domenica 23 agosto 2020

Predicazione di domenica 23 agosto su 1 Corinzi 3,9-17 a cura di Marco Gisola

 

1 Corinzi 3,9-17

Noi siamo infatti collaboratori di Dio, voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come esperto architetto, ho posto il fondamento; un altro vi costruisce sopra. Ma ciascuno badi a come vi costruisce sopra;  poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù.  Ora, se uno costruisce su questo fondamento con oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia,  l’opera di ognuno sarà messa in luce; perché il giorno di Cristo la renderà visibile; poiché quel giorno apparirà come un fuoco; e il fuoco proverà quale sia l'opera di ciascuno. Se l'opera che uno ha costruita sul fondamento rimane, egli ne riceverà ricompensa; se l'opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo; però come attraverso il fuoco.
Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi.



Collaboratori di Dio. Così Paolo chiama i predicatori che operano a Corinto, tra cui include anche se stesso, in questa lettera sofferta. Sofferta perché questi predicatori, che dovrebbero istruire la chiesa di Corinto mentre lui è lontano, stanno lavorando male, perché stanno lavorando per loro stessi e non per la comunità. Queste parole di Paolo vengono subito dopo una dura critica alle divisioni che ci sono nella chiesa di Corinto: «… uno dice: «Io sono di Paolo»; e un altro: «Io sono d'Apollo» … Che cos'è dunque Apollo? E che cos'è Paolo? Sono servitori, per mezzo dei quali voi avete creduto». «Io ho piantato [scrive Paolo, infatti era stato lui il fondatore della comunità; il fondatore, ma non il fondamento!], «Io ho piantato Apollo ha annaffiato, ma Dio ha fatto crescere; quindi colui che pianta e colui che annaffia non sono nulla: Dio fa crescere!»

Faremmo un grosso errore se leggessimo la parola «collaboratori» con orgoglio, con presunzione, come se fosse un privilegio o un onore; faremmo un grosso errore se leggessimo la parola «collaboratori» dimenticando la parola che Paolo ha scritto poco prima, cioè «servitori». L’immagine che Paolo usa del campo di Dio è eloquente: è essenziale che qualcuno pianti e qualcuno innaffi, ma chi sia a fare questo è assolutamente secondario: è Dio che fa crescere, perché il campo è di Dio, la chiesa, la comunità dei credenti è di Dio, non dei predicatori. Non è nemmeno del fondatore: Paolo ha posto il fondamento, che è Cristo, e non poteva porre un altro fondamento perché da un altro fondamento non sarebbe sorta una chiesa cristiana, sarebbe sorto qualcos’altro, una comunità o un gruppo di tipo diverso, ma non una comunità cristiana. Il fondatore continua ad essere un collaboratore e servitore di Dio, come ogni predicatore. Nulla di più.

Questa affermazione di Paolo non a caso è il versetto del giorno della Riforma; se andate a vedere su “Un giorno una Parola” sotto la data del 31 ottobre c’è proprio questa frase «nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù». La polemica con il cattolicesimo è chiaramente il fatto che sembri che nella fede e nella spiritualità cattolica vi siano altri fondamenti, non al posto ma accanto a Gesù, quali Maria, i santi, ecc. Ma nel contesto della lettera di Paolo ovviamente la polemica non è – come diremmo oggi – confessionale, ma riguarda un tema e una tentazione molto presente anche oggi, nelle chiese e in tutti i raggruppamenti umani. È quello di cui parla all'inizio del capitolo e che ho già citato: «Io sono di Paolo», «Io sono d'Apollo»…

Mi sembra che il rischio che Paolo vede in questo atteggiamento è quello che il fondamento anziché essere solo e soltanto Cristo e il suo evangelo, sia la persona che lo annuncia. A Corinto c’e il gruppetto – passatemi l’espressione - dei “paolini” quello degli “apollini”, cioè chi apprezza e segue Paolo, chi apprezza e segue Apollo, e sono magari in contrasto tra di loro come due partiti opposti.

È quello che con una bruttissima parola si potrebbe definire oggi il “leaderismo”, il bisogno di un leader, di una guida, per non dire di un capo. La nostra chiesa ha molti antidoti per prevenire il leaderismo, ma non possiamo essere sicuri di esserne immuni. Gli antidoti sono il fatto che i pastori e le pastore stanno per un periodo non troppo lungo in una chiesa, il fatto che ogni decisione viene presa non da singoli ma da gruppi di persone che sono elette da un’assemblea, il fatto che qualunque compito si abbia lo si ha per un tempo e non per sempre.

Ma ciononostante, il rischio c’è. C’è il rischio che alcuni membri di chiesa vadano a simpatie (,“se c’è quel pastore/a o predicatore/predicatrice vado al culto se c’è quell’altro o quell’altra non ci vado…”) e c’è il rischio che pastori e pastore coltivino le loro simpatie. Il rischio c’è da entrambe le parti.

