sabato 21 marzo 2020

Predicazione sul testo di Isaia 66,10-14 - domenica 22 marzo 2020, quarta domenica del tempo di Passione a cura di Marco Gisola

Non potendo celebrare il culto domenicale, a causa dei provvedimenti presi dal governo per limitare la diffusione del Coronavirus, 
pubblichiamo la predicazione sul testo di domani, domenica 22 marzo

 

Domenica 22 marzo 2020 – Quarta del tempo di Passione
Isaia 66,10-14

10 «Gioite con Gerusalemme ed esultate a motivo di lei, voi tutti che l’amate!
Rallegratevi grandemente con lei, voi tutti che siete in lutto per essa,
11 affinché siate allattati e saziati al seno delle sue consolazioni;
affinché beviate a lunghi sorsi e con delizia l'abbondanza della sua gloria».
12 Poiché così parla il SIGNORE: «Ecco, io dirigerò la pace verso di lei come un fiume,
la ricchezza delle nazioni come un torrente che straripa,
e voi sarete allattati, sarete portati in braccio, accarezzati sulle ginocchia.
13 Come un uomo consolato da sua madre così io consolerò voi, e sarete consolati in Gerusalemme».
14 Voi lo vedrete; il vostro cuore gioirà, le vostre ossa, come l’erba, riprenderanno vigore;
la mano del SIGNORE si farà conoscere in favore dei suoi servi, e la sua indignazione, contro i suoi nemici.


In questa quarta domenica del tempo di passione – e quarta domenica senza culto comunitario! - ci viene incontro una parola che è un invito alla gioia e una promessa di consolazione! Un meraviglioso brano del profeta Isaia, tratto dall’ultimo dei suoi 66 capitoli.
Qualcuno ha detto che questa domenica – che nel calendario liturgico prende il nome proprio dalla prima parola del primo versetto del brano di Isaia, cioè “Gioite!” - è una piccola Pasqua nel bel mezzo del tempo di Passione.
Potremmo dire: nel bel mezzo del tempo di Passione ci raggiunge la promessa di Pasqua. E con la promessa l’invito a gioire.
Questo non vuol dire “cristianizzare” Isaia; ma poiché noi leggiamo Isaia con occhi cristiani, notiamo come la promessa di Dio, la Parola di Dio, annuncia ciò che ancora non è e chiede la nostra fiducia, nell’Antico come nel Nuovo Testamento, nei profeti come nei vangeli: «sarete consolati in Gerusalemme». È come l’annuncio della resurrezione fatto proprio nel bel mezzo della Passione di Gesù.
Ma vediamo un attimo il contesto: siamo dopo la fine l’esilio in Babilonia, gli Israeliti sono tornati a casa e a Gerusalemme si sta progettando la ricostruzione del tempio, perché il tempio di Salomone era stato distrutto dagli Assiri che avevano deportato gli Israeliti.
Questi ultimi capitoli di Isaia alternano, come tutto il libro, annunci di giudizio e annunci di salvezza. Poco prima (65,17) Dio aveva annunciato che avrebbe creato nuovi cieli e nuova terra, aveva annunciato un tempo di pace e di gioia in cui persino «il lupo e l’agnello pascoleranno insieme … e non si farà né male né danno su tutto il mio monte santo» (65,25).
Il tono cambia invece all’inizio del cap. 66: poco prima del brano di oggi, troviamo un invettiva contro il falso culto, cioè verso il culto ipocrita, praticato proprio da chi vorrebbe costruire a Dio una casa, cioè il tempio, mentre è proprio Dio il creatore di tutto ciò che esiste: «tutte queste cose le ha fatte la mia mano...» dice Dio al suo popolo tramite Isaia (66,2).
Questo testo è quindi decisamente controcorrente: non è la casa che gli esseri umani costruiranno a Dio che conta. Ciò che conta è quello che Dio dice subito dopo, che è una parola chiave per la lettura di questo capitolo e di tutto il libro di Isaia, per non dire di tutta la Bibbia: «Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito afflitto e trema alla mia parola» (66,3).
Dio posa il suo sguardo su chi è umile, su chi si presenta davanti a lui con umiltà, non con l’intenzione di costruire qualcosa per lui, ma con la consapevolezza che è Dio il “costruttore”, il creatore di tutto ciò che esiste. A costoro Dio annuncia consolazione, costoro Dio invita alla gioia. Gioia per la rinascita di Gerusalemme, che non rinasce grazie ai progetti degli esseri umani, ma grazie ai progetti di Dio.

