martedì 22 ottobre 2019

Predicazione di domenica 20 ottobre 2019 su Giacomo 2,14-26 a cura di Marco Gisola

Giacomo 2,14-26
14 A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? 15 Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, 16 e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? 17 Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. 18 Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». 19 Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano.
20 Insensato! [Doglio traduce “vuoto”, “vano”] Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore? 21 Abraamo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco sull'altare? 22 Tu vedi che la fede agiva insieme alle sue opere e che per le opere la fede fu resa completa; 23 così fu adempiuta la Scrittura che dice: «Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto come giustizia»; e fu chiamato amico di Dio. 24 Dunque vedete che l'uomo è giustificato per opere, e non per fede soltanto. 25 E così Raab, la prostituta, non fu anche lei giustificata per le opere quando accolse gli inviati e li fece ripartire per un'altra strada? 26 Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta. 
 


La fede si vede. Questo è il messaggio di questo brano della lettera di Giacomo. Una fede senza opere non è fede. La questione non è: o la fede o le opere. La questione è: la fede e le opere. O meglio: la fede che opera.
È un errore mettere Giacomo contro Paolo. Qui dobbiamo ammettere che Lutero ha sbagliato; Lutero ha definito la lettera di Giacomo una “lettera di paglia”, cioè una lettera che non vale nulla e avrebbe voluto eliminarla dalla Bibbia.
Ma questa volta si sbagliava, Giacomo non è contro Paolo, Giacomo non intende affermare la salvezza per opere e dunque negare la salvezza per grazia. Forse Giacomo si oppone alle idee di chi aveva frainteso Paolo e affermava una salvezza per fede senza opere, cosa che Paolo non ha mai fatto.
Paolo ha affermato con forza la salvezza per grazia, salvezza che si può soltanto credere per fede e non guadagnarsi per opere né meritare, ed ha affermato che questa fede nella salvezza per grazia ha come conseguenza le opere dell’amore. Paolo polemizza contro le opere della legge, le opere legalistiche o moralistiche, ma afferma e chiede che i cristiani pratichino le opere dell’amore.
Ai Galati scrive che «quello che vale è la fede che opera per mezzo dell’amore» (Gal. 5,6). La salvezza si ha per grazia; la grazia si crede per fede; e la fede opera per mezzo dell’amore.
Grazia – fede – opere: credo che su questo percorso in tre tappe potrebbero essere d’accordo sia Paolo sia Giacomo.
Il grosso fraintendimento, la causa per cui sembra che Paolo e Giacomo siano in contrapposizione sta nell’idea che si ha di opere: Paolo polemizza contro le opere della legge, le opere dei farisei, le opere fatte pensando che così si sia a posto davanti a Dio. Pago la decima, faccio tutti i rituali, dico tutte le preghiere, il sabato faccio solo quello che è lecito fare e tutto il resto non conta.
Ma non ha nulla contro le opere dell’amore, le opere della giustizia, che al contrario Paolo raccomanda insistentemente. Per Paolo è chiaro: la fede opera, la fede ama, la fede compie atti di giustizia. E su questo Giacomo sarebbe perfettamente d’accordo.
Detto ciò, che non c’è contrapposizione tra Paolo e Giacomo, allora ringraziamo Dio che c’è la lettera di Giacomo! Che ci avverte del possibile fraintendimento – e tradimento – della teologia di Paolo: ci avverte che possiamo fraintendere che cosa è la fede e trasformarla in un opera rituale:
Giacomo, quando contrappone le opere alla fede, con fede intende qui non la fiducia in Dio che spinge ad amare e ad agire, ma intende l’etichetta di cristiano: sono cristiano perché sono battezzato, credo più o meno che le cose che recitiamo nel Credo siano vere, vado in chiesa, non faccio male a nessuno e quindi tutto ok, sono un bravo cristiano.
Eh no! Dice Giacomo (e lo direbbe anche Paolo!), non basta, anzi non è che non basta, è proprio un'altra cosa. Non è che ci vuole di più, ci vuole altro, ci vuole – potremmo dire - banalmente la fede. Perché una fede che basta a se stessa non è fede, è un sacco vuoto.
Laddove al v. 20 la nostra Bibbia traduce con “Insensato” un biblista propone la traduzione “uomo vuoto”, che mi sembra molto efficace. La fede contro cui polemizza Giacomo non è la fiducia del cuore di cui parla Lutero, non è la fede che è fiducia nel Dio che mi ha salvato, è una scatola vuota.
Se io ti porto una bella scatola su cui c’è il nome di una marca di buonissimi cioccolatini e tu la apri con l’acquolina in bocca e… scopri che è vuota, che cosa pensi? Che quella scatola è inutile, perché c’è solo il nome e forse l’immagine dei cioccolatini, ma dentro … nulla. Anzi, quella scatola è un inganno.
O, per essere meno materialisti, se ti faccio vedere una bottiglia di acqua e tu hai sete e quando provi a versare l’acqua non esce nulla… la tua sete rimane, e allora quella bottiglia vuota è inutile, anzi è un’illusione, una presa in giro. Questa è la fede contro cui polemizza Giacomo.
I cristiani che pensano che basti andare in chiesa e fare altre due o tre cosette religiose per essere a posto, sono vuoti, sacchi vuoti, scatole vuote, la loro fede non si vede: «mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (v. 18).
Se mi mostri una scatola vuota o una bottiglia vuota, di quella scatola e di quella bottiglia non me ne farò nulla. Un cristiano vuoto è in fondo un non-credente. Un credente non operante, non amante, non servente è in realtà un non credente.
Dunque non «Tu hai la fede, e io ho le opere», come dice provocatoriamente Giacomo, l'alternativa non è tra fede da una parte e opere dall’altra, ma tra fede che opera, e falsa fede che non opera, fede di cui c’è solo la scatola che però è vuota, che non contiene proprio nulla.
Ascoltiamo da un testo di 450 anni fa qual è il senso e il significato delle opere; si tratta di un catechismo riformato che vi ho già citato altre volte, il Catechismo di Heidelberg, del 1563:
Domanda 86
Essendo dunque stati redenti dalla nostra miseria per grazia, per mezzo di Cristo, senza alcun nostro merito, perché dobbiamo fare buone opere?
Risposta:
Perché Cristo, dopo averci acquistato con il suo sangue, ci rinnova anche a sua immagine mediante il suo Spirito Santo, affinché con tutta la nostra vita ci mostriamo grati a Dio per il suo beneficio, ed egli sia celebrato per mezzo nostro. Inoltre anche per poter essere di noi stessi sicuri della nostra fede, vedendone i frutti, e anche per conquistare a Cristo il nostro prossimo con la santità della nostra condotta.


