martedì 3 settembre 2019

Predicazione di domenica 1 settembre su 2 Samuele 12,1-14 a cura di Marco Gisola

Biella, 1 settembre 2019
 
2 Samuele 12,1-14

1 Il SIGNORE mandò Natan da Davide e Natan andò da lui e gli disse:
«C'erano due uomini nella stessa città; uno ricco e l'altro povero.
2 Il ricco aveva pecore e buoi in grandissimo numero; 3 ma il povero non aveva nulla, se non una piccola agnellina che egli aveva comprata e allevata; gli era cresciuta in casa insieme ai figli, mangiando il pane di lui, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Essa era per lui come una figlia. 4 Un giorno arrivò un viaggiatore a casa dell'uomo ricco. Questi, risparmiando le sue pecore e i suoi buoi, non ne prese per preparare un pasto al viaggiatore che era capitato da lui; prese invece l'agnellina dell'uomo povero e la cucinò per colui che gli era venuto in casa».
5 Davide si adirò moltissimo contro quell'uomo e disse a Natan: «Com'è vero che il SIGNORE vive, colui che ha fatto questo merita la morte; 6 e pagherà quattro volte il valore dell'agnellina, per aver fatto una cosa simile e non aver avuto pietà».
7 Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell'uomo! Così dice il SIGNORE, il Dio d'Israele: "Io ti ho unto re d'Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, 8 ti ho dato la casa del tuo signore e ho messo nelle tue braccia le donne del tuo signore; ti ho dato la casa d'Israele e di Giuda e, se questo era troppo poco, vi avrei aggiunto anche dell'altro. 9 Perché dunque hai disprezzato la parola del SIGNORE, facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai fatto uccidere Uria, l'Ittita, hai preso per te sua moglie e hai ucciso lui con la spada dei figli di Ammon. 10 Ora dunque la spada non si allontanerà mai dalla tua casa, perché tu mi hai disprezzato e hai preso per te la moglie di Uria, l'Ittita". 11 Così dice il SIGNORE: "Ecco, io farò venire addosso a te delle sciagure dall'interno della tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro, che si unirà a loro alla luce di questo sole; 12 poiché tu lo hai fatto in segreto; ma io farò questo davanti a tutto Israele e in faccia al sole"».
13 Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il SIGNORE». Natan rispose a Davide: «Il SIGNORE ha perdonato il tuo peccato; tu non morrai. 14 Tuttavia, siccome facendo così tu hai dato ai nemici del SIGNORE ampia occasione di bestemmiare, il figlio che ti è nato dovrà morire». Natan tornò a casa sua.


