lunedì 23 gennaio 2017

Predicazione su 2 Corinzi 5,14-20 a cura di Marco Gisola in occasione della Celebrazione ecumenica della Parola nell'ambito della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani presso la Chiesa di san Filippo (Biella) domenica 22 gennaio


2 Corinzi 5,14-20
14 infatti l'amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono; 15 e ch'egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. 16 Quindi, da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così. 17 Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove. 18 E tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. 19 Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe, e ha messo in noi la parola della riconciliazione. 20 Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio.


Quest’anno, in cui le chiese protestanti insieme alle altre chiese cristiane ricordano l’inizio della Riforma Protestante, ci viene proposto per la SPUC questo testo dell’apostolo Paolo. Un testo molto bello, molto denso, di cui possiamo oggi solo sottolineare alcuni aspetti.
In questo brano siamo al cuore dell’evangelo, e il cuore dell’evangelo, della buona notizia per tutta l’umanità, è ciò che Dio ha fatto per noi in Cristo. Questo è il tema di questo brano di Paolo: ciò che Dio ha fatto per noi, cioè la morte e resurrezione di Cristo.
Vorrei provare a dire tre cose su questo testo così ricco:

1. la prima cosa che vorrei dire è che qui Paolo parla di ciò che Dio ha fatto usando una parola che nel Nuovo Testamento usa quasi soltanto lui, la troviamo infatti alcune volte nelle sue lettere e solo due volte nei vangeli: la parola riconciliazione.
Paolo non usa il classico termine “salvezza”, non usa nemmeno il termine che per lui è così importante “giustificazione”, ma - appunto - “riconciliazione”. Nella chiesa di Corinto ci sono dei conflitti che coinvolgono anche lui e che Paolo vuole tentare, appunto, di riconciliare.
Per riconciliare questi conflitti, Paolo fa appello a ciò che Dio ha fatto per noi. Con la parola “riconciliazione” Paolo infatti descrive ciò che Dio ha fatto per noi: “Dio ... ci ha riconciliati con sé per mezzo di Cristo […]. Infatti Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, non imputando agli uomini le loro colpe”.
Dio era in Cristo nel riconciliare con sé il mondo, cioè: la riconciliazione è opera di Dio, di Dio soltanto: è lui che ha deciso, è lui che ha operato.
Riconciliazione vuol dire fare pace. Se c’è bisogno di fare pace, vuol dire che la pace non c’è. Non c’era pace tra Dio e gli esseri umani, e spesso ancora non c’è pace perché noi esseri umani in fondo non vogliamo che Dio sia Dio, nel senso che non vogliamo che Dio regni sulle nostre vite, non vogliamo ascoltare quello che ha da dirci e preferiamo fare di testa nostra, lasciandoci guidare, in fondo, dal nostro egoismo.
Questa è la nostra colpa. E come fa Dio a fare pace? Paolo ci dice: “non imputando agli uomini le loro colpe”. E questa è la grazia, che la Riforma protestante ha rimesso al centro e che Paolo qui descrive senza nominarla. La grazia, ovvero quell’amore che ci spinge, costringe…..
Come opera Dio la riconciliazione tra lui e noi? Tra lui, tre volte santo, e noi, peccatori e colpevoli? non imputandoci le nostre colpe.
Dio mi dice e ti dice: tu sei colpevole, non sei innocente (e spesso il peccato più grosso è proprio quello di ritenersi innocenti, come il fariseo della parabola), ma io non ti imputo la tua colpevolezza, ovvero non tengo conto della tua colpa. Questo non ti rende innocente, ma ti giustifica, per usare quella parola che Paolo usa così spesso. Rimani peccatore, ma un peccatore perdonato.
La grazia giustifica e dunque riconcilia, fa pace. Ciascuno di noi può quindi dire a Dio: Se tu, Signore, non tieni conto della mia colpa, io posso trovare pace in te. Perché Cristo è morto e risuscitato per noi, anche per noi, come per tutta l’umanità.
Ecco il cuore dell’evangelo, detto con una parola nuova, una parola che dovremmo usare più spesso: riconciliazione.
La riconciliazione parla della stessa opera di Dio che chiamiamo salvezza, o che chiamiamo giustificazione, solo che mette l’accento più sulle conseguenze dell’opera di Dio: Dio riconcilia, Dio fa pace, firma un trattato di pace unilaterale, e lo firma – scusate l’immagine un po’ cruenta – con il sangue di Gesù, versato per noi sulla croce.
Paolo usa questa parola qui – e altrove nelle sue lettere – perché gli interessa appunto parlar delle conseguenze dell’opera riconciliatrice di Dio.

