lunedì 31 ottobre 2016

Predicazione della Domenica della Riforma su Romani 3,21-28 (preparata da Marco Gisola e letta da Massimiliano Zegna)

Romani 3, 21-28
Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. Dov'è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; poiché riteniamo che l'uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge.

Questo brano, proposto per la domenica della Riforma, è un testo chiave del discorso di Paolo ai Romani ed è stato definito da Lutero il “punto capitale e centrale della lettera ai Romani e dell’intera Scrittura”.
Qui è infatti riassunto in poche e chiare parole il rapporto che c’è tra esseri umani e Dio, e il ruolo che essi hanno in questo rapporto che possono essere riassunti dal peccato radicale dell’essere umano e dalla grazia altrettanto radicale di Dio.
Infatti non esiste grazia di Dio senza peccato umano. Se si accetta l’idea della grazia di Dio non si può non accettare anche l’idea del peccato radicale dell’essere umano, perché rifiutare una delle due cose equivale a rifiutarle tutte e due.
Abbiamo ascoltato il racconto evangelico del fariseo e del pubblicano (Luca 18,9-14) che salgono entrambi al tempio a pregare, e il fariseo ringrazia di essere quello che è, e di non essere un peccatore come il pubblicano, mentre quest’ultimo chiede semplicemente perdono per le proprie colpe.
Il fariseo di questo racconto è un uomo che crede fermamente alla grazia di Dio, che crede fermamente in un Dio misericordioso; il suo errore non è quello di non credere alla grazia di Dio; il suo errore è quello di non credere al proprio peccato!
E proprio questo è il suo peccato principale: credere alla grazia senza credere al peccato. Ma non ha senso credere alla grazia, se non si crede al proprio peccato.
Non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio dice Paolo; tutti, non vi sono persone più vicine a Dio di altre: e questa è per noi la cosa più difficile da accettare, anche dopo duemila anni di cristianesimo e quasi cinquecento di Riforma.
È difficile accettare che davanti a Dio non c’è distinzione e che tutti sono peccatori, e quindi che ciascuno di noi è peccatore e lo è fino in fondo.
Come accettare che non ci sia distinzione davanti a Dio e alla sua grazia tra chi va ogni domenica al culto e chi non ci va mai? Come accettare che non ci sia distinzione davanti a Dio tra chi prega tutti i giorni e chi non prega mai?
Come accettare che non ci sia distinzione davanti a Dio tra noi, che ci riteniamo buoni cittadini, e qualcuno che è detenuto in carcere per aver commesso qualche reato? E in fondo: come accettare che non vi sia distinzione davanti a Dio e alla sua grazia tra il fariseo e il pubblicano?
Queste parole: “non c’è distinzione, tutti hanno peccato” sono il vero scandalo del cristianesimo, scandalo che rimarrà sempre uno scandalo, perché non potrà mai essere accettato pienamente. Forse a parole diciamo “è vero è proprio così, tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio”, ma in fondo in fondo ognuno pensa di essere un po’ meglio di altri.
Molto spesso diciamo: “eh sì, siamo tutti peccatori”. Ma quante volte dicendo questo pensiamo dentro di noi: “eh sì, io sono peccatore, proprio come tutti gli altri”? e quante volte la frase “siamo tutti peccatori” non ha piuttosto lo scopo di autogiustificarci nel senso del proverbiale mal comune mezzo gaudio?
Finché non verrà pienamente accettato lo scandalo del “non c’è distinzione” (cioè forse mai!) ci saranno sempre disuguaglianze tra gli esseri umani.
Perché è questo scandalo che elimina le disuguaglianze tra gli esseri umani, sono le parole “non c’è distinzione” che eliminano le disuguaglianze tra gli esseri umani. Solo se tutti siamo egualmente peccatori e egualmente privi della gloria di Dio, siamo tutti uguali.
