Marco
16,14-20
Alla
fine Gesù apparve anche agli undici discepoli mentre erano a tavola.
Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non
credere a quelli che lo avevano visto risuscitato. Poi disse: “Andate
in tutto il mondo e portate il messaggio del Vangelo a tutti gli
uomini. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non
crederà sarà condannato. E quelli che avranno fede faranno segni
miracolosi: cacceranno i demòni invocando il mio nome; parleranno
lingue nuove; prenderanno in mano serpenti e se berranno veleno non
farà loro alcun male; poseranno le mani sopra i malati ed essi
guariranno”. Dopo quelle parole il Signore Gesù fu innalzato fino
al cielo e Dio gli diede potere accanto a sé. Allora i discepoli
partirono per portare dappertutto il messaggio del Vangelo. E il
Signore agiva insieme a loro e confermava le loro parole con segni
miracolosi.
Questo
singolare finale del Vangelo di Marco, che unanimemente i biblisti
definiscono come aggiunta conclusiva al Vangelo, ci fornisce alcuni
elementi di riflessione molto importanti.
Siamo
in un’epoca nella quale il sensazionale è la norma, tutto ciò che
fa sensazione e tendenza, cattura! I “like” si moltiplicano e
nuovi mestieri nascono come quello degli “influencer” o degli
“youtuber”.
Ma
questo brano è veramente sensazionale; lo è perché gli eventi che
in esso sono citati, lo sono: esorcismi, assunzione di pozioni
velenifere, guarigioni, serpenti. Insomma cose che anche nel nostro
tempo, sono definibili come sensazionali.
Ma
lo è anche perché cita due elementi veramente sbalorditivi e oggi
purtroppo non proprio comuni: la fede e la missione.
Gesù
trova i discepoli a tavola e li rimprovera della loro incredulità; i
discepoli, coloro che sarebbero diventati da lì a poco, gli
apostoli, i propagatori del messaggio di salvezza, furono increduli,
addirittura ostinati; nei versetti che precedono questo testo,
troviamo delle parole molto dure dette dal Cristo Risorto ai
discepoli: incredulità (apistía cioè assenza di fede e durezza di
cuore (sclerocardía).
La
fede è un grande dono di Dio fatto all’umanità e credere è un
grande miracolo; e lo è soprattutto ai giorni nostri, dove il
dominio del materialismo ha sclerotizzato non solo i
sentimenti ma anche i comportamenti.
Il
tema della settimana ecumenica di preghiera per l’unità dei
cristiani, conclusasi da alcune settimane “Ci trattarono con
gentilezza” tratto dal libro degli Atti (Atti 28,2).
Oggi
la gentilezza sembra essere sempre più un miraggio, un elemento che
spesso è identificato come segno di debolezza.
Ma
la fede, quella vissuta, è in fondo come l’amore: è sempre
gentile, non è mai aggressiva, non s’impone, non pretende di
essere migliore di altre, non offende le altre fedi, non ingiuria,
non odia.
E
per tutto questo occorre forza (e tanta anche); non è debolezza, è
forza, perché è sostenuta dalla forza che esprime lo Spirito di
Dio.
La
fede compie ogni giorno azioni grandi e miracolose, credo non nel
senso letterale del testo, ma certamente nel senso più profondo ed
intimo, ossia quello che possiamo definire, “della relazione”.
E
nell’ambito della relazione possiamo leggere tutti gli altri segni
che il testo ci presenta, segni, come abbiamo detto all’inizio,
sensazionali.
Cacciare
i demoni ossia liberare: liberare da tutto ciò che opprime
l’anima e lo spirito, liberazione dall’impossibilità di essere
se stessi, dal sentirsi come delle marionette i cui fili sono mossi
da altri, dovendo ripetere quello che altri si aspettano da noi.
Possiamo essere vittime di una certa cultura escludente (le griffes,
la moda in genere, gli ultimi gioielli tecnologici: se non li hai sei
fuori, sei out, come dice un comico che imita chi pronuncia queste
frasi); possiamo essere vittime dell’economia (specie quando si
perde il lavoro, la possibilità di non poter contribuire al sostegno
della propria famiglia, ciò produce la perdita di dignità, mentre
un’economia ormai senza quasi più etica, salvo pochi e rari casi,
produce ricchezza solo per pochi).
