giovedì 12 febbraio 2009

PER IL TESTAMENTO BIOLOGICO


riflessione di:
Maria Bonafede
Moderatora della Tavola valdese e metodista


A poche ore dalla morte di Eluana la tentazione sarebbe quella di tacere, raccogliere le idee e - per chi come me crede nella vita eterna alla luce di Dio - pregare

Tuttavia questi non possono essere soltanto i giorni della preghiera: la lezione del caso Englaro ci dimostra quanto sia importante ed urgente definire una norma certa e condivisa sul testamento biologico, che eviti ed impedisca che attorno al letto di un malato terminale si scateni il circo politico-mediatico che abbiamo visto in questi giorni. Di fronte al dolore ed al dramma di una persona, in questo caso - così come era accaduto per Pier Giorgio Welby - la politica ha dato il peggio di sé, ricomponendo e allargando il partito degli atei devoti da una parte e allargando l'influenza politica dei vertici cattolici dall'altro. Nei giorni scorsi abbiamo sperimentato la violenza dei simboli ed il corpo sofferente di Eluana si è trasformato nell'icona della battaglia per la vita contro la cultura della morte.

In questa polarizzazione lo spazio della compassione, del rispetto e della laicità si è ridotto ai minimi termini, ed è stato garantito soltanto - lo affermo con convinzione - dall'iniziativa del Capo dello Stato che ha saputo tutelare l'autonomia della magistratura e la laicità delle istituzioni evidentemente pressato dall'iniziativa della Cei e del Vaticano.
Ci auguriamo che nei prossimi giorni il confronto sul testamento biologico abbia toni meno virulenti e ideologici; osiamo sperare che, in un clima di maggior rispetto reciproco, si evitino le deliranti accuse di "omicidio" a chi difende le ragioni di una morte nella dignità, senza accanimenti terapeutici anche mascherati e senza la sofferenza che una certa tradizione teologica intende imporre nel nome del valore assoluto della vita. Lo speriamo e, come valdesi e metodisti, lavoriamo in questo senso. Siamo una chiesa e non un partito politico: per questo non sta a noi proporre disegni di legge o interferire con il processo legislativo. Siamo però una voce della società italiana, una storica componente della sua cultura e della sua articolazione religiosa. 
E, in questo spirito, sentiamo nostro pieno diritto richiamare a beneficio dei partiti e dei legislatori, che nei prossimi giorni discuteranno la legge sul testamento biologico, tre principi fondamentali. Il primo è quello di laicità. L'Italia non è uno stato etico, non ha una "religione ufficiale" legittimata ad imporre valori e norme universali. La legge, pertanto, non potrà essere la traduzione giuridica di un magistero ecclesiale, ma dovrà necessariamente essere la risultante di un libero confronto tra diverse visioni del mondo, della vita e della morte, e pertanto - ecco il secondo principio - dovrà assumere la pluralità di visioni teologiche e non, che si esprimono nella società italiana. Tra le altre vi è anche quella dei Valdesi e dei Metodisti per i quali la vita è un dono e una grazia di Dio, che si vive nella relazione con il prossimo e con il Signore che ci ha creati. Ma la vita biologica - un cuore che pulsa in un corpo spento e mantenuto vitale solo con degli artifici - è un'altra cosa. Come per noi un ovulo fecondato è un'altra cosa rispetto ad un feto, e un feto al terzo mese è cosa diversa da un feto al quinto o da un bambino nato. 
Insomma, da credenti sentiamo il pericolo di un'idolatria biologica che finisce per essere strettamente apparentata all'accanimento terapeutico e al rifiuto di ogni legislazione sull'interruzione di gravidanza. Nei giorni scorsi questa nostra posizione ha avuto pochissimi spazi per esprimersi. Nessun conduttore di talk show, nessun direttore di tg, nessun editorialista ha pensato di richiamarla e valorizzarla. Nello schema bipolare della cultura e della politica italiana - laici e cattolici - non sembra esserci spazio per dei cristiani diversi, che oltre a confessare Gesù Cristo si dichiarano anche convintamene laici. 
Il terzo principio che voglio richiamare è quello della libertà di coscienza. Quando si legifera su quello spazio eccezionalmente sensibile che sta tra la vita e la morte, ogni norma deve ammettere una "riserva etica". Riconoscere la libertà di disporre un testamento biologico che respinge terapie invasive e ogni forma d'accanimento terapeutico non significa che si debba necessariamente agire in questa direzione. Questo vale per chi farà il testamento biologico ma anche per i familiari che, in assenza di un'esplicita volontà del malato, dovranno decidere per lui; così come per il personale sanitario che dovrà eseguire le volontà testamentarie. Come accade per l'aborto la possibilità di abortire non significa che si debba necessariamente farlo. E proprio in questo spazio ristretto - tra la disponibilità di una norma e la libera scelta individuale - il cristiano può rendere la sua testimonianza per la vita. Per affermare i suoi valori non ha bisogno dello scudo della legge, ma solo della forza disarmata della sua fede.


  



tratto da: Liberazione
11 febbraio 2009, pp. 1 e 5.

Nessun commento: