domenica 2 ottobre 2016

Predicazione di domenica 2 ottobre su 2 Corinzi 9,6-15 a cura di Marco Gisola


2 Corinzi 9,6-15 (lettura di appoggio: 2 Corinzi 8,7-15)
Ora dico questo: chi semina scarsamente mieterà altresì scarsamente; e chi semina abbondantemente mieterà altresì abbondantemente. Dia ciascuno come ha deliberato in cuor suo; non di mala voglia, né per forza, perché Dio ama un donatore gioioso. Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia, affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quel che vi è necessario, abbondiate per ogni opera buona; come sta scritto: «Egli ha profuso, egli ha dato ai poveri,la sua giustizia dura in eterno».Colui che fornisce al seminatore la semenza e il pane da mangiare, fornirà e moltiplicherà la semenza vostra e accrescerà i frutti della vostra giustizia. Così, arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi. Perché l'adempimento di questo servizio sacro non solo supplisce ai bisogni dei santi ma più ancora produce abbondanza di ringraziamenti a Dio; perché la prova pratica fornita da questa sovvenzione li porta a glorificare Dio per l'ubbidienza con cui professate il vangelo di Cristo e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti. Essi pregano per voi, perché vi amano a causa della grazia sovrabbondante che Dio vi ha concessa. Ringraziato sia Dio per il suo dono ineffabile!

Oggi la Parola di Dio ci parla di soldi. Nella seconda lettera ai Corinzi, infatti, Paolo dedica ben due capitoli – l’8 e il 9 – alla questione di una colletta che le altre chiese fanno per i cristiani di Gerusalemme. Gli esperti ci dicono che questa lettera forse raccoglie frammenti di diverse lettere indirizzate alla chiesa di Corinto, che poi qualcuno ha trovato e messo insieme. In effetti sarebbe un po’ strano che Paolo affrontasse questo argomento al capitolo 8 e poi ricominciasse a parlarne al cap. 9, come se non ne avesse ancora parlato. Comunque, che si tratti di una lettera o di più lettere poi messe insieme, è chiaro per Paolo si tratta di una questione molto importante.
Non sappiamo esattamente che cosa fosse successo a Gerusalemme, ma evidentemente i cristiani di quella chiesa passano un brutto momento dal punto di vista del loro sostentamento. E si trattava della chiesa-madre, la chiesa dei primi apostoli, quindi una chiesa che ha un valore simbolico molto alto. Paolo infatti parla dei cristiani di Gerusalemme definendoli “santi”. Paolo, all’inizio del capitolo 9 parla della “sovvenzione destinata ai santi”.
Che cosa ci dice questo brano di Paolo, che qui esorta i cristiani di Corinto a raccogliere denaro da mandare in aiuto ai cristiani di Gerusalemme? Ci dice alcune cose:

1. La prima è che la nostra vita materiale è una questione di fede. O se preferite, che la nostra fede riguarda anche la sfera materiale, economica della nostra vita. La fede tocca il nostro portafoglio. Perché c’è qualcuno che ha meno di te, che ha più bisogno di te. Il donare fa parte della vita di fede, è una conseguenza della fede.
E come? Alcune indicazioni ce le dà il capitolo 8, in cui Paolo tratta lo stesso tema, da cui abbiamo ascoltato alcuni versetti. Paolo lì invita i Corinzi a dare “secondo le vostre possibilità” (8,11). Non c’è legge, non c’è tassa, Paolo non prescrive quanto i Corinzi debbano dare per le necessità dei cristiani di Gerusalemme. Dice loro: date secondo le vostre possibilità. In questo, come in molte scelte che i cristiani sono chiamati a fare, c’è libertà. E quindi c’è responsabilità, sei libero di donare quello che ritieni giusto sia secondo le tue possibilità, sei quindi anche responsabile di donare secondo le tue possibilità.
Qui nel cap. 9 Paolo dice che bisogna donare con generosità e non di malavoglia o per forza.
Se è per forza non è più un dono; per forza si paga una multa: a me è successo: sono passato col rosso, ed era giusto che pagassi, ma non l’ho fatto volentieri…! Un dono invece non si fa per forza, ma con gioia. E Dio ama un donatore gioioso. Il tuo dono deve renderti gioioso; lo avrete sperimentato tutti: fare un regalo gradito, che suscita gioia in chi lo riceve, rende gioioso anche chi dona.
Dunque donare liberamente, responsabilmente, generosamente (non le briciole del nostro superfluo) e con gioia. Questo è gradito a Dio. 
 