Il racconto di oggi è tratto da una delle pagine più drammatiche e intense dell’AT, in cui la storia di Israele si intreccia con la storia personale del re Davide. Per capire il testo che abbiamo letto dobbiamo raccontare brevemente ciò che appena accaduto prima, al cap 11. La storia inizia con Davide che è a casa tranquillo che passeggia sulla sua terrazza, mentre il suo esercito è in battaglia. Già questo non lo mette in buona luce: anziché essere con il suo esercito e guidarlo, il re se ne è rimasto a casa, dove evidentemente ha altro da fare. Mentre passeggia vede una donna che fa le abluzioni rituali, è Batsceba o Betsabea. Betsabea è bellissima, dice il testo, e Davide fa raccogliere informazioni su di lei e poi la manda a prendere. Il racconto usa propri questo verbo: prendere
Questo verbo rimanda a un racconto di alcuni capitoli prima: quando Israele aveva chiesto a Dio di avere un re, Dio lo aveva avvertito: se vogliono avere un re, egli lo darà loro, ma devono sapere che il re prenderà i loro figli, le loro figlie, i loro campi, i loro raccolti, ecc. per costituire e mantenere il suo esercito e la sua corte. Potete leggere questo in 1 Samuele 8. Ed ecco qui la prova che Dio aveva ragione: Davide manda a prendere Betsabea, semplicemente perché le piace. Manda a prendere, perché raramente i potenti si sporcano le mani, ma in genere fanno fare i lavori sporchi ad altri.
Davide ha con Betsabea un rapporto sessuale, che nei fatti è una violenza sessuale, perché Betsabea è costretta, e poi la rimanda indietro. Ha avuto quello che voleva e ora Betsabea non gli serve più, può tornare a casa. Ma non tutto va come Davide aveva previsto: Betsabea rimane incinta e lo manda a dire a Davide: come potrebbe giustificare il fatto di essere incinta, dato che suo marito, come molti uomini israeliti, è in battaglia, lontano da casa? Davide in un primo tempo cerca una soluzione morbida: manda a chiamare Uria, il marito di Betsabea, dal fronte per fare in modo che vada a letto con sua moglie. Ma Uria, pensando ai suoi compagni che stanno combattendo, dice che non può fare una cosa simile. Davide prova persino a farlo ubriacare, ma nemmeno così Uria cede. Allora Davide passa a una soluzione più drastica: fa uccidere Uria, ordina di mandarlo dove infuria la battaglia nell'assedio alla città nemica. Uria muore e Davide può di nuovo mandare a prendere Betsabea, questa volta per sposarla e avere da lei il figlio che attende.
Così finisce il cap. 11. o meglio, così finisce il racconto, ma l’autore del libro di Samuele aggiunge un commento: “Ma quello che Davide aveva fatto dispiacque al Signore”. Dio non ha fermato Davide, come non ha fermato gli aguzzini e i dittatori di cui è piena la storia umana, ma il suo giudizio è netto: quello che Davide ha fatto non va per nulla bene. Ma questo messaggio deve ora arrivare anche a Davide.
Ed eccoci al nostro testo: il compito è affidato al profeta Natan, che lo svolge in modo molto astuto: non va ad accusare direttamente Davide, ma fa in modo che Davide accusi se stesso, raccontandogli la storia di un uomo che aveva una sola agnellina che amava molto e che gli viene presa per essere uccisa e cucinata da un uomo ricco che possedeva pecore in quantità. Davide a sentire la storia si arrabbia moltissimo: “quell'uomo merita la morte!”, è la sua sentenza. E qui Natan smette di raccontare storie: “quell'uomo sei tu”, gli dice in faccia. Come l'uomo della storiella inventata ha preso la pecora del vicino, tu hai preso la moglie di Uria e lo hai fatto uccidere.
Il peccato di Davide è l'abuso di potere, grande tentazione di chiunque ha un qualche potere, grande o piccolo che sia. l’abuso di potere si è concretizzato nella violenza sessuale nei confronti di Betsabea e nell’omicidio di Uria. Israele aveva voluto un re come hanno gli altri popoli, ora ha un re che si comporta da tiranno come gli altri re del tempo. Questo racconto prende di petto il tema del potere e del suo abuso. I re pensavano a quei tempi di avere un potere assoluto, erano loro a fare le leggi ed erano loro a farle rispettare e quindi erano al di sopra della legge, perché erano loro stessi - i re - la legge.
Ma non in Israele. In Israele sopra il re c’è la legge di Dio. Questo fa la differenza, questo fa sì che un uomo come il profeta Natan possa andare dal re e dirgli: tu hai sbagliato, hai infranto la legge che è al di sopra di te, e non al di sotto, hai infranto la legge di Dio. Natan esprime il giudizio di Dio. Ciò che Davide aveva fatto dispiacque al Signore. La prima cosa dunque che questo testo ci dice è che Davide è colpevole. Ci si potrebbe stupire che questa storia si trovi nella Bibbia. Ci si sarebbe potuti aspettare che qualcuno censurasse questo racconto e lo eliminasse dalla Bibbia, per nascondere e non far conoscere questa enorme macchia che c'è nella vita del grande re Davide. E invece no, questa storia c'è, c'è questa storia fatta di abuso di potere, di violenza, di omicidio; di colpa. Davide è colpevole, ci dice la Bibbia, il grande re Davide è un uomo colpevole.
La colpa di Davide – oltre a tutto ciò che ha fatto – è stata l’abuso di potere, il potere che gli dà il fatto di essere re e il potere che gli dà il fatto di essere un maschio. Questo ci richiama al fatto che tutti e tutte noi siamo tentati dalla colpa dell’abuso del potere, perché quasi tutti abbiamo un potere, magari molto piccolo, su qualcuno che sta intorno a noi.
Ma questo non riguarda soltanto Davide: Davide è colpevole, ma io sono colpevole, tu sei colpevole. La storia umana, la grande e la piccola storia, ci dice oggi la Bibbia, è fatta da gente colpevole, non da gente innocente. E che cosa fa Dio con i colpevoli?

2. Natan – abbiamo detto - va a pronunciare il giudizio su Davide, giudizio che è netto e che Davide non può che riconoscere. Ma così facendo Natan va a salvare Davide. Davide si salva solo perché Natan gli fa riconoscere la sua colpa. Il giudizio di Dio lo mette a nudo, Davide non può mentire. Non può mentire perché non si può mentire a Dio, ma non può mentire nemmeno a se stesso. La grazia inizia con il giudizio. Senza giudizio non c’è grazia. Grazia senza giudizio, sarebbe quella che Bonhoeffer chiama la grazia a buon mercato. Ma la grazia di Dio non è buon mercato e quindi inizia con il giudizio.
Riconoscendo il giudizio di Dio su di lui, Davide smette di essere falso e bugiardo. Davide riconosce la sua colpa perché sente proclamare il giudizio di Dio su di sé. Bisogna passare da lì, lì inizia la grazia. Il giudizio di Dio è anche sempre l’invito al pentimento e l’offerta della possibilità di cambiare. Ma bisogna farlo proprio, bisogna essere sinceri prima di tutto con se stessi davanti a Dio. Davide lo fa e cambia, è trasformato dal giudizio di Natan. Riconosce la sua colpa, passa dalla presunzione al riconoscimento della colpa, passa dalla menzogna alla verità.

