. E gli dobbiamo anche la comunità in cui ci ha inseriti, per non lasciarci soli. In questo senso l’immagine del servo è chiara ed esplicita. Non è Dio che deve qualcosa a noi, ma il contrario, siamo noi che gli dobbiamo tutto.
Questo modo di parlare di ciò che facciamo, l’essere servi di Dio, si affianca e integra l’altro modo tipico della teologia protestante per parlare delle nostre opere, che è la gratitudine: noi operiamo per gratitudine nei confronti di quel Dio che ci ha donato tutto. Gli siamo debitori di tutto, come dicevamo prima, ma non possiamo dargli nulla, perché Dio non ha bisogno che noi gli diamo qualcosa. Chi è invece che ha bisogno che noi gli diamo qualcosa? È il prossimo di cui ci parla l’evangelo molte volte e in molti modi.
La tua gratitudine nei confronti di Dio la manifesti nell’amore per il prossimo; Dio vuole che restituiamo un piccola, minima parte dell’enorme debito che abbiamo nei suoi confronti e che non potremo mai saldare, donandoci al prossimo. Gratitudine verso il nostro Dio misericordioso e servizio del nostro Dio che è il Signore della nostra vita. Non dobbiamo dimenticare questo aspetto del nostro rapporto con Dio: Dio è il nostro salvatore ma è anche il nostro Signore, nel senso che vuole regnare sulle nostre vite e, come dicevamo due domeniche fa con i bambini, vuole che la sua volontà accada attraverso di noi.
È il Dio tenero e misericordioso, ma anche il Dio esigente, che ci chiede con forza di seguire la sua volontà e non la nostra. In questo senso servi, nel senso che siamo chiamati a fare la volontà di qualcun altro e non la nostra; ma poiché quel qualcun altro è Dio, il Dio che ci salva e ci libera, essere suoi servi e fare la sua volontà non è affatto degradante e dispregiativo. Essere servi di Dio non è affatto degradante, tutt’altro: è un onore e un dono.
Dio vuole, ci chiede che noi operiamo per la pace, per la giustizia, per l'uguaglianza, per risollevare quelli che sono a terra, per ridare dignità agli emarginati, per ridare speranza ai disperati, insomma vuole che facciamo quello che ha fatto Gesù, ovviamente con le nostre capacità e le nostre forze.
Questo significa essere suoi servi. E quando abbiamo fatto tutto questo – ma è chiaro che non riusciremo mai a fare tutto ciò che il Signore vuole da noi, magari qualche frammento - ma quand’anche avessimo fatto tutto ciò che il Signore ci chiede, dovremmo dire come il servo della parabola: siamo servi inutili, ciò che ho fatto non è un merito, non comporta una ricompensa, non mi sono guadagnato nulla, ma ho solo fatto il mio dovere di discepolo di Gesù, di servo di quel Signore che vuole essere servito nel prossimo che ha bisogno della mia presenza e del mio amore.
Ma servi inutili vuol anche dire che noi non siamo indispensabili all’opera del Signore, mentre lui è indispensabile a noi; vuol dire che noi non facciamo nulla che non possa fare qualcun altro, mentre Dio ha fatto per noi quello che nessun altro può fare. Non siamo indispensabili, eppure il Signore ci ha scelti come suoi servi; avrebbe potuto non sceglierci e invece ci ha scelti e in questa scelta si è manifestata la sua grazia. E avendoci scelti, noi ora siamo suoi servi, non nel senso dispregiativo che ha per noi questa parola, ma nel senso che siamo al suo servizio.
E non solo essere servi di Dio non ha nulla di umiliante, ma al contrario la Bibbia ci dice che in fondo essere servi di Dio è l’unico modo per essere veramente liberi. Nella concezione biblica non esiste la libertà assoluta: o si è servi di Dio o si è servi di qualcuno o qualcosa altro. Qualcosa deve guidare la nostra esistenza, le nostre scelte. Possiamo essere servi di noi stessi, dei nostri desideri, in ultima analisi del nostro ego e del nostro egoismo; possiamo essere servi di un leader, di un capo, di una guida umana che ci fa da padroni; possiamo essere servi di un’ideologia (e spesso l’ideologia è portata avanti da un capo e le due cose vanno insieme) e essere servi convinti di quella ideologia, o convinti che quel capo ha veramente ragione. Oppure possiamo essere servi di Dio, come ci ha insegnato Gesù, e quindi liberi dal nostro egoismo, liberi da ogni capo e liberi da ogni ideologia.
Ricordo che anni fa in occasione di un culto con la confermazione di alcuni ragazzi/e, il collega che presiedeva il culto fece inginocchiare quei ragazzi/e, cosa per noi inusuale, e disse loro una cosa che mi è piaciuta molto e che a volte gli “copio”: Disse loro: “oggi voi vi inginocchiate qui davanti a Dio, al vostro Signore, per non dovervi inginocchiare mai nella vostra vita davanti a nessun altro signore”.
Il Dio di Gesù Cristo è l’unico Signore che libera, ed è un grande dono esser suoi servi. Servi inutili, nel senso che non operiamo per avere un utile, ma agiamo perché il Signore ce lo chiede, dunque perché è giusto, e per amore, perché il Signore ci chiede di amare e amare nella Bibbia vuol dire servire, come ha detto e fatto Gesù, che si è fatto servo fino alla croce. Il compito è sconfinato: ovunque c’è dolore, o colpa, o tristezza, o solitudine, o conflitto, lì c’è un servizio che Dio ci chiama a compiere, per portare conforto, riconciliazione, speranza.
Ci dia il Signore di poter andare davanti a lui ogni sera e dirgli:
Signore, Tu mi hai fatto la grazia di chiamarmi a essere tuo servo e ti questo non ti ringrazierò mai abbastanza. Ho cercato di essere un servo fedele, ma so di averlo fatto spesso poco e male.
E so anche che quando ho fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità, rimango un servo inutile e continuo ad avere bisogno del tuo perdono e della tua grazia.
Continua, Signore, nella tua grazia, a perdonare i miei errori e a chiamarmi al tuo servizio, perché è beato chi tu chiami al tuo servizio, perché solo al tuo servizio c’è la vera libertà.


Nessun commento: