lunedì 7 settembre 2020

Predicazione di domenica 6 settembre 2020 su Atti 16,23-34 a cura di Giuseppe Sgroi

Atti degli Apostoli 16,23-34

23 E, dopo aver dato loro molte vergate, li cacciarono in prigione, comandando al carceriere di sorvegliarli attentamente. 24 Ricevuto tale ordine, egli li rinchiuse nella parte più interna del carcere e mise dei ceppi ai loro piedi. 25 Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano. 26 A un tratto, vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; e in quell'istante tutte le porte si aprirono, e le catene di tutti si spezzarono. 27 Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate, sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28 Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». 29 Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; 30 poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo fare per essere salvato?» 31 Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia». 32 Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. 33 Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. 34 Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.



Care sorelle e cari fratelli, il testo di oggi è un testo che ci racconta avvenimenti straordinari, al limite dell’incredibile; è pieno di paradossi, di domande, di certezze incrollabili e deboli sicurezze, fragili convinzioni pronte a cadere al primo scossone; e chiaramente è anche un testo dove si possono trovare delle risposte.

Proviamo allora a ripercorrere le tappe di questo racconto:

Paolo e Sila vengono arrestati e messi in prigione a causa della loro predicazione nella città di Filippi, in Grecia, dove in seguito una grossa comunità cristiana nascerà; e che fosse una grossa e importante comunità, è dimostrata dal fatto che, tra gli scritti canonici del NT, vi è una lettera di Paolo indirizzata proprio a quella comunità; una lettera piena d’affetto e di elogio in alcune sue parti.

Ma a quel tempo, la predicazione di Paolo e Sila, come abbiamo ascoltato nella lettura, e la loro azione nei confronti di alcune persone della città, “datori di lavoro” di un’indovina, che portava loro del guadagno con la sua arte divinatoria, aveva procurato dei tumulti tra i cittadini, ben fomentati dagli interessati; un po’ come accade oggi in certe situazioni sia sociali che politiche.

Proviamo dunque ad immaginare di ritrovarci in mezzo ad una folla inferocita che cerca di linciarci, ci vengono strappati i vestiti, veniamo malmenati con dei manganelli da parte di chi “amministra la giustizia”; immaginiamo di essere poi incatenati e messi in celle piccole, maleodoranti e magari sovraffollate; il sovraffollamento delle carceri è cosa antica, si potrebbe dire…..

Sembra un film dell’orrore, oppure una storia “politicamente orientata”.

Ma se solo pensiamo alle situazioni che accadono ancora oggi in diverse parti del mondo, anche nel nostro mondo, nel nostro occidente civile, basti pensare cosa sta accadendo in America, come dall’altra parte del mediterraneo e in tante altre parti del mondo, sono situazioni queste, ancora e purtroppo all’ordine del giorno; ancora oggi ai nostri giorni: ancora oggi soprusi, ancora oggi lager, ancora oggi persone ridotte in schiavitù, picchiate, stuprate, chiusi in luoghi sovraffollati, in “celle sicure” potremmo dire…. quando non sono uccise per strada…

Potremmo anche aggiungere che “è proprio bravo Luca a costruire storie verosimili alla realtà, anche dopo duemila anni...”

Noi, e per nostra buona sorte, solo con le parole, possiamo pensare di provare quella sensazione che Paolo e Sila provarono, come anche quella che i tanti “Paolo e Sila” dei nostri giorni, provano!

E allora una domanda che potremmo porci è: quale sarebbe la nostra reazione in una simile situazione? Quali sarebbero i nostri sentimenti?

La prima reazione e il primo pensiero sono quelli della paura, del terrore che scorrerebbe sulla nostra pelle; paura di essere torturati, paura per la potenziale perdita della nostra vita. Forse i più forti nella fede (come si diceva un tempo), in questo spavento, potrebbero ritrovare il conforto della preghiera; pregherebbero il buon Dio che faccia passare in fretta questo momento oscuro, chiederebbero la liberazione da una situazione oggettivamente complicata. Esattamente come fecero in fondo Paolo e Sila, pregavano e cantavano inni; un’immagine iconica e certamente molto bella.

Si! Cantavano, e questo è il primo dei paradossi che ritroviamo nel testo.

È facile cantare quando si festeggia con gli amici, magari dopo una bella serata passata in buona compagnia.

Ma chiaramente, cantare dopo essere stati malmenati ed essendo per conseguenza pieni di lividi, chiusi in una prigione con le catene alle caviglie, non è la stessa cosa.

Il testo dunque ci racconta, mettendola in risalto, la profonda fede e abbandono in Dio da parte di questi due uomini. D’altronde a quel momento Paolo e Sila non avevano alcuna idea di come si sarebbe potuta evolvere la situazione.

Dall’altra parte della storia abbiamo il carceriere, questa guardia penitenziaria, che vive anch’esso in prigione, forse la sua è una doppia prigionia: una prigione fisica, il suo luogo di lavoro; una prigione intima, quella dei propri sentimenti e della propria interpretazione della vita.

Lui era sicuro di ciò che deve esser fatto: obbedire senza alcun dubbio agli ordini ricevuti. Punto! Non ci sono difficoltà!

E quindi proprio per obbedire all’ordine di custodire bene questi uomini molto pericolosi, li rinchiude nella cella più sicura; per non sbagliarsi, li incatena. Ecco, semplice in fondo! Non è difficile obbedire agli ordini, è semplice, è chiaro, è sicuro! Gli ordini non si discutono né si giudicano, gli ordini sono fatti per essere eseguiti. Ed è ciò che il carceriere fa. In fondo è un atteggiamento antico ma sempre ripetuto per scaricare le proprie responsabilità: “ho eseguito gli ordini”, frase purtroppo tristemente famosa.

Nel confronto dunque, ritroviamo due certezze: quella di Paolo e Sila completamente basata su Dio e quella del carceriere, basata sugli ordini dei suoi superiori.

La parola del Signore rende libera l’umanità ed il primo elemento di questa libertà è proprio la fiducia in Dio, quella stessa fiducia che permette a Paolo e Sila, pur se malmenati e malconci, di cantare nel bel mezzo della notte. Al contrario invece, l’asservimento ai pensieri altrui, è rappresentato dalla rinuncia ad avere un proprio pensiero. Questa è la prigione dell’umanità!

Altro paradosso, anche se non molto dettagliato nel racconto, riguarda gli altri prigionieri; non è difficile pensare che, con molta probabilità, fossero sbalorditi di sentire cantare due uomini, prigionieri come loro e apparentemente senza speranza di poter uscire da quel luogo. Ma il vero elemento sensazionale, come vedremo, è rappresentato dalla mancata fuga di costoro: non scappano pur avendone la possibilità, secondo il racconto.

Ad un certo momento tutto cambia: arriva il sisma.

Una scossa talmente forte che persino tutta la struttura fu danneggiata e persino le porte delle celle, anche quelle ritenute più sicure, si aprirono!

Un terremoto che dà la possibilità d’avere uno sguardo differente sulla situazione, che riguarda tutte le persone del nostro racconto: Paolo, Sila, gli altri prigionieri e … il carceriere

L’improvviso accadimento dimostra tutta la debolezza degli elementi di sicurezza umani, come anche questa pandemia ci ha dimostrato: il carceriere pensa che i prigionieri siano scappati, il proprio onore di soldato, l’onore di colui che aveva sempre eseguito (e bene) tutti gli ordini che gli erano stati impartiti, è irrimediabilmente leso.

Questo lo rende pronto anche ad un atto estremo, il suicidio.

Ma è paradossale che, in tutta quella confusione, lui pensasse ai prigionieri che gli erano stati assegnati!

Ed è altrettanto straordinario che Paolo, in mezzo a quella confusione, comprenda ciò che il carceriere intende fare e si mette a gridare: “non farti alcun male, siamo tutti qui…”

Ebbene qui si produce il cambiamento nella visione del carceriere e la sua domanda è in fondo lo scopo dell’intero racconto: “cosa devo fare per essere salvato”. A quel punto, gli ordini per i quali prima era pronto a morire, non sono più importanti; un cambiamento totale s’è prodotto in lui, è cambiato radicalmente l’ordine delle sue priorità: la salvezza della sua anima! È questo l’imperativo; tutto il resto diviene secondario.

