martedì 5 giugno 2018

Predicazione di domenica 3 giugno 2018 su 1 Corinzi 14,1-3.20-25 a cura di Massimiliano Zegna

1 Corinzi 14,1-3.20-25

Desiderate ardentemente l’amore, non tralasciando però di ricercare i doni spirituali, principalmente il dono di profezia.
Perchè chi parla in altra lingua non parla agli uomini ma a Dio; poiché nessuno lo capisce, ma in spirito dice cose misteriose. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione.
Fratelli, non siate bambini quanto al ragionare; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto al ragionare, siate uomini compiuti.
E’ scritto nella legge: “Parlerò a questo popolo per mezzo di persone che parlano altre lingue e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi ascolteranno” dice il Signore.
Quindi le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti; la profezia, invece, serve di segno non per i non credenti ma per i credenti.
Quando dunque tutta la chiesa si riunisce, se tutti parlano in altre lingue ed entrano degli estranei o dei non credenti, non diranno che siete pazzi?
Ma se tutti profetizzano ed entra qualche non credente o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è scrutato da tutti, i segreti del suo cuore sono svelati; e così gettandosi giù con la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi”.



I capitoli 13 e 14 della prima lettera di Paolo ai Corinzi contengono delle affermazioni per me molto suggestive che mi hanno sempre colpito perché hanno accresciuto sia la mia fede in Dio sia il mio amore nei confronti di Gesù Cristo e nel suo Evangelo.
La prima frase del capitolo 13 di Prima Corinzi mi era stata suggerita anni fa grazie alla lettura in occasione dell’anniversario, nel tempio di Piedicavallo, del mio matrimonio con Anna.

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi l’amore, non sarei nulla.”

Poi vi sono le prima frasi del capitolo 14 oggetto delle mia predicazione di oggi che sono altrettanto suggestive: “Desiderate ardentemente l’amore, non tralasciando però di ricercare i doni spirituali, principalmente il dono di profezia. Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno lo capisce, ma in spirito dice cose misteriose. Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione.

Dedicato all’amore è stato il discorso del pastore Michael Curry della chiesa episcopale americana in occasione dello storico matrimonio in Gran Bretagna fra il principe Harry e la sua sposa americana Meghan. Il pastore ha subito citato Martin Luther King nella sua predicazione Dobbiamo scoprire il potere dell’amore, il potere redentore dell’amore”.
Quello che più mi ha colpito di questo matrimonio non sono stati i cappellini variopinti degli invitati ma lo stupore degli organi di informazione nei confronti delle parole del pastore.
Forse ci si aspettava una predicazione più tradizionalista, più legata all’evento di matrimonio regale ma le parole semplici che derivano dall’Evangelo di Gesù Cristo sono ancora quelle che destano stupore in chi, forse, non ha conosciuto fino in fondo il messaggio d’amore che dovrebbe essere tipico di una chiesa protestante e comunque di una chiesa cristiana in generale.

Nel messaggio di Paolo ai Corinzi vi è un richiamo forte all’amore ma anche ai doni spirituali: in primo piano vi è la capacità di profetizzare.
Che cosa significa profetizzare? Chi è un profeta? Certo vi sono i profeti che si leggono nella Bibbia: Geremia od Isaia od altri, però la loro caratteristica non è tanto il prevedere il futuro ma testimoniare la presenza di Dio ieri oggi e domani. E questo lo si può fare in tempi e modi diversi e noi stessi lo possiamo fare anche nella nostra comunità con un linguaggio di esortazione, di edificazione, di consolazione.

Paolo dice che la profetizzazione è più importante del parlare in lingue. Che cosa significa questa frase che tira in ballo quella che si chiama con parola complicata di origine greca, la glossolalia (praticata nella chiesa di Corinto e ripresa anche nelle chiese pentecostali) che significa la capacità di parlare in altre lingue sotto l’influsso dello spirito.
C’è una bella risposta del teologo pastore Paolo Ricca che ho trovato recentemente in un sito della chiesa valdese.
Ecco una parte significativa del commento di Ricca:


