domenica 20 novembre 2016

Predicazione di domenica 20 novembre 2016 a cura di Marco Gisola

Apocalisse 21,1-7

  Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più. E vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo da presso Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii una gran voce dal trono, che diceva: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate».
 
E colui che siede sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere», e aggiunse: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita.  Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio.

Nel nostro calendario liturgico questa domenica è l’ultima domenica dell’anno ec­clesiastico, perché domenica prossima sarà la prima domenica di Avvento, che segna per noi l’inizio dell’anno liturgico che segue le tappe della vita di Gesù e quindi comincia con l’attesa della sua nascita. Oggi dunque si conclude un cammino che abbiamo iniziato un anno fa e che ci ha accompagnato dall’avvento verso il Natale, poi attraverso i vari momenti del ministero di Gesù, verso la passione e la Pasqua, poi fino a Pentecoste e poi fino a oggi; e dato che questa storia non ha una fine, la domenica di oggi si chiama anche “domenica dell’eternità”. L’anno liturgico si conclude dando uno sguardo a quello che ancora deve venire, al Regno di Dio, che è la nostra meta ultima, la cui caratteristica è appunto l’eternità.
Per questo il testo che è indicato per la predicazione di oggi è questa bellissima visione tratta dal libro dell’Apocalisse. È appunto una visione; nell’apocalisse l’autore racconta proprio le visioni che egli ha avuto, racconta lo sguardo che lui ha potuto gettare nel regno e racconta gli accadimenti che preparano la sua venuta. E racconta queste visioni a dei cristiani che hanno bisogno di consolazione e incoraggiamento perché minacciati dalle persecuzioni. Non sono dunque visioni in cui rifugiarsi per smettere di pensare ai problemi presenti, ma sono visioni che devono infondere coraggio e speranza per affrontare e superare i problemi, le difficoltà, le sofferenze. Il regno di Dio non è una bella favola da ascoltare quando si vuole uscire dalla realtà, ma al contrario, è la realtà futura che ci attende e che ci è promessa, che dà senso a questa nostra realtà presente e ci aiuta a viverla, a viverne anche gli aspetti meno gioiosi e più dolorosi.
Che cosa ci viene detto di questo regno? La prima cosa che ci viene detta è che è una novità, completamente nuova e diversa dalla realtà che stiamo vivendo ora. Il regno di Dio che attendiamo sarà una cosa totalmente nuova, che non possiamo immaginarci. L’apocalisse ci dice che in questo regno nuovo non ci sarà più dolore e non ci sarà più ciò che nella vita dà forse il dolore più grande, ovvero la morte dei nostri cari. Questa promessa è dunque una grande consolazione per chi vive situazioni di dolore estremo e di lutto. Non è un caso che questo testo venga letto spesso ai funerali, perché è un testo che parla esplicitamente della morte e del dolore e dice chiaramente che nel regno di Dio morte e dolore non ci saranno più. Chi vive veramente nella disperazione, può ascoltare e ricevere questo brano biblico come una promessa molto concreta di un futuro veramente diverso.
Questo testo biblico, come molti altri, ma forse in modo più chiaro di altri, ci dice che è il futuro che dà senso al nostro presente, è il futuro di Dio, cioè che Dio ci ha promesso, che da senso al nostro presente – proprio al nostro, al mio e al tuo presente. C’è, ovviamente, un futuro prossimo, che ci costruiamo noi e per cui vale la pena lavorare e lottare, per esempio per lasciare un mondo meno sporco e meno ingiusto ai nostri figli. Ma poi c’è un futuro che non ci costruiamo noi e che dà senso alla nostra vita, il futuro che Dio costruisce per noi, che è quello di cui parla l’Apocalisse. E se il regno di Dio è prima di tutto novità, ciò significa che noi ora apparteniamo ancora al vecchio mondo, alla vecchia terra, alle cose che passano, che sono provvisorie; e che anche la chiesa, che pure è radunata e voluta Dio, appartiene al vecchio, è provvisoria, destinata a passare insieme a tutte le altre cose vecchie.
Anche noi siamo provvisori. È provvisorio tutto ciò che facciamo, è provvisorio il bene che facciamo, per il quale dunque non dovremmo inorgoglirci; è provvisorio il male che facciamo, che è rimesso al giudizio e soprattutto al perdono di Dio. È provvisoria la nostra felicità, è provvisoria la nostra infelicità; la felicità è superata da una felicità nuova e l’infelicità è sconfitta da una felicità nuova.