Chi è invitato a gioire con Gerusalemme? Chi ama Gerusalemme, chi è in lutto per Gerusalemme. Gerusalemme è ancora ferita dalla catastrofe dell’esilio, ma non è tanto o soltanto la città che va ricostruita, bensì il popolo stesso che va ricostruito, e questa ricostruzione è opera di Dio, solo lui può ricostruirlo.
Gli esseri umani possono ricostruire le mura, le abitazioni, persino il maestoso tempio come quello che aveva costruito Salomone, ma non possono ricostruire se stessi, non possono ricostruire la loro fede e la loro speranza. Quelle sarà Dio a ricostruirle.
È chi è in lutto che è invitato a gioire. Questo è l’evangelo di questo brano. Queste parole non sono rivolte a chi sta bene, a chi è felice e sereno, ma chi è in lutto, a chi è tornato da Babilonia e ha trovato la sua città semidistrutta.
Questa è in fondo la Pasqua, o se vogliamo questo è l’evangelo, la Parola di Dio che ci incontra sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento. Oggi l’evangelo ci incontra oggi nelle parole del profeta Isaia.
La gioia si fonda sulla promessa di Dio, dunque si fonda su ciò che non si vede, su ciò che non si può ancora sperimentare, su ciò che sembra lontano, per non dire incredibile.
Ma la cosa che sembra più incredibile è anche la più certa, la più degna di fede. Dio ricostruirà il popolo, ricostruirà la sua fede e la sua speranza, gli donerà di nuovo la pace.
Umanamente sembra più credibile che il popolo ricostruisca il tempio… per questo bastano terra, pietre, legno… E lo farà, il popolo ricostruirà il tempio, ma non sarà questo che gli darà gioia e pace. Gioia e pace vengono da Dio, non dall’opera umana.
In questo brano ci viene incontro un Dio estremamente tenero, un Dio materno, che allatta, che “sazia al seno delle sue consolazioni…” e a tutti noi viene in mente un neonato che strilla e che trova pace (oltre che cibo…!) al seno della madre. 
 
Dio si presenta a noi oggi con questa immagine della madre che allatta. E un neonato non ci va da solo al seno della madre, deve esservi portato, deve essere preso in braccio e portato – letteralmente – al seno.
Così fa Dio con noi, ci porta al seno delle sue consolazioni, ci prende in braccio per portarci vicino alla fonte della consolazione, che è lui e la sua Parola efficace, che fa risorgere e dona speranza.
Allattati, portati in braccio, accarezzati sulle ginocchia… ecco che cosa siamo. Vorremo essere più di questo? Pensiamo di essere più di questo? Oggi la Parola di Dio ci dice che siamo questo, esseri bisognosi di consolazione e di gioia e che Dio è colui che ci offre la sua consolazione e la sua gioia.
E poco più avanti viene però detto che non è un neonato che viene preso sulle ginocchia, ma un uomo: «Come un uomo consolato da sua madre così io consolerò voi, e sarete consolati in Gerusalemme».
Sono già uomini, sono già grandi coloro che hanno bisogno della consolazione di Dio, quindi non i neonati (davanti ai quali si può dire: poi crescono e se la cavano da soli…), ma gli esseri umani adulti hanno bisogno di Dio e delle sue consolazioni, è per per uomini fatti e finiti (magari quelli che volevano costruire il tempio…!) che Dio è tenera madre che consola.
E se vogliamo fare un altro paragone con il Nuovo Testamento, con il tempo della Passione di Gesù, non ci vengono forse in mente i discepoli, che fuggono davanti all’arresto di Gesù? Uomini fatti e finiti, i dodici, la cerchia più stretta dei discepoli di Gesù, i prescelti, fuggono come bambini spaventati quando il loro maestro viene preso. 
 
«Rallegratevi grandemente con lei [Gerusalemme], voi tutti che siete in lutto per essa». È per chi ha toccato il fondo l’annuncio di gioia che Dio ci offre oggi, è per chi è nella disperazione la promessa della consolazione di Dio.
L’annuncio della consolazione è per chi ha perso; per chi ha perso qualcosa, come la casa, la famiglia, come chi ha dovuto fuggire dal proprio paese. Pensiamo per esempio ai profughi che stanno tra Grecia e Turchia in condizioni estreme e che nessuno vuole più, che rischiano grosso di ammalarsi del virus che spaventa tanto noi, che pure abbiamo una casa e possiamo lavarci le mani ogni volta che vogliamo.
L’annuncio della consolazione è per chi ha perso qualcuno ed è nel lutto e nella solitudine, e in questi giorni molte donne e uomini muoiono nei nostri ospedali e molti sono i familiari che li piangono.
È per tutti gli sconfitti l’annuncio della consolazione, per tutti i disperati l’annuncio della gioia, per tutti i sofferenti l’annuncio della pace.
È questo l’anticipo di Pasqua che ci raggiunge attraverso le parole del profeta Isaia nel bel mezzo del tempo di Passione e nel bel mezzo della pandemia di questo inizio 2020.
Quando Dio agisce è sempre Pasqua, è sempre rinascita, è sempre resurrezione e quando Dio parla è sempre annuncio pasquale di consolazione, di gioia e di pace per gli umili, sui quali Dio posa il suo sguardo.
Che questa promessa possa dare già oggi pace ai nostri cuori, consolazione al nostro animo e gioia alla nostra fede.


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