Più interessante però della domanda se il «parlare in lingue» sia «segno divino» oppure «solo autosuggestione», mi sembra essere quest’altra domanda: Al di là della natura del fenomeno, quale può essere il suo significato? A me pare che un significato possa essere cercato principalmente in due direzioni. La prima è che questa «lingua degli angeli» (I Corinzi 13, 1), cioè non umana, parlata però occasionalmente da creature umane, segnala in maniera inequivocabile l’alterità di Dio e delle cose divine, che però si manifesta in mezzo alla comunità umana: Dio è in mezzo agli uomini, quindi presente e vicino a loro, ma come radicalmente altro; non è un pezzo di questo mondo. Come sono diversi i suoi pensieri e «più alti» dei nostri (Isaia 55, 9), così è diversa, se così si può dire, la sua lingua, quando, attraverso lo Spirito, parla direttamente, e non attraverso la mediazione di linguaggi umani.
E che cosa vuol dire che Dio è «altro» rispetto a noi? Vuol dire che non è un prodotto umano, creato dall’immaginazione, dal desiderio oppure dalle paure o dalle frustrazioni dell’uomo. Ma la sua divina alterità non significa estraneità, lontananza, e neppure incomunicabilità: Dio è Parola, che posso anche non capire, ma che può essere «interpretata», cioè tradotta nella mia lingua. Dio vuole, sì, manifestare la sua alterità, ma, come Altro, vuole comunicare con noi. Ecco perché Pietro, dopo aver parlato «in lingue», fa un discorso che tutti possono capire. Ma c’è un secondo significato possibile. Chi sono stati i primi cristiani a «parlare in lingue»? Sono stati gli apostoli, asserragliati nella «camera alta», paralizzati dalla paura, che mai avrebbero osato rivolgersi alla folla con un discorso coraggioso (e pericoloso) come quello di Pietro: lo Spirito li ha liberati dalla paura e ha sciolto la loro lingua. E chi erano i membri della chiesa di Corinto che occasionalmente parlavano «in lingue»? Erano per lo più schiavi o ex-schiavi, gente di umilissima condizione, probabilmente analfabeti, che mai e poi mai avrebbero osato parlare in pubblico e forse non sarebbero stati in grado di costruire un discorso razionale: ma ecco che lo Spirito dà loro la parola, come dice il profeta: «La lingua del muto canterà…» (Isaia 35, 6). In questo senso la glossolalia è davvero «segno divino», non per il suo aspetto miracoloso, ma perché fa parlare i «muti», cioè quelli che non osano parlare. Il miracolo è questo”

E’ molto bella questa interpretazione di Ricca di far parlare i “muti” tra virgolette ossia quelli che in genere non osano parlare. Un’altra mia interpretazione mi è stata suggerita da chi ha dimestichezza con i mezzi moderni quali il computer o internet. Ho scoperto che un giovane ha inventato, per comunicare con la propria ragazza giapponese, una app ossia un’applicazione di internet secondo cui è possibile che parlare in lingue diverse attraverso il proprio telefonino. Questo significa che fra due persone in modo simultaneo una conversazione telefonica possa essere tradotta ad esempio dal francese in italiano per essere subito compresa con l’utilizzo dei rispettivi cellulari.
Ecco quindi che le parole di Paolo possano essere meglio comprese nel mondo di oggi per dare della glossolalia ossia della capacità di parlare con lingue diverse non una interpretazione miracolosa o simbolica come ha spiegato Ricca ma una capacità che adesso si può realizzare con tecniche moderne sconosciute in passato.
Per svolgere questa predicazione mi sono avvalso anche del sermone di Luciano Zappella della chiesa valdese di Bergamo che ho trovato molto interessante. Ecco alcuni brani:


Di fronte alla scelta tra glossolalia e profezia, Paolo non ha dubbi: sceglie la profezia. Lo fa non per contrarietà nei confronti della glossolalia, ma sulla base di un criterio molto chiaro: solo ciò che edifica deve essere messo al centro di tutto. La crescita spirituale di una comunità non la si ottiene con effetti speciali o con formule più o meno misteriose, ma usando parole comprensibili, capaci di coinvolgere sia il cuore sia la mente. Paolo è pienamente convinto che una sola frase detta con parole chiare vale molto di più di mille parole pronunciate in una lingua incomprensibile. Questo per il semplice fatto che l’evangelo è un messaggio che può e deve essere trasmesso con parole umane, con parole che si rivolgono sia alla ragione sia al sentimento. Non c’è bisogno di esperienze spettacolari o soprannaturali per ricevere o per comunicare l’evangelo!”

L’amore rende impossibile la gelosia, l’odio, il disprezzo. Al tempo stesso, l’amore rende possibile una autentica vita comunitaria, indipendentemente dalla forma organizzativa di una comunità e dalle forme liturgiche del culto. Ma soprattutto, l’amore rende possibile l’edificazione della comunità.

Noi siamo figli di quella Riforma che, spezzando la separazione tra il clero e i laici, ha sottolineato, Bibbia alla mano, come tutti i credenti, dal primo all’ultimo, siano chiamati a predicare l’evangelo di Cristo, a dire la nostra fede, grande o piccola che sia. Solo così potremo essere una comunità profetica”


Nessun commento: