sabato 14 marzo 2020

Predicazione sul testo di domenica 15 marzo 2020, Luca 9,51-62 a cura di Marco Gisola

Non potendo celebrare il culto domenicale, a causa dei provvedimenti presi dal governo per limitare la diffusione del Coronavirus, pubblichiamo la predicazione sul testo di domani, domenica 15 marzo

Domenica 15 marzo 2020 – Terza domenica del tempo di Passione
Luca 9,51-62

51 Poi, mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal mondo, Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme. 52 Mandò davanti a sé dei messaggeri, i quali, partiti, entrarono in un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio. 53 Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme. 54 Veduto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi55 Ma egli si voltò verso di loro e li sgridò. 56 E se ne andarono in un altro villaggio.
57 Mentre camminavano per la via, qualcuno gli disse: «Io ti seguirò dovunque andrai». 58 E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». 59 A un altro disse: «Seguimi». Ed egli rispose: «Permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60 Ma Gesù gli disse: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; ma tu va' ad annunciare il regno di Dio». 61 Un altro ancora gli disse: «Ti seguirò, Signore, ma lasciami prima salutare quelli di casa mia». 62 Ma Gesù gli disse: «Nessuno che abbia messo la mano all'aratro e poi volga lo sguardo indietro, è adatto per il regno di Dio».


Siamo in un momento cruciale della missione e della vita di Gesù. Secondo l’evangelista Luca, proprio in questo momento, Gesù parte per Gerusalemme e partire per Gerusalemme significa iniziare il viaggio verso la croce.
L'evangelista lo dice subito: “mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal mondo Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a Gerusalemme”. Il viaggio, ci dicono gli studiosi, non seguirà una traiettoria chiara, anzi non sembra nemmeno un viaggio. Ma ciò che conta per Luca è che Gesù parte dalla Galilea e arriverà a Gerusalemme, dove troverà ad attenderlo prima la folla osannante e poi la croce.
Per raggiungere la Giudea, dove si trova Gerusalemme, partendo dalla Galilea, è necessario attraversare la Samaria. Gesù cerca di organizzare il viaggio, mandando dei messaggeri a cercare un alloggio e forse anche con l'intento di parlare ai samaritani del regno di Dio. Ma i samaritani non lo ricevono perché sanno che è diretto a Gerusalemme e evidentemente non vogliono avere a che fare con chi va in Giudea.
Ci colpisce la reazione dei discepoli Giacomo e Giovanni, che si propongono di invocare un fuoco dal cielo (!) per consumare il villaggio che li ha respinti.
Questo primo episodio ci dice due cose: primo, che non sempre Gesù è accolto; e questo lo sappiamo bene, sapendo come andrà a finire la sua storia. Gesù e il suo evangelo non sono sempre accolti, Gesù va incontro a dei fallimenti, a dei rifiuti. E il racconto dell'invio in missione dei discepoli ci dice che lo stesso vale per loro, che a volte devono scuotere la polvere dai loro piedi, laddove non vengono accolti.
Non è strano che l’evangelo venga respinto da qualcuno. Se l’evangelo è predicato per quello che è, se non viene addomesticato, diluito, trasformato in una legge o in una morale, allora è normale che l’evangelo non venga accolto da tutti. Ci sarà sempre qualcuno che sceglierà altre strade, come il giovane ricco.
Quello che è strano è qui il comportamento di Giacomo e Giovanni. Non esiterei a definirlo fanatismo religioso. Giacomo e Giovanni ragionano pensando: o con noi oppure a morte: “vuoi che diciamo che un fuoco scenda dal cielo e li consumi?”.
Giacomo e Giovanni si dimostrano qui doppiamente fanatici: primo perché esprimono un giudizio di condanna eterna nei confronti dei samaritani e vogliono mettere a morte chi respinge Gesù, senza sapere che sarà proprio Gesù ad essere respinto e ucciso, che si lascerà respingere e uccidere.
In secondo luogo perché pensano che Dio possa assecondare la loro richiesta, come se Dio condividesse questo modo di fare...! Pensano di sapere, anzi: decidono, che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato e pretendono che Dio si metta a servizio della loro idea e della loro vendetta. Invocano un Dio che vorrebbero giustiziere, mentre Dio è il padre misericordioso di colui che sarà giustiziato.


