lunedì 16 maggio 2022

Predicazione di domenica 15 maggio 2022 su Colossesi 3,12-17 a cura di Marco Gisola

Colossesi 3,12-17

12 Vestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. 13 Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutte queste cose vestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione. 15 E la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti.

16 La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali. 17 Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui.



1. La parola di Dio di oggi parla di noi e parla a noi. Parla di noi perché ci dice che cosa siamo, chi siamo: per Dio siamo “eletti di Dio, santi e amati”. Questo siamo per Dio. Sono tutti verbi al passivo, il cui soggetto ovviamente è Dio stesso: siamo eletti perché Dio ci ha eletti, cioè scelti; siamo santi non secondo il linguaggio comune per cui si intende persone quasi perfette, ma nel senso letterale biblico che vuol di nuovo dire scelti, messi da parte da Dio; e siamo amati perché Dio ci ha amati in Cristo e ci ama.

Per Dio e grazie a Dio siamo tutto questo: siamo eletti, santi e amati. Questo la parola di Dio dice di noi oggi, questo siamo in Cristo, per pura grazia e libera decisione di Dio. Ora tutto questo è appunto pura grazia, è libera decisione di Dio; non è un premio, non è un diritto, non è un privilegio essere eletti, santi ed amati, ma è un dono di Dio e come tutti i doni di Dio ci è dato affinché lo viviamo con gli altri e per gli altri.

E in questo senso questo brano parla non solo di noi ma anche a noi: è infatti un brano “esortativo”, come si dice, cioè un brano che dà indicazioni e suggerimenti ai cristiani della chiesa di Colosse. E infatti comincia con un verbo all’imperativo: “vestitevi” come eletti di Dio santi e amati di sentimenti di misericordia, di benevolenza, ecc. Potremmo dire: poiché avete avuto la grazia di essere scelti da Dio per amore, ora vivete questo dono e questa vocazione, “vestitevi”. Poco prima aveva scritto “vi siete spogliati dell’uomo vecchio e vi siete rivestiti del nuovo”. L’apostolo si rivolge qui a dei cristiani che erano pagani che hanno vissuto un enorme cambiamento, che viene rappresentato dall’immagine dello spogliarsi e del rivestirsi, cioè di cambiare abito. Potremmo quasi dire, con un’altra metafora, cambiare pelle, cambiare vita.

Di che cosa bisogna rivestirsi, di che cosa devono vestirsi i cristiani di Colosse – e noi con loro - giorno dopo giorno? Come tutte le mattine quando ci alziamo ci mettiamo i vestiti con i quali andiamo incontro al nostro prossimo, così dobbiamo vestirci di sentimenti di misericordia, benevolenza, umiltà, mansuetudine, pazienza, dobbiamo sopportarci gli uni gli altri e perdonarci a vicenda e sopra tutte queste cose “vestirci dell’amore” scrive l’apostolo.

L’apostolo si rivolge a una comunità, non a delle persone singole e sole, ma a “eletti, santi e amati” tutte parole al plurale, persone che sono chiamate a vivere insieme la fede, la gioia e la riconoscenza a Cristo. E vivere insieme la fede, la gioia, la speranza, la riconoscenza verso il Signore significa ogni giorno relazionarsi con il prossimo che Dio ci ha messo accanto. E questo è un impegno, anzi un compito, quello di curare queste relazioni; curare le relazioni con le sorelle e i fratelli è il compito che il Signore ci dà ogni giorno: “vestitevi” di questi sentimenti, ogni giorno, come ogni giorno ci mettiamo i vestiti.

Per stare insieme agli altri e insieme agli altri vivere la fede è necessario che coltiviamo e curiamo benevolenza, umiltà, mansuetudine, pazienza ed è anche necessario qualche volta che ci sopportiamo, perché il prossimo che il Signore mi ha messo accanto non è sempre come io vorrei che fosse. E a volte dobbiamo anche perdonarci a vicenda, perché le relazioni umane - anche quelle fraterne e sorerne che ci sono date di vivere nella chiesa - a volte lasciano delle ferite, perché siamo peccatori e se non fossimo peccatori non saremmo qui, perché non saremmo cristiani! Perché i cristiani sono peccatori e peccatrici perdonati.

È un compito che ci viene dato: il compito di curare il nostro essere comunità e dunque curare le relazioni tra noi, tra i membri della comunità. È un compito, perché non è spontaneo. Questi sentimenti di misericordia, benevolenza, umiltà, ecc. non nascono spontaneamente del nostro cuore come potrebbe farci pensare la parola “sentimenti”. Questi sentimenti – che potremmo anche chiamare modi di essere, modi di porsi davanti agli altri e con gli altri, vanno coltivati, curati e fatti crescere.

