La questione protestante
di Paolo Naso
di Paolo Naso
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 27 febbraio 2008
Il tema della laicità dello Stato è prepotentemente entrato nel dibattito politico e tutto fa presagire che proseguirà anche dopo le elezioni di aprile. Mai come in questi mesi, infatti, la Conferenza episcopale italiana (CEI) ha agito come una vera e propria lobby politica, promuovendo e bocciando liste e candidati: benissimo Casini e la sua UDC; benino il Pdl ma deve impegnarsi di più per proporre candidati moralmente autorevoli e promuovere un’agenda più vicina alla dottrina sociale della chiesa cattolica; malissimo il Pd colpevole di avere raggiunto un accordo con i temibili radicali e di avere imbarcato il prof. Veronesi; bene Ferrara ma alla larga dalla sua lista corsara, salvo riparlarne dopo le elezioni e avendo contato i voti. E così via.
Oltre che sulle liste la CEI interviene anche sui programmi elettorali, insistendo con una campagna a martello sui temi della bioetica, dell’aborto, della pillola "del giorno dopo", dell’eutanasia, del testamento biologico.
E così, più per reazione che per intenzione, partiti e candidati parlano spesso di laicità. Molto più spesso di quanto non sia accaduto nei mesi scorsi. Bene, il variegato mondo protestante italiano non potrebbe che apprezzare il fatto che uno dei grandi fili rossi della migliore cultura liberale europea diventi tema di campagna elettorale.
Il tema della laicità è infatti nel DNA di una comunità protestante che ha sempre posto al centro della propria testimonianza l’idea che la fede è una libera scelta del credente, che non ammette interferenze e condizionamenti da parte dello Stato. La separazione tra la Chiesa e lo Stato, quindi, serve proprio a tutelare la libertà della scelta religiosa, il libero esercizio del culto, la libera professione del proprio credo. Al tempo stesso garantisce la possibilità della convivenza in società plurali nelle quali hanno gli stessi diritti coloro che credono, coloro che non credono e coloro che credono diversamente dalla maggioranza.
Tutto questo il protestantesimo italiano lo ha detto e vissuto negli anni delle persecuzioni religiose; in quelli dell’Italia liberale e del fascismo concordatario; del centrismo democristiano e dei referendum sul divorzio e l’aborto; lo ha ribadito negli anni della revisione del Concordato (1984) e della stipula delle prime Intese ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, così come - in tempi più recenti - quando l’Italia si è scoperta al tempo stesso più secolarizzata e pluralista.
Ogni volta che la Chiesa cattolica interferiva nelle decisioni politiche di una democrazia sovrana - pensiamo alle campagne referendarie, non ultima quella sulla fecondazione medicalmente assistita - il protestantesimo italiano ha suonato le campane della laicità. Al capezzale di Piergiorgio Welby come nelle manifestazioni per il riconoscimento delle coppie di fatto, nella difesa della 194 come nel sostegno alla ricerca scientifica sulle cellule embrionali.
Ebbene, nel dibattito sulla laicità di questi giorni di tutto questo non vi è alcuna traccia.
Nel vivace confronto elettorale di questi giorni si parla di laicità con i cattolici di Scienza e Vita e con i musulmani, con gli ebrei e con gli atei devoti, con i teodem e con i teocon, con le femministe e con i movimenti omosessuali. Ma non con i protestanti che restano fuori, in una sorta di conventio ad excludendum.
Perché? La risposta più ovvia è che non si fanno sentire, non sono abbastanza forti da levare la loro voce e da costruire efficaci lobby.
Pur riconoscendo qualche fondamento a questa motivazione - che però rimanderebbe a un’amara riflessione sul pluralismo informativo e la libertà di espressione nel nostro paese - essa non ci pare né sufficiente né adeguata a spiegare una così grave omissione culturale.
Chi in Italia si richiama a Lutero e Calvino, viene di fatto ignorato dal dibattito pubblico sulla laicità perché nel nostro paese esiste una "questione protestante", un nodo storico e culturale che si trascina da secoli. Come la "questione meridionale" o quella "cattolica". È il prodotto di una cultura tipica della Controriforma, trionfante in Italia, che ha negato la possibilità di pensare e vivere la fede cristiana fuori dal recinto dogmatico della tradizione cattolica. In questa prospettiva il protestantesimo non viene criticato, viene semplicemente ignorato e quindi nei fatti negato come interlocutore; al contrario il cattolicesimo viene elevato al rango di universalità cristiana, in grado di rappresentare l’intera comunità dei credenti in Gesù Cristo.
La "questione protestante" è quindi il frutto di un intreccio di arroganza confessionalistica, di ignoranza storica e teologica, di pregiudizio culturale e politico.
E questo spiega perché i protestanti restano fuori dai talk show televisivi e dai grandi dibattiti culturali di questi giorni: il loro problema sembra essere che, pur essendo cristiani come la maggioranza degli italiani, sono però portatori di un punto di vista teologicamente altro e distinto da quello cattolico. Al tempo stesso vicini nella fede in Cristo ma anche così irrimediabilmente distanti dalla tradizione cattolica, dalle adunate in San Pietro e dai devozionalismi di fronte alle statue dei santi. Cristiani ma laici, laici ma credenti. Nulla di strano in Francia, in Germania, in Olanda. Un’identità ovvia e perfettamente visibile negli Stati Uniti. Difficile da pensare in Italia. E così, nonostante tante parole sull’Europa, si finisce per ignorare quell’intreccio tra laicità e protestantesimo che ha costituito un tratto fondamentale della modernizzazione del continente. Eppure, ignorando il confronto con quella tradizione culturale e teologica, ogni discorso sulla laicità ha il fiato molto, molto corto.