Ma finché qualcuno pensa di essere un po’ meglio, un po’ meno peccatore, ci saranno sempre disuguaglianze e discriminazioni. È quando i farisei si ritengono migliori dei pubblicani che esistono le discriminazioni; è quando i bianchi si ritengono migliori dei neri, quando gli uomini si ritengono migliori delle donne, quando i laureati si ritengono migliori di quelli che hanno la seconda elementare, quando i “furbi” si ritengono migliori degli onesti, che esistono le discriminazioni …
Nel nostro orgoglio non sappiamo accettare di essere tutti uguali, ognuno vuole essere meglio e qualcosa di più di qualcun altro. Vogliamo essere diversi da quel che siamo, cioè tutti peccatori, senza distinzione.
La Parola di Dio ci dice e ci ripete che invece è proprio così, che “non c’è distinzione”.
Questo significa che davanti a Dio abbiamo tutti le stesse possibilità, perché l’unica possibilità per tutti è di ricevere da lui la sua grazia.
Di ricevere, non di offrire, non abbiamo nulla da offrirgli. l’unica possibilità che abbiamo davanti a Dio è quella che ci dà lui, è quella che lui, Dio, dona a chi vuole. Nella parabola questa possibilità la dà al pubblicano, sebbene il fariseo avesse – umanamente e religiosamente parlando - molto di più da offrirgli.
Questa possibilità è la grazia: “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia mediante la redenzione che è in Cristo Gesù”.
Questa possibilità è un dono, ed è certa. È certa a meno che, come il fariseo, pensiamo di non averne bisogno, di non avere bisogno del dono della grazia, ma di avere noi qualcosa da offrire a Dio.
È certa, ma questa certezza non dipende da noi, dalle nostre opere, da ciò che facciamo. Anzi: è certa, proprio perché non dipende da noi, ma dipende esclusivamente da Dio, da ciò che lui ha fatto in Cristo per noi (mica per lui, per noi!): “la redenzione che è in Cristo Gesù.
Perché ottenessimo questo dono “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue”. Paolo usa il linguaggio sacrificale per dire che non è stato un regalino quello che Dio ci ha fatto, ma un enorme dono, un sacrificio, perché è costato la vita del suo figlio Gesù.
È perché è costato la vita di Gesù che quel dono è certo, che il perdono di Dio è una certezza, che la possibilità che Dio ci dona di ricominciare è certa.
La nostra fede riconosce e crede semplicemente tutto ciò. Non è un merito nemmeno la nostra fede. La fede non è un punto di arrivo. Il teologo svizzero Karl Barth commentando questi versetti scriveva: “Non c’è ... nessun itinerario di salvezza, nessuna scala graduata verso la fede... la fede è sempre l’inizio”.
La fede, la chiesa, il culto, la preghiera, la spiritualità personale non sono mai il punto di arrivo, bensì sempre quello di partenza. Punto di partenza per tentare ogni giorno di vivere una vita nella gratitudine e nel discepolato.
Per tentare ogni giorno di vivere riconoscenti per l'enorme dono che il Signore ci ha fatto e quindi di restituire al nostro prossimo, di condividere con il nostro prossimo un po’ di quel dono e di quell’amore che abbiamo ricevuti.
La grazia di Dio, che è dono, rivoluziona la nostra vita perché ci inserisce nella logica del dono e vuole che la logica del dono diventi la nostra vita quotidiana, che la logica del dono diventi il modo in cui guardiamo negli occhi il nostro prossimo.
È grazie a questo dono di Dio che viviamo, è grazie a questo dono di Dio che speriamo, è grazie a questo dono di Dio che amiamo. Perché non avendo nulla da offrire a Dio, se non confessargli il nostro peccato, riceviamo tutto da lui, per grazia, in dono.
La Riforma, iniziata 499 anni fa, in fondo ha voluto far riscoprire ai cristiani che il centro dell’evangelo è questo dono, questo “tutto” che Dio ci ha donato in Cristo, in cambio del “nulla” che possiamo offrirgli. E che su questo “tutto” che Dio ci ha donato abbiamo la possibilità di costruire una vita piena di amore, piena di speranza, piena di gioia.
Piena di tutto ciò, perché lui l’ha riempita, nella sua grazia, del suo dono di cui possiamo solo essere riconoscenti ogni giorno della nostra vita.

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