2. E come può accadere questo? Come nascono, crescono e vengono coltivati i sentimenti di cui parla l’apostolo? Questo ci viene detto più o meno a metà di questo brano quando l’apostolo scrive: “la parola di Cristo abiti in voi abbondantemente”. È la parola di Dio che crea la chiesa ed è la parola di Dio che cura, coltiva e fa crescere le relazioni all’interno della chiesa, che fa nascere e crescere in noi misericordia, benevolenza, umiltà, mansuetudine, pazienza… È la Parola di Dio che ci aiuta a sopportarci, perché ci dice che il legame che ci lega non è fatto di simpatia o di somiglianze, ma è fondato nella morte e resurrezione di Cristo. È la parola di Dio che ci insegna a perdonare, perché come scrive qui l’apostolo “come il signore vi ha perdonati così fate anche voi”.

Siamo perdonati, dunque perdoniamo, riconosciamo il dono del perdono che Dio ci ha donato in Cristo come un enorme dono e viviamolo nel nostro perdonare. Solo rimettendoci continuamente in ascolto della Parola di Dio, lasciandoci giudicare e interrogare da lei, lasciandoci consolare ed istruire da lei, possiamo tentare di vivere ciò che l’apostolo descrive in queste righe.

3. E la conclusione del nostro brano mi sembra che menzioni i due ambiti, i due luoghi dove siamo chiamati a vivere sentimenti di misericordia, benevolenza umiltà, ecc.: il culto e la vita quotidiana. “La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali”. Il luogo dove ci ammaestriamo ed esortiamo a vicenda è il culto, ed è significativo che l’apostolo dia così tanta importanza al canto. Il canto accompagna ogni momento del nostro culto, è lode, confessione di peccato, confessione di fede, espressione di fiducia, domanda, intercessione… nel canto esprimiamo ogni aspetto della nostra fede, ogni aspetto della nostra vita nella fede. Il canto è comunitario, tutti vi partecipano, ognuno canta al Signore e tutti cantano insieme. È comunitario anche nel modo in cui si canta: nessuno deve prevalere, nessuna voce deve coprire quella degli altri; e tutti devono andare allo stesso tempo, in modo che il canto sia davvero corale. Per cantare insieme è necessario ascoltarsi a vicenda, un esercizio indispensabile per il canto e anche per la vita!

E l’altro ambito è quello della vita quotidiana: “Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù”: un’indicazione che ci appare generica, ma che è generica per comprendere ogni ambito della nostra vita: “qualunque cosa…”, “ogni cosa…” cioè tutto ciò che fate e dite (“parole e opere”) sia guidato da quei sentimenti di misericordia, umiltà, ecc. Non è poco e non è generico, ma è la nostra intera vita, che è così testimonianza in atti e in parole dell’immenso dono di grazia che abbiamo ricevuto in Cristo.

4. E infine – scrive l‘apostolo - fate tutto ciò “ringraziando Dio Padre per mezzo di lui”. Ve l’ho già citato altre volte quello che dice il catechismo di Heidelberg, un catechismo riformato del ‘500 che Paolo Ricca ha ritradotto e commentato alcuni anni fa. Alla domanda “Quante cose è necessario che tu sappia per poter felicemente vivere e morire in questa consolazione [cioè nel sapere che si appartiene a Cristo]?” La risposta è: “tre cose: in primo luogo quanto grandi sono il mio peccato e la mia miseria. In secondo luogo, come vengo redento da tutti i miei peccati e dalla mia miseria. E in terzo luogo come devo esser grato a Dio per questa redenzione”.

Queste parole dell’apostolo fanno parte di questo “terzo luogo”: la nostra vita di cristiani è tutta un esprimere la nostra gratitudine a Dio per la redenzione, cioè per la liberazione, per il perdono, per la salvezza che ci ha donato in Cristo. Tutto ciò che facciamo e diciamo – dice il nostro brano di oggi e il catechismo di Heidelberg con lui – è espressione della nostra gratitudine a Dio. Null’altro che gratitudine. Quel che riusciamo effettivamente a vivere della misericordia, della benevolenza, della umiltà, della mansuetudine, della pazienza, della sopportazione e del perdono di cui si parla qui, è pura e semplice gratitudine. Se e quando riusciamo a vivere qualche briciola di tutto ciò non è altro che riconoscenza a Dio per ciò che ha fatto per noi.

Come “come eletti di Dio, santi e amati” siamo chiamati a vestirci di tutti questi sentimenti, di questo modo di essere non per essere buoni – solo Dio è buono, ha detto Gesù – ma per essere grati al Signore ed esprimere questa gratitudine nell’amore verso il prossimo che lui ci ha dato. E possa la Parola di Dio abitare abbondantemente in tutti noi e continuare a ricordarcelo e ad insegnarcelo.

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