Il tema della laicità dello Stato è prepotentemente entrato nel dibattito politico e tutto fa presagire che proseguirà anche dopo le elezioni di aprile. Mai come in questi mesi, infatti, la Conferenza episcopale italiana (CEI) ha agito come una vera e propria lobby politica, promuovendo e bocciando liste e candidati: benissimo Casini e la sua UDC; benino il Pdl ma deve impegnarsi di più per proporre candidati moralmente autorevoli e promuovere un’agenda più vicina alla dottrina sociale della chiesa cattolica; malissimo il Pd colpevole di avere raggiunto un accordo con i temibili radicali e di avere imbarcato il prof. Veronesi; bene Ferrara ma alla larga dalla sua lista corsara, salvo riparlarne dopo le elezioni e avendo contato i voti. E così via.
Oltre che sulle liste la CEI interviene anche sui programmi elettorali, insistendo con una campagna a martello sui temi della bioetica, dell’aborto, della pillola "del giorno dopo", dell’eutanasia, del testamento biologico.
E così, più per reazione che per intenzione, partiti e candidati parlano spesso di laicità. Molto più spesso di quanto non sia accaduto nei mesi scorsi. Bene, il variegato mondo protestante italiano non potrebbe che apprezzare il fatto che uno dei grandi fili rossi della migliore cultura liberale europea diventi tema di campagna elettorale.
Il tema della laicità è infatti nel DNA di una comunità protestante che ha sempre posto al centro della propria testimonianza l’idea che la fede è una libera scelta del credente, che non ammette interferenze e condizionamenti da parte dello Stato. La separazione tra la Chiesa e lo Stato, quindi, serve proprio a tutelare la libertà della scelta religiosa, il libero esercizio del culto, la libera professione del proprio credo. Al tempo stesso garantisce la possibilità della convivenza in società plurali nelle quali hanno gli stessi diritti coloro che credono, coloro che non credono e coloro che credono diversamente dalla maggioranza.
Tutto questo il protestantesimo italiano lo ha detto e vissuto negli anni delle persecuzioni religiose; in quelli dell’Italia liberale e del fascismo concordatario; del centrismo democristiano e dei referendum sul divorzio e l’aborto; lo ha ribadito negli anni della revisione del Concordato (1984) e della stipula delle prime Intese ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, così come - in tempi più recenti - quando l’Italia si è scoperta al tempo stesso più secolarizzata e pluralista.
Ogni volta che la Chiesa cattolica interferiva nelle decisioni politiche di una democrazia sovrana - pensiamo alle campagne referendarie, non ultima quella sulla fecondazione medicalmente assistita - il protestantesimo italiano ha suonato le campane della laicità. Al capezzale di Piergiorgio Welby come nelle manifestazioni per il riconoscimento delle coppie di fatto, nella difesa della 194 come nel sostegno alla ricerca scientifica sulle cellule embrionali.
Ebbene, nel dibattito sulla laicità di questi giorni di tutto questo non vi è alcuna traccia.
Nel vivace confronto elettorale di questi giorni si parla di laicità con i cattolici di Scienza e Vita e con i musulmani, con gli ebrei e con gli atei devoti, con i teodem e con i teocon, con le femministe e con i movimenti omosessuali. Ma non con i protestanti che restano fuori, in una sorta di conventio ad excludendum.
Perché? La risposta più ovvia è che non si fanno sentire, non sono abbastanza forti da levare la loro voce e da costruire efficaci lobby.
Pur riconoscendo qualche fondamento a questa motivazione - che però rimanderebbe a un’amara riflessione sul pluralismo informativo e la libertà di espressione nel nostro paese - essa non ci pare né sufficiente né adeguata a spiegare una così grave omissione culturale.
Chi in Italia si richiama a Lutero e Calvino, viene di fatto ignorato dal dibattito pubblico sulla laicità perché nel nostro paese esiste una "questione protestante", un nodo storico e culturale che si trascina da secoli. Come la "questione meridionale" o quella "cattolica". È il prodotto di una cultura tipica della Controriforma, trionfante in Italia, che ha negato la possibilità di pensare e vivere la fede cristiana fuori dal recinto dogmatico della tradizione cattolica. In questa prospettiva il protestantesimo non viene criticato, viene semplicemente ignorato e quindi nei fatti negato come interlocutore; al contrario il cattolicesimo viene elevato al rango di universalità cristiana, in grado di rappresentare l’intera comunità dei credenti in Gesù Cristo.
La "questione protestante" è quindi il frutto di un intreccio di arroganza confessionalistica, di ignoranza storica e teologica, di pregiudizio culturale e politico.
E questo spiega perché i protestanti restano fuori dai talk show televisivi e dai grandi dibattiti culturali di questi giorni: il loro problema sembra essere che, pur essendo cristiani come la maggioranza degli italiani, sono però portatori di un punto di vista teologicamente altro e distinto da quello cattolico. Al tempo stesso vicini nella fede in Cristo ma anche così irrimediabilmente distanti dalla tradizione cattolica, dalle adunate in San Pietro e dai devozionalismi di fronte alle statue dei santi. Cristiani ma laici, laici ma credenti. Nulla di strano in Francia, in Germania, in Olanda. Un’identità ovvia e perfettamente visibile negli Stati Uniti. Difficile da pensare in Italia. E così, nonostante tante parole sull’Europa, si finisce per ignorare quell’intreccio tra laicità e protestantesimo che ha costituito un tratto fondamentale della modernizzazione del continente. Eppure, ignorando il confronto con quella tradizione culturale e teologica, ogni discorso sulla laicità ha il fiato molto, molto corto.
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