Non potendo celebrare il culto domenicale, a causa dei provvedimenti presi dal governo per limitare la diffusione del Coronavirus, pubblichiamo la predicazione sul testo di domani, domenica 15 marzo
Domenica
15 marzo 2020 – Terza domenica del tempo di Passione
Luca
9,51-62
51
Poi, mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato tolto dal
mondo, Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a
Gerusalemme. 52
Mandò davanti a sé dei messaggeri, i quali, partiti, entrarono in
un villaggio dei Samaritani per preparargli un alloggio. 53
Ma quelli non lo ricevettero perché era diretto verso Gerusalemme.
54
Veduto ciò, i suoi discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore,
vuoi che diciamo che un
fuoco scenda dal cielo e li consumi?»
55
Ma egli si voltò verso di loro e li sgridò. 56
E se ne andarono in un altro villaggio.
57
Mentre camminavano per la via, qualcuno gli disse: «Io ti seguirò
dovunque andrai». 58
E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del
cielo dei nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
59
A un altro disse: «Seguimi». Ed egli rispose: «Permettimi di
andare prima a seppellire mio padre». 60
Ma Gesù gli disse: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti;
ma tu va' ad annunciare il regno di Dio». 61
Un altro ancora gli disse: «Ti seguirò, Signore, ma lasciami prima
salutare quelli di casa mia». 62
Ma Gesù gli disse: «Nessuno che abbia messo la mano all'aratro e
poi volga lo sguardo indietro, è adatto per il regno di Dio».
Siamo
in un momento cruciale della missione e della vita di Gesù. Secondo
l’evangelista Luca, proprio in questo momento, Gesù parte per
Gerusalemme e partire per Gerusalemme significa iniziare il viaggio
verso la croce.
L'evangelista
lo dice subito: “mentre si avvicinava il tempo in cui sarebbe stato
tolto dal mondo Gesù si mise risolutamente in cammino per andare a
Gerusalemme”. Il viaggio, ci dicono gli studiosi, non seguirà una
traiettoria chiara, anzi non sembra nemmeno un viaggio. Ma ciò che
conta per Luca è che Gesù parte dalla Galilea e arriverà a
Gerusalemme, dove troverà ad attenderlo prima la folla osannante e
poi la croce.
Per
raggiungere la Giudea, dove si trova Gerusalemme, partendo dalla
Galilea, è necessario attraversare la Samaria. Gesù cerca di
organizzare il viaggio, mandando dei messaggeri a cercare un alloggio
e forse anche con l'intento di parlare ai samaritani del regno di
Dio. Ma i samaritani non lo ricevono perché sanno che è diretto a
Gerusalemme e evidentemente non vogliono avere a che fare con chi va
in Giudea.
Ci
colpisce la reazione dei discepoli Giacomo e Giovanni, che si
propongono di invocare un fuoco dal cielo (!) per consumare il
villaggio che li ha respinti.
Questo
primo episodio ci dice due cose: primo, che non sempre Gesù è
accolto; e questo lo sappiamo bene, sapendo come andrà a finire la
sua storia. Gesù e il suo evangelo non sono sempre accolti, Gesù va
incontro a dei fallimenti, a dei rifiuti. E il racconto dell'invio in
missione dei discepoli ci dice che lo stesso vale per loro, che a
volte devono scuotere la polvere dai loro piedi, laddove non vengono
accolti.
Non
è strano che l’evangelo venga respinto da qualcuno. Se l’evangelo
è predicato per quello che è, se non viene addomesticato, diluito,
trasformato in una legge o in una morale, allora è normale che
l’evangelo non venga accolto da tutti. Ci sarà sempre qualcuno che
sceglierà altre strade, come il giovane ricco.
Quello
che è strano è qui il comportamento di Giacomo e Giovanni. Non
esiterei a definirlo fanatismo religioso. Giacomo e Giovanni
ragionano pensando: o con noi oppure a morte: “vuoi che diciamo che
un fuoco scenda dal cielo e li consumi?”.