Si
può essere vittime del potere (qualsiasi sopruso, dal più piccolo
al più grande ci può rendere vittime), oppure vittime del denaro
(quando più se ne ha e più se ne vuole avere, oppure quando si cade
vittima di ludopatie ed altri meccanismi infernali similari); ma si
può essere anche vittime delle chiese in alcuni casi e aggiungo
purtroppo!
La
liberazione dai demoni è invece ciò che ci restituisce a noi
stessi, nella consapevolezza che ciascuno e ciascuna di noi non può
che appartenere a Dio soltanto e a nessun altro; significa
partecipare liberamente e attivamente ad una vita di relazioni.
Ed
è certamente nella relazione che si situa la capacità di parlare
in lingue, altro segno indicato nel testo (anche se
storicamente e testualmente, seguendo il racconto del libro degli
Atti degli apostoli, questo segno aveva un altro senso e tutt’altra
manifestazione); parlare in lingue manifesta in fondo la capacità
che ci è donata, ossia quella di relazionarci con il prossimo,
attraverso l’espressione verbale, poterci relazionare con gli
altri, poter predicare il Vangelo, o anche più semplicemente,
parlare della nostra fede, ed essere capiti; la Parola di Dio, come
qualcuno ha affermato, “parla la lingua di tutti, non va al di là
della nostra capacità di comprensione”, o forse, sarebbe meglio
dire che “l’intervento dello Spirito rende la Parola accessibile,
comprensibile, chiara”.
Prendere
in mano i serpenti, cosa che credo a molti di noi faccia
paura solo la possibilità che ciò possa accadere, anche in questo
caso, può voler dire “non avere paura di ciò che può farci del
male”. Prendere in mano i serpenti è una parola che possiamo
ricevere come immagine: noi preferiamo che tante cose restino
nascoste o che stiano lontane da noi perché ci fanno paura, viviamo
nella speranza che non accada mai ciò che temiamo; e ancora una
volta scopriamo che la Parola di Dio ci libera dalla nostra paura, ci
permette di affrontare e di prendere in mano i nostri serpenti, le
nostre paure. Se per i missionari del II secolo poteva essere anche
la paura della persecuzione, della morte cui molti predicatori
andavano incontro, per noi? Quali sono le nostre paure? Ciascuno e
ciascuna di noi può porsi la domanda e cercare in sé stessi la
risposta. Quali che siano le nostre paure, sappiamo, anche attraverso
questa parola letta oggi, che Gesù ci ha liberati!
La
missione dei discepoli in Cristo poteva diventare un “calice
amaro”, un veleno mortale; ieri come oggi, quando
assistiamo alle ingiustizie, allo sfruttamento nell’ambito del
lavoro (come ad es. i rider ma non solo), la riduzione in schiavitù
(come coloro che lavorano nei campi intere giornate per pochi
spiccioli), ancora oggi la missione di tutti e tutte noi come
discepoli e discepole del Cristo Risorto, è spesso una pozione
velenifera, quando ci scontriamo con tutto ciò e spesso non
riusciamo a trovare soluzioni valide per la risoluzione di quei
problemi. Si, è un calice amaro, un veleno che ci infetta nel
profondo, che ci mortifica, ci frustra.
E
ancora una volta ci affidiamo alla Parola di Cristo che ci libera e
ci rende intimamente più forti; e da persone liberate e rese forti,
diveniamo, ieri come oggi, un segno per gli increduli.
Il
nostro testo cita anche il segno delle guarigioni che
possiamo intendere come la capacità donata da Dio di “dare” un
luogo di riparo e protezione alle altre persone, di stendere su di
loro le mani che le proteggano, di comunicare loro la sensazione di
essere accettate con tutta la loro esistenza.
Un
giorno una taxista riceve una chiamata, era l’ultima del suo turno,
aveva fatto il turno di notte ed era stanco, non vedeva l’ora di
tornare a casa sua e mettersi a letto a riposare.
Risponde
alla chiamata e si reca all’indirizzo comunicato. Suona il
campanello e una voce di donna risponde “arrivo”. Il taxista
attende, passano i minuti, ma non arriva nessuno; si dirige verso la
sua vettura, deciso a ripartire senza attendere oltre. Entra
nell’abitacolo, mette in moto, quando vede aprire la porta della
casa per la quale aveva ricevuto la chiamata. Era una persona
anziana, aveva con sé una grossa valigia che trascinava a fatica.