3. Il racconto prosegue in modo a noi incomprensibile, perché Dio decide di risparmiare Davide ma comunque di infliggergli una punizione e la punizione che Dio infligge a Davide ci sembra ingiusta e assurda: il bimbo nato da lui e Betsabea si ammala, Davide è abbattuto, digiuna e dorme sdraiato in terra, ma dopo sette giorni il piccolo muore. La domanda che ci sorge naturale (ma che non ha risposta nel testo) è perché debba pagare il bambino innocente per la colpa di Davide. Cosa assurda per noi del ventunesimo secolo, come del resto ci appare assurdo anche che mai una volta Betsabea abbia voce in questo capitolo, mai veniamo a sapere che cosa prova o cosa pensa. Questo racconto risente della (poca o nulla) considerazione che si aveva per le donne e per i bambini. La vita del bambino è vista solo in riferimento a Davide, non al neonato stesso. È Davide a essere punito con la morte del figlio, è lui a pagare.
Se vogliamo andare oltre le nostre domande, possiamo forse dire che il significato, all’interno del racconto, della morte del figlio è che la strada scelta da Davide – la strada dell'abuso di potere, della violenza, dell'inganno, dell'omicidio – non porta da nessuna parte. Quella strada non ha futuro, questo vuol dirci questa morte assurda di un innocente. Il futuro dovrà percorrere una strada diversa e infatti Davide e Betsabea avranno un altro figlio, Salomone, che rappresenterà il futuro e sarà il successore di Davide.
Dopo questi eventi drammatici, dopo il pentimento, Davide continuerà a fare il re e sarà il re più famoso di Israele. Ma la sua storia deve passare attraverso la colpa e il pentimento, Davide deve toccare il fondo, nella sua esistenza viene fuori il peggio di un’umanità che non ha scrupoli e che non guarda in faccia a nessuno.
Da questo fondo risalirà grazie alla parola di giudizio di Natan, parola di giudizio che quindi è allo stesso tempo parola di grazia. Per Davide c’è ora una nuova possibilità. Questo è il senso della storia, anche se, come abbiamo detto, per la nostra mentalità moderna molte parti di questa storia rimangono incomprensibili. Davide commette un peccato, un crimine terribile, ma Dio non lo ripudia e gli concede di andare avanti, gli offre una nuova possibilità. Proprio in questo consiste la grazia, nell'avere una nuova possibilità, anche quando si è toccato il fondo.
Questa non è certo una “bella” storia, e forse - direte – non è nemmeno una storia molto spirituale. Ma è un racconto “vero”, vero nel senso di un racconto molto umano, in cui viene fuori il peggio dell'umanità, che in Davide tocca davvero il fondo. Ed è un racconto vero anche in senso evangelico: l’evangelo di questo racconto è che Dio, proprio quando l’umanità tocca il suo fondo e il suo massimo di egoismo e crudeltà, manda Natan a pronunciare una parola di giudizio che salva Davide e lo riscatta. Perché la grazia comincia con il giudizio, perché è grazie al giudizio pronunciato da Natan che Davide arriva al riconoscimento della propria colpa e al cambiamento. È quando ci riconosciamo colpevoli e non innocenti che la grazia di Dio ci offre la possibilità di ricominciare. Perché questa è la nostra salvezza: che ogni volta che siamo colpevoli, la parola di giudizio e di grazia del Signore ci raggiunge e ci offre una nuova possibilità di ricominciare, anche quando capita di toccare il fondo.
In mezzo ai drammi dell’esistenza, nel profondo del buio della colpa, dell'orgoglio, del desiderio e dell’abuso di potere e in mezzo a tutto il dolore che tutto ciò provoca, la parola di Dio viene a dirci che c’è un’altra strada, un altro modo di vivere il nostro rapporto con Dio e con il prossimo. E questo non per illuderci di essere innocenti, ma per essere riscattati dalle nostre colpe di colpevoli.
Dio continui a raggiungerci con la sua parola anche nei luoghi più bassi della nostra esistenza, per offrirci ogni volta una nuova possibilità e una nuova speranza.

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