Giacomo
e Giovanni si dimostrano qui doppiamente fanatici: primo perché
esprimono un giudizio di condanna eterna nei confronti dei samaritani
e vogliono mettere a morte chi respinge Gesù, senza sapere che sarà
proprio Gesù ad essere respinto e ucciso, che si lascerà respingere
e uccidere.
In
secondo luogo perché pensano che Dio possa assecondare la loro
richiesta, come se Dio condividesse questo modo di fare...! Pensano
di sapere, anzi: decidono, che cosa sia giusto e che cosa sia
sbagliato e pretendono che Dio si metta a servizio della loro idea e
della loro vendetta. Invocano un Dio che vorrebbero giustiziere,
mentre Dio è il padre misericordioso di colui che sarà giustiziato.
La
seconda parte del brano è quello che contiene alcune delle parole
più note e più chiare di Gesù sulla sequela, cioè sul diventare
discepoli di Gesù stesso. Davanti a questo brano è difficile non
citare Dietrich Bonhoeffer, che ha commentato questo brano nel suo
famoso libro “Sequela”, in cui ha raccolto e rielaborato quello
che raccontava nelle sue lezioni agli studenti del seminario
clandestino che si preparavano a diventare pastori della chiesa
confessante, quindi pastori in quella piccola parte di chiesa
evangelica
tedesca che osava opporsi al nazismo.
In
genere evito di inserire citazioni nelle predicazioni, ma alcune
affermazioni di Bonhoeffer mi sembrano molto più profonde e chiare
di quanto potrei dire io e mi sembra quindi utile condividere alcuni
suoi pensieri.
Bonhoeffer
ripercorre i tre incontri narrati in questo brano, tre incontri che
Gesù ha con tre aspiranti discepoli. Il primo è lui stesso a
proporsi: “io ti seguirò dovunque andrai”. Bonhoeffer dice che
quell’uomo non sa quello che fa, che è pieno di entusiasmo, ma non
ha capito che diventare discepoli di Gesù vuol dire accompagnarlo
verso la croce.
Bonhoeffer
dice addirittura che “nessun uomo può volere questo per propria
scelta. Nessun uomo può rivolgere la chiamata a se stesso”. Ecco
l’errore di questo primo aspirante discepolo: non è Gesù che lo
chiama ma è lui che chiama se stesso, senza rendersi conto di che
cosa voglia dire seguire Gesù.
Il
secondo invece è chiamato da Gesù, con il classico invito/ordine
già rivolto ai primi discepoli: “Seguimi”. L’uomo interpellato
da Gesù però vorrebbe prima seppellire suo padre. E Bonhoeffer nota
che non si tratta soltanto di affetto filiale, ma è la legge che lo
vincola a fare questo; non si tratta cioè di una scusa per prendere
tempo, ma di un’esigenza molto importante e prescritta dalla Torah.
La
risposta di Gesù è molto dura: “lascia che i morti seppelliscano
i loro morti”. Che cosa vorrà dire questa frase un po’
enigmatica? Qualcuno dice che è un po’ come dire: lascia che dei
morti si occupino quelli che sono morti spiritualmente.
Ma
forse ha ragione Bonhoeffer nel dire che il significato è che
semplicemente nulla,
nemmeno la legge di Mosè, la buona e santa legge di Mosè, può
frapporsi tra la chiamata di Gesù e la risposta umana. Nemmeno le
cose buone possono essere di ostacolo. Gesù non voleva certo dire
che non bisogna occuparsi delle esequie dei propri cari, e non voleva
certo dire che in generale non bisogna rispettare la legge di Mosè.
Forse
il senso è che quando Gesù chiama, nulla può ostacolare questa
chiamata, nemmeno – appunto – le cose giuste e sante. È una
parola paradossale come molte altre parole di Gesù. Quando Gesù
chiama, il paradosso entra nella tua vita, l’urgenza entra nella
tua vita. Tutto
diventa secondario rispetto alla chiamata di Gesù.
