domenica 8 settembre 2019

Predicazione di domenica 8 settembre 2019 (in occasione della Giornata Dolciniana) su Atti 3,1-10 a cura di Marco Gisola

Bocchetta di Margosio (Giornata Dolciniana) – 8 settembre 2019
Atti 3,1-10
Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera dell’ora nona, mentre si portava un uomo, zoppo fin dalla nascita, che ogni giorno deponevano presso la porta del tempio detta «Bella», per chiedere l'elemosina a quelli che entravano nel tempio. Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, egli chiese loro l’elemosina. Pietro, con Giovanni, fissando gli occhi su di lui, disse: «Guardaci!» Ed egli li guardava attentamente, aspettando di ricevere qualcosa da loro. Ma Pietro disse: «Dell’argento e dell'oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!» Lo prese per la mano destra, lo sollevò; e in quell'istante le piante dei piedi e le caviglie gli si rafforzarono. E con un balzo si alzò in piedi e cominciò a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.Tutto il popolo lo vide che camminava e lodava Dio; e lo riconoscevano per colui che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta «Bella» del tempio; e furono pieni di meraviglia e di stupore per quello che gli era accaduto.


1. Quello che ho te lo do. E che cosa ho? Noi, sorelle e fratelli, spesso tendiamo a pensare di avere poco se non addirittura nulla o quasi. Oro e argento non ne abbiamo, o almeno ne abbiamo poco; e anche se ne avessimo questo racconto ci dice che non si tratta di denaro.
Noi pensiamo di avere poco: poco denaro, pochi fedeli, pochi pastori e pastore, poca visibilità… poco di tutto. Questa storia ci dice invece che una cosa ce l’abbiamo ed è in fondo l’unica che conta: la parola.
Voi direte: ma questo è un racconto di miracolo, non una predicazione. Vero. Ma se in questa storia vediamo solo il miracolo prima di tutto ci deprimiamo e poi andiamo fuori strada.
Ci deprimiamo perché la nostra prima reazione davanti a questo racconto è: Pietro incontra un uomo zoppo dalla nascita e lo guarisce, e invece io non sono in grado. A volte mi sembra di non essere in grado nemmeno di curare o di accudire le persone che mi sono care, figuriamo di guarirle!
E poi, la frustrazione è al quadrato: pazienza i miracoli che compie Gesù, quelli li posso ancora accettare: Gesù è il figlio di Dio! Ma Pietro! Un discepolo che è arrivato a negare di conoscere Gesù, quando poco prima aveva proclamato di voler morire con lui! Proprio lui fa miracoli!
Intanto non è Pietro che compie il miracolo. Cioè non si tratta di una virtù o capacità di Pietro. È la parola che pronuncia che fa guarire lo zoppo.
Vi sembrerà una distinzione di poco conto, ma è sostanziale: non è che Pietro è diventato capace di compiere miracoli, di far guarigioni. È che in quel momento la parola agisce e guarisce. Non c’è automatismo, Pietro non è diventato un guaritore, rimane un apostolo, uno inviato ad annunciare l'evangelo. Certo quell’evangelo guarisce lo zoppo e questo ci fa domandare perché l’evangelo che annunciamo noi non lo fa. Ma non è Pietro, è la Parola dell’evangelo che guarisce.
E poi, anche davanti al miracolo, non dobbiamo fermarci all’aspetto fisico del miracolo: lo zoppo non è più zoppo, prima non camminava o camminava male, ora cammina bene. Il significato è più profondo, perché in quella società uno zoppo, come qualunque persona che oggi noi definiremmo disabile, conduceva una vita che era una non-vita.
Infatti chiede l’elemosina, perché non può lavorare, non può mantenersi e uno che non può lavorare e mantenersi difficilmente in quella società può metter su famiglia e rischia, oltre tutto il resto, di essere condannato alla solitudine. E non c’è nemmeno uno stato sociale, quindi dipende dalla generosità o dalla commiserazione degli altri.
Dopo il miracolo, quell’uomo passa da una non-vita a una vita. La parola dell’evangelo che Pietro pronuncia lo rimette in piedi, potremmo quasi dire lo risuscita. Non che fosse morto, ma conduceva appunto una vita non-vita. Ogni giorno era uguale a se stesso, non aveva che da chiedere l’elemosina per comprare qualcosa da mangiare. Ora invece è in piedi, può vivere e guardare avanti. È rinato alla speranza. La Parola di Dio non guarisce soltanto una gamba, ma la persona intera.
Rimane vero che molte persone intorno a noi hanno bisogno di guarigione fisica da troppi tipi di malattia e noi non riusciamo a darla loro. Ma è anche vero che molte persone che non hanno nessun problema di salute, che stanno benissimo, ciononostante non hanno speranza, non sembrano stare in piedi e non guardano avanti.
A tutte queste persone – malate nel fisico o nell’animo - sappiamo dare quello che abbiamo? Siamo capaci a dire «Quello che ho, te lo do», e a dire loro l’evangelo della speranza? E non ce l’ho perché quella parola, quell’evangelo, sia mia. Ce l’ho perché l’ho ricevuto e lo ricevo continuamente. Non è affatto mio, è l’evangelo di Gesù Cristo. Ma proprio perché è suo io posso darlo e dirlo.


