mercoledì 28 luglio 2021

Predicazione di domenica 25 Luglio 2021 su Matteo 28,16-20 a cura di Giuseppe Sgroi

Matteo 28,16-20

16 Quanto agli undici discepoli, essi andarono in Galilea sul monte che Gesù aveva loro designato. 17 E, vedutolo, l'adorarono; alcuni però dubitarono. 18 E Gesù, avvicinatosi, parlò loro, dicendo: «Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente».


Care sorelle e cari fratelli, confesso la mia emozione nell’essere qui dopo questo lungo periodo di chiusure, zone rosse, culti online; è come se fosse la prima volta, succede sempre, sia tutte le volte che mi ritrovo a predicare in una comunità nella quale non avevo mai predicato prima oppure dove non predico da molto tempo e soprattutto dopo questo periodo.

Quest’emozione è sempre un momento particolare che riprovo in queste occasioni.

I versetti che abbiamo letto, fanno pensare che anche per i discepoli, che pure avevano vissuto con Gesù per diverso tempo, che l’avevano visto fare cose strabilianti, l’avevano sentito dire cose nuove, innovative, anche per loro, il momento di quest’incontro raccontato dal vangelo, dev’essere stato emozionante e allo stesso tempo sbalorditivo, a tratti incredibile, come un’altra prima volta, al punto che, dice il testo, alcuni dubitarono.

Il verbo greco che l’evangelista usa qui, significa effettivamente dubitare ma potremmo anche tradurlo con “essere incerto”, che di fatto è un sinonimo.

Proviamo a rivivere con i discepoli quel momento: diversamente da altri Vangeli, Matteo non ci racconta altre apparizioni del Risorto, a parte quella alle tre donne che andarono al sepolcro. Per tutti gli altri discepoli dunque si trattava proprio della prima volta dopo la resurrezione.

È comprensibile che ci fosse dello sconcerto e dunque dell’incertezza. Incertezza che nemmeno la visione del Risorto in quel momento riuscì a colmare. Ma in fondo, non è certamente qualcosa di strano: quante volte nella nostra vita, chi più e chi meno, ha avuto delle incertezze; a volte queste incertezze si sono riflesse pure nella nostra fede.

Non sempre è filato tutto liscio.

Eppure con tutte le nostre incertezze e le difficoltà che esse comportano - e possiamo dire che quest’anno trascorso, tra pandemia, divieti di spostamento, chiusure, lutti, ebbene tutte queste cose, non hanno fatto altro che aumentare, in molti casi, il senso d’incertezza – eppure siamo qui, a leggere questi versetti, queste parole del Vangelo, che ci toccano nel profondo, toccano le corde più intime della nostra stessa fede e ci pongono degli interrogativi importanti, quelli relativi appunto alla resurrezione del Cristo, che è un elemento centrale della fede cristiana, oserei dire, che è l’elemento centrale; per dirla con Lutero, parafrasandolo, è l’articolo sul quale la fede cristiana sta o cade (articulus stantis vel cadentis fidei).

Ma il Vangelo continua a raccontare e le parole del Risorto ci annunciano tre momenti importanti:

uno al passato, Gesù dice ‘‘Ogni potere mi è stato dato’’, ossia qualcosa che è già avvenuta e che dura ancora nel momento nel quale il Risorto parla;

uno al presente, ‘‘Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli’’, un presente che è ancora presente, anche oggi, non è ancora passato;

uno al futuro, ‘‘io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente’’, un futuro dunque carico di promesse e di forza.

Poche settimane fa è stato presentato un libro a fumetti di Andrea Tridico, che frequenta talvolta la Chiesa Valdese di Torino, intitolato “Il Sentiero”; questo libro narra la storia del Glorioso Rimpatrio dei valdesi e la incrocia con quella di un ragazzo ivoriano, Enoch è il suo nome, che nel 2019 arriva in Italia con uno dei tanti barconi.

Durante il lungo viaggio che aveva intrapreso con la sorella, ha vissuto situazioni terribili: il deserto, i trafficanti, lo stupro e la morte della sorella, la traversata su un gommone.

Enoch arriva in Italia e rientra nel programma di accoglienza della Chiesa Valdese e accolto in casa da una nostra sorella di chiesa a Torre Pellice. Mentre si trovava nella biblioteca del Centro Culturale, trova una copia del diario di David Mondon, valdese esiliato a Ginevra che prese poi parte (à la Glorieuse Rentrée) al Glorioso Rimpatrio. Enoch s’identifica con questo giovane e con i suoi racconti, facendo un parallelo tra la sua migrazione e il Glorioso Rimpatrio.

Ma la vita lo colpisce ancora: viene aggredito e picchiato solo perché straniero. Tenta di fuggire in Francia ma ha un incidente e rischia di morire.