Il
terzo uomo incontrato da Gesù si propone da sé, come il primo, con
– dice Bonhoeffer - “un programma di vita personalmente scelto”.
Ma non solo, quest’uomo si sente autorizzato anche a porre delle
condizioni: “Ti seguirò Signore, ma lasciami prima salutare quelli
di casa mia”.
“Vuole
seguire Gesù – scrive ancora Bonhoeffer – ma vuole personalmente
stabilire le condizioni della sua sequela”. Vuole
seguire Gesù, ma come e quando vuole lui; la
sequela diventa così qualcosa di molto umano e razionale, decisione
umana e non risposta alla chiamata di Gesù.
Mi
sembra che concludendo potremmo dire alcune cose su cui poi tutti noi
potremmo riflettere: intanto, che la chiamata di Gesù è qualcosa
che va considerata con molto rispetto e sopratutto non va confusa con
i nostri desideri e con le nostre migliori intenzioni. Il
mio
progetto, il mio
programma, per quanto possano essere belli e coerenti con l’evangelo,
non sono quelli che Gesù mi propone, non si identificano tout
court
con la chiamata di Gesù.
Questo
va ricordato, altrimenti rischiamo di confondere colui/colei che
viene chiamato/a – cioè noi – con Colui che chiama, cioè Gesù.
La chiamata di Gesù mi raggiunge da fuori, è qualcosa spesso di
inatteso e soprattutto qualcosa che vuole dare una nuova direzione
alla mia vita. E questa direzione è abbastanza chiara: seguire Gesù
significa seguirlo verso Gerusalemme.
Non
mi porta verso le spiagge di qualche località balneare esotica, ma
mi porta a Gerusalemme,
mi porta alla croce, mi porta verso la sua croce e verso le croci e i
crocifissi che riempiono il mondo. Il discepolato di Gesù ha solo
questa meta. Le altre mete le raggiungiamo seguendo qualcun altro.
L’ultima
cosa che ci dice questo brano, riletto con l’aiuto di Bonhoeffer,
è che il principale ostacolo alla sequela siamo noi stessi. Che sia
il giovane ricco che non riesce a staccarsi dai suoi beni, che sia il
volenteroso aspirante discepolo di questo brano che dice: “sì
vengo, ma prima devo fare questo e quest’altro”, l’ostacolo
principale al nostro metterci in cammino dietro a Gesù siamo noi
stessi.
Perché
tutti noi siamo naturalmente portati a guardare indietro dopo aver
messo mano all’aratro, a lasciarci andare a nostalgie verso il
passato o a nostalgie verso il futuro, verso ciò che è stato o
verso ciò che sarà, così come ce lo immaginiamo e ce lo vogliamo
costruire noi, col rischio di essere poco disposti a lasciare che sia
Gesù a costruire
il nostro futuro.
Luca
non ci racconta come siano
andati a
finire i tre incontri tra Gesù e gli aspiranti discepoli. Non ci
dice, come nel caso del giovane ricco, che qualcuno di loro abbia
rinunciato o se qualcuno abbia deciso di
seguire davvero Gesù.
Forse
questi racconti lasciando appositamente il finale aperto, forse
questo finale aperto vuole dirci che una risposta alla chiamata di
Gesù dobbiamo darla noi stessi.
Gesù
però non passa soltanto una volta. Passa spesso e spesso ci ha
rivolto e ci rivolge la sua chiamata; a volte l’avremo sentita e
avremo risposto o risponderemo, altre volte invece non l’avremo
ascoltato o non l’ascolteremo e andremo in altre direzioni.
Ma
lui continua a passare e a chiamare, non soltanto in Galilea, ma
anche qui e passa anche da noi
e chiama anche noi, e attende la nostra risposta. La sua chiamata è
opera
della
sua grazia; il suo Spirito ci aiuti a rispondere con fiducia e con
gioia.
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