2. Finora ho dato per scontato che noi possiamo identificarci con gli apostoli, con coloro che hanno ricevuto l’evangelo e sono chiamati a annunciare questa parola che trasforma.
E se invece, qualche volta, fossimo noi lo zoppo? Se fossimo noi quelli che chiedono l’elemosina, ovvero che hanno bisogno di qualcosa che ci aiuti a vivere?
Se fossimo noi quelli che chiedono l’elemosina, ovvero che chiedono e dalla vita si aspettano solo un’elemosina, solo briciole, per poter giusto sopravvivere e arrivare alla fine della giornata?
Come credenti siamo sì, tutti e tutte noi inviati/e a portare la parola dell’evangelo che guarisce e trasforma.
Ma siamo prima di tutto i destinatari di questa parola, siamo prima di tutto coloro che sono chiamati a ascoltarla e ad alzarsi in piedi, guariti dalle proprie tristezze e dalle proprie rassegnazioni per trovare in quella parola nuova speranza e nuovo senso alla propria vita.
Del resto non sono stati proprio anche Pietro e Giovanni “zoppi” nel loro discepolato di Gesù? Pietro il rinnegatore, Giovanni che insieme al fratello voleva stare alla destra e alla sinistra di Gesù nel suo regno non hanno “zoppicato” nel loro cammino dietro a Gesù?
È solo l’evangelo della resurrezione che li ha rimessi in piedi, solo dopo la resurrezione di Gesù e il dono dello Spirito a Pentecoste – raccontata nel capitolo precedente – che i discepoli zoppicanti nella loro sequela si sono rimessi in piedi e sono diventati apostoli, cioè annunciatori della Parola e non solo più destinatari.
E, tornando al nostro racconto, forse ora c’è un discepolo in più: una volta guarito, l’uomo che era stato zoppo «entrò con loro nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio».
Quell’uomo entra nel tempio «camminando, saltando e lodando Dio», ovvero cammina senza problemi, vive una nuova vita, salta, cioè fa quello che prima non poteva fare, loda Dio, quindi è grato e gioioso.
Ma non solo: tutto questo lo fa entrando nel tempio «con loro». Non è più solo, è con Pietro e Giovanni, non ha trovato, o meglio: non ha ricevuto soltanto gambe nuove e quindi vita nuova, ma anche comunione nuova, fratellanza nuova. Non è più solo, la parola che lo ha guarito gli ha anche dato dei fratelli e delle sorelle.
Questa è la Parola che ci raggiunge oggi: l’evangelo ti rimette in piedi, ti dona nuova vita e nuova speranza e anche una comunità fatta di sorelle e fratelli con cui gioire, saltare e lodare Dio insieme.
Ma dopo aver gioito lodato, la stessa parola manda quella comunità fuori, a tutti gli zoppi, i tristi, i rassegnati, a tutti gli oppressi e gli emarginati a dire loro: “quello che ho te lo do”, la Parola che libera e guarisce, che ridona speranza e rimette in piedi.
Ci dia il Signore di saper invocare il suo aiuto quando siamo zoppi, stanchi e rassegnati e di saper annunciare il suo evangelo quando quella stessa parola ci rimette in piedi.
Nella ferma fiducia che quella Parola, la Parola di Dio ogni giorno ci viene incontro nel nostro zoppicare, ogni giorno ci rimette in piedi e ogni giorno ci chiama a condividere l’evangelo della rinascita e della speranza.

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