Il motivo dell’assenza di dolore e la novità più grossa di questa visione, di questo annuncio del regno, è che Dio stesso sarà presente in esso insieme agli esseri umani. E sarà lui ad asciugare le loro lacrime: «egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate».
I cristiani della fine del primo secolo erano incoraggiati e ricevevano speranza da questa fiducia nella nuova creazione, nel regno di Dio, perché ciò annunciava loro che anche le per­secuzioni che stavano subendo, per quanto fossero brutali, erano provvisorie e giustizia sarebbe stata fatta nel regno di Dio, dove tutto sarà nuovo. E lo stesso vale per noi perché non solo le persecuzioni, ma anche tutte le altre sofferenze scompariranno nella nuova creazione, alla presenza di Dio.
Scompariranno anche le incomprensioni, le inimicizie, i rancori, le gelosie; scompari­ranno i tanti dubbi che per forza di cose circondano la nostra stessa fede, scompariranno le mille domande che ci facciamo su tutte le ingiustizie che accadono intorno a noi, perché per tutti giustizia sarà fatta. Il nuovo di Dio, il futuro di Dio dà dunque senso al vecchio e al presente che viviamo ogni giorno. Ma sbaglieremmo se noi pensassimo a questo nuovo come a qualcosa di esclusivamente futuro. È vero che l’apocalisse descrive un regno totalmente futuro. Ma nel Nuovo Testamento c’è un altro brano che parla del “nuovo” di Dio e che non riguarda il futuro ma il presente: è il brano di 2 Corinzi 5,17: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove”.
Chi “è in Cristo” è una nuova creatura. Essere in Cristo è un tipico modo di dire di Paolo, vuol dire essere nella fede, vivere una vita nella fiducia e nella certezza dell’amore di Dio, dell’amore che Dio ha rivelato in Cristo. Il futuro è già arrivato in Cristo. Non è arrivato in modo definitivo, non ha trionfato in modo definitivo, e infatti il dolore e il lutto ci sono ancora, perché il nuovo è entrato nel vecchio nella persona di Gesù, che si è fatto uomo e quindi debole come noi. Il nuovo non è arrivato nella potenza trionfante di cui ci parla l'apocalisse, che parla del compimento del regno, ma nella debolezza di Gesù, che è l’inizio del regno.
C’è l’inizio del nuovo e l’inizio del regno, c’è quindi ancora contemporaneamente anche ancora il vecchio, con il suo dolore. Ma c’è già anche l’inizio del nuovo, l’inizio che conosciamo solo nella fede e che sperimentiamo – in mezzo a tutta la nostra debolezza – quando la speranza ha la meglio sulla disperazione, quando la giustizia ha la meglio sull’ingiustizia, quando la riconciliazione ha la meglio sul conflitto.
Il nuovo e il vecchio si intrecciano nella nostra esistenza di tutti i giorni, ma il nuovo del futuro di Dio è promesso ed è una certezza.
In questo brano dell'Apocalisse prende parola anche Dio: E colui che siede sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Poi mi disse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere», e aggiunse: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell'acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose, io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio.
Io faccio nuove tutte le cose”, dice Dio; io faccio, non voi; Dio fa, non noi. E lo ribadisce dicendo: «Ogni cosa è compiuta. Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine. Tutto è compiuto e Dio sta all’inizio e alla fine di tutto, della storia del mondo e anche all’inizio e alla fine della storia di ciascuno e ciascuna di noi.
Tutto è compiuto, ma dove e quando? In Cristo tutto è compiuto, nella morte e resurrezione di Gesù tutto è compiuto. Il nostro futuro è già stato scritto nel passato, in quel momento preciso della storia in cui Dio ha rivelato la sua grazia nella croce e nella resurrezione di Gesù. Per questo la promessa del futuro di Dio è certa e possiamo confidare in essa. Per questo il nuovo è già iniziato ed è in mezzo a noi.
Infine Dio dice al “veggente” dell’Apocalisse: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veritiere». Ciò che è vero, il vero e bello evangelo di Gesù Cristo va scritto, la vera e bella notizia del trionfo della vita sulla morte, la vera e bella novità che le nostre lacrime saranno asciugate da Dio in persona va messa nero su bianco e va annunciata e comunicata.
Che il Signore ci aiuti a credere nel nuovo del suo regno, a viverlo nella nostra vita di ogni giorno e a scriverlo per il nostro prossimo con le nostre parole e le nostre azioni.

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