Certo si può supporre che forse, i canti di Paolo e Sila, abbiano prodotto un effetto pure nello stesso carceriere come negli altri carcerati.

La conversione, fratelli e sorelle, porta con sé la possibilità di un cambiamento radicale del modo di pensare, del modo di vedere la vita e gli avvenimenti che la vita stessa produce, a volte anche quelli imponderabili come un terremoto.

E tutto questo non viene da un obbligo, è spontaneo, è la fede che produce questo. Pensare in modo differente, è dunque la questione centrale!

Ma occorre chiedersi se qualcuno può oggettivamente definirsi alla sequela del Cristo risorto e allo stesso tempo, appiattire il proprio pensiero a quello comune, senza alcun senso critico. Spesso si assiste ad una “pubblicizzazione” della propria fede, anche tramite l’ostentazione di simboli religiosi vari e in parallelo viene accettato o utilizzato un linguaggio e un atteggiamento escludente, delimitante e indicante chi è diverso dalla maggioranza, additandolo. È possibile includere quest’atteggiamento nel quadro di un “cambiamento”? È identificabile come segno di “conversione”?

La paura delle sanzioni o della perdita dell’onore, porta il carceriere al suicidio esattamente come la paura del diverso, del critico, della voce fuori dal coro, la paura degli altri insomma, porta al suicidio di una società.

Conversione (μετάνοια in greco) non significa l’adesione a dei precetti definiti; significa piuttosto un cambiamento profondo del modo di pensare, di sentire, di valutare e giudicare ciò che ci circonda, compresa la nostra stessa visione della vita. La libertà in Cristo, porta dunque cambiamento, la libertà in Cristo, apre un mondo di possibilità e un mondo aperto alle possibilità: della vita, della gioia, dell’amore.

E questo è il significato del canto di Paolo e Sila nel bel mezzo della notte, una notte che poteva essere sorgente di grande tristezza, diventa invece una notte di liberazione, di gioia vera e d’amore.

È ciò che il carceriere sperimenta nella sua vita e a seguire, in quella della sua famiglia, proprio a partire dal terremoto che la conversione ha prodotto. Si!, è la conversione che produce un terremoto…. nella vita di ognuno e ognuna!

E il primo gesto del carceriere convertito, è quello di prendere con sé i prigionieri, di prendersi cura delle loro ferite, di condividere la tavola, il pane e il vino, per noi simboli della Cena, di riconoscerne il principio liberatore: il Signore Gesù Cristo. Questo è ciò che l’ha portato ad aprire la sua casa, ad aprirsi agli altri: coloro che prima custodiva per ordine, adesso cura per amore.

Parlando di prigionieri, vorrei portare alla memoria la figura, e alcune delle parole, di Sophie Scholl, giovane donna tedesca protestante (anche se molto vicina ai circoli cattolici), che faceva parte del movimento di resistenza al nazismo soprannominato “La Rosa Bianca”. Questa giovane donna, suo fratello e un altro amico, furono uccisi per la loro attività di resistenza alla barbarie. Nel suo diario sono riportate queste parole: “l’anima mia è arida come la sabbia, quando voglio pregare. Dio mio, trasforma questo suolo in una terra feconda in modo che il tuo seme non cada invano, lascia che in questa terra possa nascere il desiderio di te, suo Creatore. Te ne prego Dio mio, io grido a te”.

Queste sono le parole di questa giovane donna, che chiede a Dio il cambiamento dei suoi sentimenti. Ma forse potrebbero essere anche le nostre parole, come anche le parole di tutti e tutte coloro che cercano Dio e chiedono a Lui un cambiamento profondo. Questo, se vogliamo, è ciò che il Signore ci dice con questa sua Parola oggi, e sempre se vogliamo, questo è anche ciò che lo stesso Signore ci domanda.

Amen

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