giovedì 23 giugno 2022

Predicazione di domenica 19 giugno 2022 su Luca 16,19-31 a cura di Graziella Graziano

 Luca 16,19-31

19 «C'era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; 20 e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, 21 e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. 22 Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. 23 E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; 24 ed esclamò: "Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma". 25 Ma Abraamo disse: "Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. 26 Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi". 27 Ed egli disse: "Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, 28 perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento". 29 Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli". 30 Ed egli: "No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno". 31 Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita"».


È un testo molto conosciuto quello che il lezionario ci propone per questa domenica, molto conosciuto, ma non per questo scontato o di facile comprensione.

Anche le altre due letture che sono proposte per la giornata di oggi sono connesse al tema della nostra predicazione, perché parlano di ravvedimento, di non fidarsi di chi dice che va tutto bene, della fede che salva e dell’amore.

Torniamo al testo allora. Mi sembra che ci siano alcune cose importanti da sottolineare: la prima è che il ricco non è andato a finire nei tormenti solo perché era ricco e che Lazzaro non è stato portato dagli angeli in seno ad Abramo solo perché era povero.

Il ricco, non viene detto il suo nome, a differenza del povero, è finito nei tormenti perché si vestiva lussuosamente e ogni giorno si divertiva splendidamente e non pensava ad altro; nella sua vita, la povertà degli altri, e le altre in generale non entravano nel suo orizzonte, non avevano diritto di cittadinanza. Persino dopo morto pensa di potersi comportare da padrone e si rivolge ad Abramo, non a Lazzaro, pretendendo aiuto: prima dice ad Abramo di mandare Lazzaro a rinfrescargli le labbra e poi gli chiede di mandarlo dai suoi fratelli. Dunque, il ricco è lì soprattutto perché non ha capito e continua a non capire, continua a pensare di poter controllare almeno quello che succede ai suoi fratelli, visto che lui è morto, e di poter continuare ad esercitare il controllo secondo il suo sistema consolidato di potere/oppressione.

Del povero invece viene detto il nome: Lazzaro, che significa Dio aiuta. Lazzaro è povero e malato, non dice e non fa nulla. Vive la sua povertà e la sua malattia e alla fine della storia è prelevato dagli angeli e accudito da Abramo, Lazzaro può contare solo sull’aiuto che gli viene da Dio.

Ad una prima lettura potremmo essere prese da una sorta di soddisfazione; c’è giustizia alla fine: il ricco viene punito e il povero viene ricompensato! Ma in realtà possiamo provare anche fastidio di fronte ad un racconto che può suonare nel senso di tenere a bada i poveri con la promessa di un aldilà migliore e di fare paura ai ricchi minacciandoli con le pene dell’inferno. Ma intanto in questo mondo i poveri soffrono la fame e la miseria e i ricchi se la godono…

La lettura del vangelo però ci porta oltre, ci porta a fare i conti con la realtà di un mondo dove le risorse sono finite: tu hai già avuto la tua parte dice Abramo al ricco. Non è tutto disponibile all’infinito. È molto importante per il nostro mondo questa lezione, è sempre il discorso dei dieci panini e delle dieci persone: al mondo ci sono disponibili 10 panini e 10 persone che devono mangiare, quindi ce n’è per tutte, ma nel nostro mondo ci sono due persone che mangiano 8 panini e 8 persone cui restano solo 2 panini: il 2% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse…

E lo stesso discorso si può spostare sul consumo dell’acqua. Mai come in questo momento dovremmo essere in grado di capire che non ce ne sarà per tutti come prima, che forse comincerà anche per il nostro mondo occidentale a crearsi il bisogno di acqua, di energia, di terra. Sono previsti, entro il 2030, 50 milioni di migranti per sete.

E allora saremo chiamati a dare ascolto non ai falsi profeti che promettono soluzioni facili e sempre dentro una logica di rapina del suprematismo bianco, ma a chi ci dice che verranno tempi bui, in cui in qualche modo dovremo cominciare a fare i conti con la rovina che il nostro civilissimo mondo occidentale ha portato sul pianeta, dovremo imparare a dare ascolto a chi richiama ad una responsabilità personale e collettiva. E tutto questo lo dovremo fare e lo potremo fare non per guadagnare il posto di Lazzaro, non per paura di trovarci dalla parte dell’Ade dove c’è il ricco, ma perché ci ricorderemo dell’amore di Dio per noi, come abbiamo sentito nella lettera di Giovanni, perché nell’amore non c’è paura, chi ha paura teme il castigo, quindi chi ha paura non è perfetto nell’amore. E ancora chi non ama suo fratello che ha visto non può amare Dio che non ha visto.

L’invito insomma è quello di sempre, dell’intera Bibbia: guardarci intorno, guardare fuori di noi, allargare il nostro orizzonte verso l’altro e l’altra. E non è solo nel senso della pur sacrosanta attività di diaconia, questo è certo un pezzo del nostro orizzonte, che però non può e non deve diventare un alibi e non può esaurire il mandato dell’amore. Il mandato dell’amore ci dice, certo, di aiutare i fratelli e le sorelle in difficoltà, ma ci dice credo, di impegnarci soprattutto per superare il sistema di ingiustizia che permea la nostra vita e quella del mondo intorno a noi; ci chiede di non abituarci allo spettacolo della guerra, di non smettere di indignarci di fronte alle ingiustizie sociali, di vincere la tendenza a chiuderci nelle nostre case protette; ci chiede insomma di sentirci sempre mobilitati a testimoniare l’amore di Dio che Gesù è venuto a compiere.