Ciò che Paolo è scrive è molto interessante: senza pensare che qualcuno voglia costruire su altri fondamenti, Paolo dice che sul fondamento già posto, che è Cristo, si può costruire bene oppure male. Sullo stesso fondamento, quello “giusto” (diciamo così) si può costruire bene o male. Paolo usa l’immagine del costruire e quando deve parlare dei materiali di costruzione va un po’ oltre la realtà e parla di «oro, argento, pietre di valore, legno, fieno, paglia», che non sono tutti materiali da costruzione comuni, ma Paolo usa queste materiali perché introduce poi l’immagine del fuoco che mette alla prova le varie materie prime. Alcune materie resistono al fuoco, altre – come chiaramente fieno e paglia – non resistono.

È possibile che, tornando sempre al contesto dell’inizio del discorso di Paolo, costruire male sia un riferimento alle divisioni, ai gruppetti che ci sono nella chiesa di Corinto. Chi costruisce, cioè chi predica Cristo, deve costruire la comunità, non ognuno la sua comunità, cioè il proprio gruppetto. Costruire è un compito di grande responsabilità, perché – dice Paolo alla chiesa di Corinto - «siete il tempio di Dio e … lo Spirito di Dio abita in voi». La chiesa è il tempio di Dio; ma non l’istituzione “Chiesa”, bensì la comunità dei credenti, perché è ai credenti che Dio ha dato il suo Spirito. L’istituzione è necessaria, è una forma organizzativa che cerca di essere coerente con l’evangelo anche nella sua organizzazione, ma sono i credenti raccolti nelle comunità che sono il tempio di Dio. Paolo si rivolge alla comunità locale di Corinto, comunità tutt’altro che perfetta, anzi Paolo è molto critico nei confronti di questa chiesa, non ha parole di lode per questa comunità, eppure, ciononostante essa è il tempio di Dio. E anche nelle sue parole di giudizio, Paolo distingue chiaramente tra il costruttore e la costruzione: «Se uno guasta il tempio di Dio, Dio guasterà lui; poiché il tempio di Dio è santo; e questo tempio siete voi». Chi guasta il tempio di Dio sarà guastato da Dio, ovvero Dio non permetterà che il suo tempio sia guastato, perché il tempio di Dio – i credenti, coloro che Dio ha scelto e chiamato a far parte della sua chiesa - è santo, è cioè appunto scelto da Dio e quindi è di Dio.

Sembra che questo discorso riguardi soltanto coloro che hanno un compito di predicazione o di istruzione all’interno della comunità, perché Paolo si rivolge a chi a Corinto è venuto dopo di lui e sta istruendo la comunità. Penso però che queste parole di Paolo valgano per tutti, perché tutti abbiamo un compito nella comunità, chi più istituzionale e chi meno, chi con un qualche incarico e chi no, ma tutti contribuiamo alla costruzione della chiesa e quindi del tempio di Dio. Tenere ben a mente che la comunità di cui si fa parte è il tempio di Dio è importante anche per chi non ha particolari ruoli dentro la chiesa (ma potrebbe un giorno averli...). La chiesa di Biella non è tua, non è nostra, è di Dio, è sua, è lui che l’ha creata. Qualcuno, circa un secolo e mezzo fa, ha fatto come Paolo a Corinto, è arrivato qui e ha posto il fondamento, Gesù Cristo, che alcuni hanno accolto e così facendo hanno costituito questa chiesa.

Da allora stiamo tutti cercando di continuare questa costruzione, ognuno con il suo compito, e ognuno sapendo che non costruiamo qualcosa di nostro, ma qualcosa che appartiene a Dio. Cerchiamo di costruire bene, con oro, argento e pietre di valore, con la predicazione dell’evangelo, con la catechesi, la cura pastorale, le relazioni con le altre chiese e con la società, nella consapevolezza che il fondamento è già posto, non siamo noi, non è la nostra storia, ma è Cristo Gesù e nient’altro.

Continuare a costruire bene su questo fondamento, con cura, con amore, nell’ascolto reciproco, con sincerità, con la voglia di scoprire ancora molte cose che l’evangelo ha da dirci qui ed ora è la sfida e il compito che Dio dona a tutti e tutte noi. Siamo tutti e tutte collaboratori e collaboratrici di Dio, nel senso di suoi servitori, impegnati a lavorare per costruire il suo tempio, che siamo noi stessi, quindi a costruire passo dopo passo la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore.

Nella responsabilità di costruire bene, con i materiali giusti, e nella certezza che il fondamento è già posto e nessuno lo può togliere, perché è Cristo Gesù.



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