Il catechismo di Heidelberg dice che Dio non si limita a salvarci in Cristo, ma continua anche a rinnovarci mediante il suo Spirito. Dio non ha soltanto operato in Cristo duemila anni fa, ma continua a operare in noi con il suo Spirito anche oggi, e ogni giorno.
Dio non ci vuole solo “salvati”, ci vuole anche “a sua immagine” e dunque ci rinnova attraverso il suo Spirito e la sua Parola. Le opere – potremmo dire la nostra vita, ciò che facciamo giorno dopo giorno – sono il segno del nostro rinnovamento, del fatto che la grazia ci trasforma, lentamente giorno dopo giorno, anno dopo anno.
E se questo rinnovamento c’è lo vediamo dalle nostre opere, cioè da come guardiamo e trattiamo il nostro prossimo, dalla scelte che facciamo, dal modo in cui ci rapportiamo agli altri e nel mondo.
E questo rinnovamento, cioè le nostre opere, sono il segno della nostra gratitudine nei confronti di Dio. Tutto ciò che facciamo – e Gesù ci ha detto in particolare tutto ciò che facciamo ai minimi tra i nostri fratelli e sorelle – lo facciamo per gratitudine nei confronti di Dio, ed è come se lo facessimo a lui, per ringraziare lui, a cui dobbiamo tutto.
Questo antico Catechismo dice poi ancora: per poter essere di noi stessi sicuri della nostra fede, vedendone i frutti. La fede deve dare frutti come un buon albero sano e forte. Se non ci sono frutti l’albero è malato o è morto, se la fede non dà frutti è malata o è vuota, cioè morta.
La mancanza di frutti è sintomo di una malattia della fede; non si possono separare fede e opere come non si possono separare albero e frutto.
E infine dice: e anche per conquistare a Cristo il nostro prossimo con la santità della nostra condotta. L’espressione “per conquistare a Cristo” forse non ci è più così congeniale. Ma sostituite a “conquistare a Cristo”, “testimoniare l’evangelo di Cristo”: per testimoniare l’evangelo di Cristo al nostro prossimo con la santità della nostra condotta.
La tua prima testimonianza non è quello che dici – e questo vale in primo luogo per tutti i pastori/e e predicatori/trici – ma quello che fai.
Se ti parlo di amore, di solidarietà, di condivisione e poi non ti ascolto quando mi parli dei tuoi problemi, le mie parole sono come la scatola vuota, di cui parlavamo prima, sono un albero senza frutti.
Se invece vivo l’amore gratuito per il prossimo, se sono davvero solidale e so condividere ciò che sono e ciò che ho, allora la mia fede si vedrà, si vedranno i suoi frutti e sarà occasione per parlare dell’albero da cui quei frutti provengono, delle radici della grazia di Dio, della linfa della sua Parola e della luce del suo Spirito che fa sì che quell’albero viva e dia frutti.
Allora le mie opere saranno semplicemente la riconoscenza verso il Signore che ha riscattato la mia esistenza a caro prezzo e che continua a rinnovarla con la sua parola e il suo Spirito.
Allora non saremo vuoti, ma saremo riempiti dei doni che Dio non smette di donarci, allora potremo dire con Giacomo: con le mie opere ti mostrerò la mia fede. Non ti mostrerò la mia bontà, la mia bravura, la mia coerenza, il mio impegno… perché tutto ciò rimane sottoposto alla mia debolezza e alla mie mancanze.
No, con le mie opere ti mostrerò semplicemente la mia fede nel Dio che mi ha fatto la grazia di dare il suo figlio anche per me. Con le mie opere ti mostrerò la fede che opera, perché sia la fede, sia le opere sono doni di Dio e senza di lui non potrei né credere, né operare.

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