L’uomo
scende dalla vettura e si dirige verso l’anziana, le prende la
valigia e, per questo suo gesto, del tutto professionale, riceve un
“grazie”.
L’anziana
donna sale in macchina e consegna al taxista un biglietto da visita
dove c’era scritto l’indirizzo di destinazione.
“Ma
prima di andare lì, per favore faccia un giro lungo attraverso
l’intera città, senza fretta”.
L’uomo,
benché stanco la accontentò. Girarono l’intera città e ad ogni
angolo e piazza, parco o monumento, l’anziana donna raccontava un
aneddoto della sua vita: un bacio con il fidanzato che sarebbe poi
diventato suo marito, un posto dove aveva portato i suoi figli,
episodi buffi ed altri seri, alcuni tristi e drammatici. Insomma il
racconto di un’intera esistenza.
Era
sola, i suoi figli abitavano all’estero, lontano, e lei era anziana
e non poteva più vivere da sola. Benché autosufficiente, si era
resa conto che aveva bisogno d’aiuto e dunque aveva prenotato una
stanza presso una struttura per anziani autosufficienti.
Il
giro durò tutta la mattina e infine arrivò a destinazione. Il
taxista, le prese i bagagli, e li consegnò al personale che
l’attendeva. La signora fece per pagare ma il taxista non volle
nulla. Si abbracciarono e si salutarono.
Anche
lui aveva steso le sue mani per guarire e forse era stato anche lui
guarito. Ecco una forma di possibile guarigione: l’ascolto
reciproco!
La
domanda che dobbiamo porci adesso, non è più cosa fa l’altro,
cosa possiede l’altro, come dovrebbe essere l’altro per trovare
giustificazione ai nostri occhi, la domanda ora è: chi è l’altro,
che cosa vive in lui, cosa soffre, che cosa pensa e sente veramente;
stendere le mani sopra di lui significa accettarlo senza riserve.
E
infine, la missione, Gesù nonostante il persistere di
questa poca fede, invia proprio loro in una missione senza confini,
veramente universale; una missione cosmica, si potrebbe anche dire:
“Andate in tutto il mondo, annunciate la buona notizia a tutta la
creazione”. Non ci sono più barriere, il messaggio d’amore e
liberazione può essere annunziato a tutti e tutte. Davanti a quei
poveri discepoli titubanti, un po’ increduli, c’è il mondo
intero, l’intera creazione! Il Vangelo non può essere contenuto né
in un popolo, né in una cultura, e neppure in un modo religioso di
vivere la fede in Dio: i discepoli (di ogni tempo) devono guardare a
nuove terre, a nuove culture, nelle quali il semplice Vangelo potrà
essere seminato e dare frutti abbondanti.
Il
brano di oggi dunque, è anche un invito all’evangelizzazione; non
si tratta di un banale proselitismo, ma si tratta invece di andare
nel mondo ad annunciare e testimoniare l’amore di Dio.
Quest’invito
è di fatto ben più faticoso di una semplice fuga dal mondo: non
riguarda i mezzi economici; si tratta piuttosto, di abbandonare le
certezze, gli appoggi intellettuali, gli assetti religiosi praticati
fino a quel momento, e di immergersi in Cristo e lasciarsi
trasportare da Lui.
Più
il Vangelo è annunciato con franchezza, più esso è come un seme
non rivestito che caduto a terra, germoglia subito e più facilmente.
Quanti
errori abbiamo commesso nell’evangelizzazione, confidando nei
nostri mezzi, nelle nostre “ideologie”, e, in parallelo,
disprezzando le culture degli altri, che sovente abbiamo mortificato
e distrutto per imporre la nostra!
In
passato è accaduto maggiormente fra diverse confessioni cristiane (e
noi come valdesi, storicamente ne sappiamo qualcosa) e non solo con
culture di altri continenti.
Oggi
invece e grazie a Dio, siamo liberi di poter testimoniare due
semplici ma importantissime cose:
che
chi ci libera è il Signore Gesù Cristo Risorto mediante la fede in
Lui;
che
Colui che ci libera, ci chiama anche alla relazione con gli altri
fatta di semplicità, gentilezza e amore.
E
questa testimonianza sottintende una chiamata al servizio, che in
fondo è già contenuta nel battesimo che ciascuno e ciascuno di noi
ha ricevuto.
E
dunque, noi tutti e tutte uniti, vogliamo esprimerla rispondendo con
un vigoroso SI! Con l’aiuto del Signore.
Amen
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