2. E qui – e vengo alla seconda cosa che vorrei dire – la parola chiave è “nuovo”. Se la guerra, il conflitto era la situazione di prima, la pace è la nuova situazione.
Paolo elenca almeno due novità, due grosse, enormi novità: la prima è che “quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro”. La tua vita cambia, cambia obiettivo, cambia scopo. Lo scopo della tua vita non sei più tu, non vivi più per te stesso, ma per Cristo, che è morto e risuscitato per te.
Ciò significa che Cristo è ora il Signore della tua vita, il che ha molte, moltissime conseguenze. Ne dico solo una perché in realtà chiedersi che cosa voglia dire che Cristo è il Signore della nostra vita equivale a chiedersi che cosa voglia dire essere cristiani, riflessione che dura tutta la vita.
L’unica cosa che abbiamo il tempo di dire ora è che se Cristo è il Signore della nostra vita, nella nostra vita non ci sono altri signori. E questa è la nostra libertà: sapere che l’unico a cui dobbiamo obbedire e rendere conto è il nostro Signore Gesù Cristo.
Questa consapevolezza e questa libertà l’hanno testimoniata nella storia cristiani di tutte le chiese, a volte fino al martirio; non l’hanno fatto tutti – forse l’hanno fatto in pochi - e non l’hanno fatto sempre, ma di questi testimoni ce ne sono nella storia di ciascuna delle nostre chiese.
La seconda novità è che “da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano” (nemmeno Gesù, che non è solo più l’uomo Gesù, il falegname di Nazaret, ma è il nostro Salvatore, o se preferite Riconciliatore).
Non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano, perché “Se … uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove”.
La persona che hai di fianco, o incontri per strada o sul lavoro o nella vita sociale della tua città non è un persona qualunque ma è una sorella o un fratello per cui Cristo è morto e risorto, anche se è un estraneo.
Questa è la novità frutto della riconciliazione che Dio ha operato tra lui e noi: che possiamo vedere l’altro essere umano in modo riconciliato, con occhi riconciliati, come colui o colei per cui Cristo è morto e risorto.
Questo cambia tutto; o meglio, cambierebbe tutto, se sapessimo viverlo davvero. Anche e proprio tra noi: il cristiano dell’altra chiesa non è solo un valdese, un ortodosso, un avventista, un cattolico… è prima di tutto colui o colei per cui Cristo è morto e risorto.
Ma anche nella nostra vita sociale fuori dalla chiesa: l’altro o l'altra che incontro tutti i giorni o una sola volta in vita mia, prima di essere simpatico o antipatico, italiano o straniero, cristiano o musulmano, o buddista o ateo è colui o colei per cui Cristo è morto e risorto. Non per cristianizzare tutti, ma perché questo è il nostro punto di vista riconciliato, perché Dio ci riconcilia con il prossimo, chiunque egli sia.

3. Infine, la terza e ultima cosa: questo brano contiene anche un compito per tutti e tutte noi: Paolo dice che Dio “ci ha affidato il ministero della riconciliazione … ha messo in noi la parola della riconciliazione. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro”.
Siamo ministri, ambasciatori della riconciliazione che Dio ha operato tra lui e noi e delle riconciliazioni possibili tra noi esseri umani. Perché Dio ha messo in noi la parola della riconciliazione, la Parola dell’evangelo che ci annuncia che Dio ha fatto pace con noi, parola che siamo chiamati a vivere, annunciare e testimoniare.
Siamo tutti e tutte ministri, abbiamo un ministero - in greco è “diaconia”, ovvero servizio - siamo quindi servi della riconciliazione. Abbiamo un compito: vivere, dire e seminare riconciliazione.
Come se Dio esortasse per mezzo nostro”, dice Paolo: Dio ha bisogno della nostra voce e della nostra vita, dei nostri gesti e delle nostre scelte per far conoscere questo grande dono della riconciliazione, quella che lui ha operato in Cristo e quelle possibili di cui abbiamo bisogno tra di noi.
Inutile dire quanto bisogno c’è nel mondo bisogno di riconciliazione, a partire dalle nostre famiglie e dalle nostre chiese fino ai numerosi conflitti che insanguinano il mondo; già nella chiesa di Corinto, a cui Paolo scrive, c’era bisogno di riconciliazione. È dunque chiaro quanto bisogno c’è di ministri, di servi della riconciliazione.
Oggi siamo qui, cattolici, ortodossi, avventisti, valdesi, riconciliati da Dio con sé e quindi tra di noi. Siamo qui come sorelle e fratelli per cui Cristo è morto e risorto, a chiedere a Dio di aiutarci prima di tutto a credere nella riconciliazione che ha operato in Cristo, a credere che ci ha riconciliati con sé; poi a vivere le grandi novità che questa riconciliazione comporta, guardando il prossimo con occhi riconciliati.
E infine a essere ministri, servi, ambasciatori della sua riconciliazione per cercare di portarla laddove ce n’è bisogno. È questo un compito che possiamo senza dubbio portare avanti insieme.

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