2. Che cos’è questo donare? Paolo non usa il termine colletta, ma usa altre parole: parla di “opera di grazia” e arriva a dire che si tratta di un “servizio sacro”, quindi un atto di culto (9,12). E sapete qual’è la parola che la nostra Bibbia traduce con “sovvenzione”? È diaconia, cioè servizio. Donare è culto, è servizio. E qual è il criterio con cui si rende questo servizio? Nel cap. 8 - scusate se salto un po’ di qua e un po’ di là – è quello che Dio stesso ha applicato quando ha donato la manna al suo popolo nel deserto: «Chi aveva raccolto molto non ne ebbe di troppo, e chi aveva raccolto poco, non ne ebbe troppo poco». Nè troppo, né troppo poco: questo è ciò che Dio vuole. A differenza degli esseri umani: qualcuno vuole molto e ha troppo, cosicché la conseguenza è che per forza qualcun altro ha troppo poco.
E Paolo spiega, dicendo: “la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, perché la loro abbondanza supplisca altresì al vostro bisogno, affinché ci sia uguaglianza, secondo quel che è scritto: «Chi aveva raccolto molto non ne ebbe di troppo, e chi aveva raccolto poco, non ne ebbe troppo poco».
Uguaglianza è ciò che Dio vuole. E l'uguaglianza – visto che non c’è – si raggiunge con la condivisione, con il dono di chi ha di più a chi ha dimeno: “la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno” : condivisione, per raggiungere l’obiettivo dell'uguaglianza. Dunque “diaconia”, “servizio sacro”… Paolo usa termini cultuali per parlare del dono. Il dono fa parte del culto quotidiano che rendiamo a Dio, condividendo con chi ha meno di noi e più bisogno di noi. Il dono è diaconia ed è culto.

3. Inserisco qui il tema di cui di solito non si parla volentieri: le contribuzioni alla nostra cassa culto. anch’io non ne parlo volentieri, perché mi sembra sempre di chiedere soldi per me, per il mio stipendio.
Paolo parla di una colletta per i cristiani di Gerusalemme che sono in difficoltà economiche, non parla degli “stipendi” o del mantenimento degli apostoli. Tanto più che lui si manteneva lavorando… Si tratta però sempre di un “dare”, si tratta sempre di un “dono” e di condivisione. La nostra chiesa ha sempre fatto la scelta precisa che siano i membri di chiesa a mantenere i loro pastori e pastore. Non direttamente, ma attraverso la Tavola che garantisce quella uguaglianza di cui parlavano prima, perché tutti i pastori e le pastore ricevono lo stesso stipendio (a parte una piccola anzianità di servizio).
Per questo non si usa l’otto per mille per pagare i pastori. Innanzitutto perché l'otto per mille è denaro dello Stato mentre la predicazione, la cura pastorale, la catechesi è una cosa della chiesa, anzi è la vocazione della chiesa che con lo Stato non c’entra. E poi per mantenere quel legame di condivisione tra pastori e membri di chiesa: i pastori mettono il loro tempo, la loro formazione, le loro capacità, il loro impegno – sta a voi valutare se ciò sia sufficiente o no, se risponde ai vostri bisogni oppure no – e i membri di chiesa ci mettono il denaro perché i pastori possano vivere senza fare un altro lavoro.
Forse questo non c’entra direttamente con la colletta di cui parla Paolo, ma mi sembra che con le contribuzioni che siamo chiamati a dare, c’entrino i criteri che Paolo scrive qui: libertà, responsabilità, generosità, gioia. Io non vorrei che nemmeno un centesimo del mio stipendio sia dato di malavoglia o senza gioia.
Dovrebbe essere, secondo me – e forse Paolo sarebbe d’accordo – un circolo virtuoso di condivisione: io mi impegno a cercare – poi se ci riesco è un altro discorso… - di fare predicazioni più o meno decenti, di preparare studi biblici attraverso cui si possa crescere insieme, a stare accanto alle persone che lo desiderano nella cura pastorale... E voi vi impegnate con il vostro denaro affinché io possa fare tutto questo senza dover fare l’operaio o l’infermiere per mantenermi.

4. Chiudo la parentesi “contribuzioni” e torno al testo per dire un’ultima cosa: che cosa produce questo donare e ricevere, questo scambio virtuoso di doni? Paolo scrive: l'adempimento di questo servizio sacro non solo supplisce ai bisogni dei santi ma più ancora produce abbondanza di ringraziamenti a Dio […] Essi pregano per voi, perché vi amano a causa della grazia sovrabbondante che Dio vi ha concessa.
Questo scambio di donare e ricevere produce innanzitutto abbondanza di ringraziamenti a Dio e poi la preghiera di chi riceve per chi dona. Produce insomma lode a Dio e comunione tra le chiese e tra i cristiani.
Il dono, la condivisione hanno un grande effetto, secondo Paolo. La fede tocca la nostra vita materiale, dicevamo all’inizio, ma il materiale diventa spirituale. La condivisione materiale produce frutti spirituali: lode a Dio e preghiera gli uni per gli altri. Il materiale è spirituale.
Questo vale per la sottoscrizione per i terremotati come per le contribuzione per la vita della nostra chiesa, come per qualunque altra condivisione materiale.
Tutto ciò è fondato nell’opera di “ Gesù Cristo il quale – scrive Paolo al cap. 8 - , essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventare ricchi”. Per condividere ciò che si ha non è necessario essere ricchi di beni o di proprietà. È sufficiente essere ricchi della grazia di Dio, che è il donatore per definizione.
Per questo Paolo conclude la sua esortazione a dare con una lode a colui che ha dato per primo: “Ringraziato sia Dio per il suo dono ineffabile! Che è Gesù Cristo, che ha dato se stesso per noi, affinché anche noi imparassimo a donare e condividere con gioia, per far crescere la comunione nella chiesa e per dare gloria a Dio.

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