Da questa parabola dell’evangelo di Luca ci viene un’altra lezione importante: Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli" e ancora "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita". È chiaro che attraverso queste parole noi scopriamo che il ricco, e i suoi parenti che lui vorrebbe avvisare, non hanno seguito la Legge, né i profeti. Queste parole, dette al tempo di Gesù, erano un chiaro invito a seguire gli insegnamenti di quella parte della Bibbia che noi oggi chiamiamo Antico Testamento o Primo Testamento; tutto quello che c’è da sapere per testimoniare la fede in Dio si trova già lì. Noi cristiani abbiamo il compimento di quella Parola in Gesù Cristo, abbiamo la spiegazione di quella Parola nelle parabole con le quali Gesù ci ha orientato nella lettura, parabole che sono giunte fino a noi attraverso la redazione dei testi che compongono quello che noi chiamiamo il Nuovo Testamento o Secondo Testamento, che prosegue e vivifica l’Antico.

Allora le parole che Luca mette in bocca ad Abraamo sono un chiaro invito ad assumerci le nostre responsabilità di credenti salvati per grazia e non per opere, fedeli alla Scrittura nel suo canone completo, confortati dallo spirito santo che a Pentecoste Gesù, morto e risorto per noi, ci ha lasciato: sola Scriptura, sola gratia, sola fide, solus Christus, questa è la nostra fede.

E questo è anche il nostro compito: di leggere, meditare e testimoniare la Scrittura che, sola, ci può orientare nella vita: non nella vita della Chiesa, non nella vita religiosa, non nella vita dello spirito, ma nella vita vera, quella che viviamo quotidianamente nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, nel sociale.

Non è un invito a ritirarci in meditazione della Scrittura. È, al contrario, un invito a portare la Scrittura nella nostra vita, a vivere secondo quelle parole che possono davvero cambiare la nostra prospettiva e il mondo intorno a noi; è un invito a scoprire il mondo entrando in quella dimensione di vita che è la dimensione dell’amore, così come la Bibbia ce lo fa conoscere: l’amore di Dio per il mondo e per l’umanità intera, che in Cristo ha trovato, per noi, il suo compimento perfetto.

Questa parabola ci parla della necessità di ascoltare la Bibbia, nel senso di fare ciò che essa prescrive, perché è nella nostra possibilità farlo; ci dice che tutto quello che dobbiamo sapere e tutto quello che possiamo essere e tutto quello che possiamo fare e tutto quello che possiamo desiderare, è scritto lì.

Non c’è altro.

La nostra vita, il nostro mondo, non sono altro che il dono d’amore di Dio per tutti e tutte noi.

Questa parabola ci dice anche che il Signore c’è per tutti e per ciascuna e che lo si può trovare nella Bibbia e nei fratelli e nelle sorelle, ma che per incontrarlo bisogna ascoltare la sua parola e grazie a questa uscire da noi stessi per andare nel mondo e diventare operatori di pace e di giustizia. Non sono due parole astratte, meno che mai oggi, quando la pace sembra vacillare ovunque e la giustizia sembra vestire sempre di più i panni del potere economico.

Non vorrei trasformare l’evangelo di Luca in un manuale per la rivoluzione perché non veniamo giustificati per mezzo delle opere (nemmeno per quelle sociali), bensì per la fede in Gesù Cristo. È la fede in Gesù Cristo che ci rende liberi di andare incontro a Lazzaro, non la paura della punizione o la presunta assunzione di un compito morale e sociale, ma non possiamo stare a guardare. Non siamo spettatori ma protagonisti del cambiamento che può avvenire, testimoni dell’evangelo e non lettori solamente, testimoni gioiosi e convinti della salvezza che abbiamo ricevuto per grazia mediante la fede.

L’evangelista si rivolgeva ad un pubblico che aveva in mente una teologia secondo la quale il segno della benedizione di Dio era visibile nell’abbondanza di beni materiali, la condizione di ricchezza dimostrava il favore presso Dio. Luca era in polemica con i farisei che credevano nel valore della ricchezza e della vita piena di benedizioni materiali, cioè era in polemica con una lettura distorta della Scrittura, che non riconosceva invece che Dio interviene a favore dei deboli e degli oppressi e che chiede al suo popolo di collaborare affinché la giustizia sia instaurata tra le nazioni.

Oggi questa parabola è un atto di accusa nei confronti di chi pensa che il mondo sia dato così come noi lo conosciamo e che le differenze fanno parte di un ordine che non può, e persino non deve, essere capovolto.

Noi sappiamo invece che siamo chiamati tutti e tutte a testimoniare la parola del Signore che converte noi e il mondo intorno a noi, che salva e che redime, che restituisce la giustizia e che ci assicura che la promessa del Regno è già stata mantenuta in Cristo. A noi sta di renderla vera e operante.

Amen

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