La seconda parte del brano è quello che contiene alcune delle parole più note e più chiare di Gesù sulla sequela, cioè sul diventare discepoli di Gesù stesso. Davanti a questo brano è difficile non citare Dietrich Bonhoeffer, che ha commentato questo brano nel suo famoso libro “Sequela”, in cui ha raccolto e rielaborato quello che raccontava nelle sue lezioni agli studenti del seminario clandestino che si preparavano a diventare pastori della chiesa confessante, quindi pastori in quella piccola parte di chiesa evangelica tedesca che osava opporsi al nazismo.
In genere evito di inserire citazioni nelle predicazioni, ma alcune affermazioni di Bonhoeffer mi sembrano molto più profonde e chiare di quanto potrei dire io e mi sembra quindi utile condividere alcuni suoi pensieri.
Bonhoeffer ripercorre i tre incontri narrati in questo brano, tre incontri che Gesù ha con tre aspiranti discepoli. Il primo è lui stesso a proporsi: “io ti seguirò dovunque andrai”. Bonhoeffer dice che quell’uomo non sa quello che fa, che è pieno di entusiasmo, ma non ha capito che diventare discepoli di Gesù vuol dire accompagnarlo verso la croce.
Bonhoeffer dice addirittura che “nessun uomo può volere questo per propria scelta. Nessun uomo può rivolgere la chiamata a se stesso”. Ecco l’errore di questo primo aspirante discepolo: non è Gesù che lo chiama ma è lui che chiama se stesso, senza rendersi conto di che cosa voglia dire seguire Gesù.
Il secondo invece è chiamato da Gesù, con il classico invito/ordine già rivolto ai primi discepoli: “Seguimi”. L’uomo interpellato da Gesù però vorrebbe prima seppellire suo padre. E Bonhoeffer nota che non si tratta soltanto di affetto filiale, ma è la legge che lo vincola a fare questo; non si tratta cioè di una scusa per prendere tempo, ma di un’esigenza molto importante e prescritta dalla Torah.
La risposta di Gesù è molto dura: “lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. Che cosa vorrà dire questa frase un po’ enigmatica? Qualcuno dice che è un po’ come dire: lascia che dei morti si occupino quelli che sono morti spiritualmente.
Ma forse ha ragione Bonhoeffer nel dire che il significato è che semplicemente nulla, nemmeno la legge di Mosè, la buona e santa legge di Mosè, può frapporsi tra la chiamata di Gesù e la risposta umana. Nemmeno le cose buone possono essere di ostacolo. Gesù non voleva certo dire che non bisogna occuparsi delle esequie dei propri cari, e non voleva certo dire che in generale non bisogna rispettare la legge di Mosè.
Forse il senso è che quando Gesù chiama, nulla può ostacolare questa chiamata, nemmeno – appunto – le cose giuste e sante. È una parola paradossale come molte altre parole di Gesù. Quando Gesù chiama, il paradosso entra nella tua vita, l’urgenza entra nella tua vita. Tutto diventa secondario rispetto alla chiamata di Gesù.
Il terzo uomo incontrato da Gesù si propone da sé, come il primo, con – dice Bonhoeffer - “un programma di vita personalmente scelto”. Ma non solo, quest’uomo si sente autorizzato anche a porre delle condizioni: “Ti seguirò Signore, ma lasciami prima salutare quelli di casa mia”.
Vuole seguire Gesù – scrive ancora Bonhoeffer – ma vuole personalmente stabilire le condizioni della sua sequela”. Vuole seguire Gesù, ma come e quando vuole lui; la sequela diventa così qualcosa di molto umano e razionale, decisione umana e non risposta alla chiamata di Gesù.
Mi sembra che concludendo potremmo dire alcune cose su cui poi tutti noi potremmo riflettere: intanto, che la chiamata di Gesù è qualcosa che va considerata con molto rispetto e sopratutto non va confusa con i nostri desideri e con le nostre migliori intenzioni. Il mio progetto, il mio programma, per quanto possano essere belli e coerenti con l’evangelo, non sono quelli che Gesù mi propone, non si identificano tout court con la chiamata di Gesù.
Questo va ricordato, altrimenti rischiamo di confondere colui/colei che viene chiamato/a – cioè noi – con Colui che chiama, cioè Gesù. La chiamata di Gesù mi raggiunge da fuori, è qualcosa spesso di inatteso e soprattutto qualcosa che vuole dare una nuova direzione alla mia vita. E questa direzione è abbastanza chiara: seguire Gesù significa seguirlo verso Gerusalemme.
Non mi porta verso le spiagge di qualche località balneare esotica, ma mi porta a Gerusalemme, mi porta alla croce, mi porta verso la sua croce e verso le croci e i crocifissi che riempiono il mondo. Il discepolato di Gesù ha solo questa meta. Le altre mete le raggiungiamo seguendo qualcun altro.
L’ultima cosa che ci dice questo brano, riletto con l’aiuto di Bonhoeffer, è che il principale ostacolo alla sequela siamo noi stessi. Che sia il giovane ricco che non riesce a staccarsi dai suoi beni, che sia il volenteroso aspirante discepolo di questo brano che dice: “sì vengo, ma prima devo fare questo e quest’altro”, l’ostacolo principale al nostro metterci in cammino dietro a Gesù siamo noi stessi.
Perché tutti noi siamo naturalmente portati a guardare indietro dopo aver messo mano all’aratro, a lasciarci andare a nostalgie verso il passato o a nostalgie verso il futuro, verso ciò che è stato o verso ciò che sarà, così come ce lo immaginiamo e ce lo vogliamo costruire noi, col rischio di essere poco disposti a lasciare che sia Gesù a costruire il nostro futuro.
Luca non ci racconta come siano andati a finire i tre incontri tra Gesù e gli aspiranti discepoli. Non ci dice, come nel caso del giovane ricco, che qualcuno di loro abbia rinunciato o se qualcuno abbia deciso di seguire davvero Gesù.
Forse questi racconti lasciando appositamente il finale aperto, forse questo finale aperto vuole dirci che una risposta alla chiamata di Gesù dobbiamo darla noi stessi.
Gesù però non passa soltanto una volta. Passa spesso e spesso ci ha rivolto e ci rivolge la sua chiamata; a volte l’avremo sentita e avremo risposto o risponderemo, altre volte invece non l’avremo ascoltato o non l’ascolteremo e andremo in altre direzioni.
Ma lui continua a passare e a chiamare, non soltanto in Galilea, ma anche qui e passa anche da noi e chiama anche noi, e attende la nostra risposta. La sua chiamata è opera della sua grazia; il suo Spirito ci aiuti a rispondere con fiducia e con gioia.

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