La sua fede, quella nella quale è stato cresciuto (Enoch è cristiano), non solo vacilla, ma cade, rotola rovinosamente come la sua vita.

I suoi dubbi e le sue ansie diventano enormi. Si chiede se Dio è ancora veramente al suo fianco.

Come dargli torto!

Le parole del Vangelo di oggi ci riportano in qualche modo a questa storia.

I tre momenti descritti dal Risorto, il passato con il potere che gli fu dato, il potere di parlare dell’amore del Padre, il potere di guarire, il potere di amare fino all’ultimo momento, perdonando chi lo aveva fatto condannare e crocifiggere, non è semplicemente un sentimento umano ma è qualcosa di più, molto di più.

Il momento presente ci chiama alla testimonianza della fede, testimonianza che probabilmente non sappiamo più esprimere in modo chiaro e completo e forse la decrescita stabile delle nostre comunità, ne è il sintomo più chiaro. Il Cristo Risorto ci chiama anche a questo, ci chiama ad esprimere le nostre convinzioni, la nostra fede; senza denigrare la fede altrui laddove c’è, senza banalizzarla, senza offenderla; ma senza banalizzare o offendere nemmeno chi una fede non la esprime o non sa esprimerla. Ma in maniera mite, come mite fu Gesù, ci chiama ad esplicitarla, a comunicarla esattamente come la donna, sorella di chiesa, che nel racconto non solo accoglie questo giovane, ma lo sostiene quando la sua vita e con essa la sua fede, vacillano e cadono.

Noi abbiamo un argomento valido, più che valido: l’amore! Quello del Padre verso i suoi figli e figlie, quello del Cristo che perdona tutto, tutti e tutte, quello dello Spirito, che suscita fede e doni, quello reciproco tra esseri umani, che è un riflesso di quello del Padre e che apre le braccia e accoglie.

E poi c’è l’ultimo momento, è quello futuro, ma che parte dal nostro presente: la sua presenza al nostro fianco finché vivremo. E forse quest’ultimo momento è il più problematico, il più complesso, quello meno facile da vivere e da dire. Se avessimo avuto Enoch qui oggi, forse non avremmo saputo esattamente cosa dirgli.

Si perché ancora una volta, la vita che viviamo non sempre ci viene incontro, non sempre è d’aiuto; c’è chi vive il dramma della perdita di una persona cara; c’è chi convive con una malattia debilitante e invalidante; c’è chi ha perso il lavoro e non sa come fare. C’è chi ha perso la propria serenità familiare e questo lo/la fa sentire distante da qualunque rapporto umano e anche con il divino, con il buon Dio. La lista potrebbe continuare a lungo.

Non è facile porre fede a questa promessa che il Risorto pronuncia, “io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente”; non lo è!

E i drammi che sottintendono a questo, non sono, né possono essere semplificati oltremodo, senza correre il rischio di banalizzarli.

Eppure, il nostro essere qui oggi, dentro questa sala di culto, testimonianza di chi ci ha preceduti e ha creduto che questo luogo fosse importante, quale simbolo della fede concreta e vissuta, quale testimonianza oggettiva del credo della comunità, il nostro essere qui anche oggi, dobbiamo comprenderlo non come la buona azione settimanale, quella del buon cristiano, ma come la risposta ad un appello che ci è stato rivolto e chiaramente anche come testimonianza.

Cosa vuol dire per noi oggi “fate miei discepoli tutti i popoli”?

Forse il Vangelo di oggi ci sta invitando ad avere coraggio, a tenere in particolare considerazione l’amore del buon Dio e trasmetterlo con tutta la forza che abbiamo.

Forse in questa nostra società governata dall’efficienza del consumismo, c’è bisogno di una pausa di riflessione e forse noi potremmo essere, come credenti, coloro i quali pongono un motivo di riflessione, vero e profondo; riflessione che inizia da noi stessi, per poi estendersi agli altri che ci circondano, persone conosciute e a noi care e persone sconosciute ma bisognose di una parola di conforto e d’amore.

Non avremo risolto i problemi del mondo, proprio no! Ma magari avremo provato a risolvere il problema di un singolo, di una persona, facendo intravedere, al nostro potenziale interlocutore, una speranza, un soggetto di riflessione, gioendo anche di questo, di questi piccoli progressi, di queste piccole cose, ma anche grandi cose, perché fatte con amore.

E forse in questo modo potremo anche sperimentare la presenza del Cristo accanto a noi, agendo verso l’altro, verso l’altra, “tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente”, dice il Vangelo.

Adesso dunque, care sorelle e cari fratelli, non ci resta che prendere il nostro coraggio, e se ne fossimo sprovvisti, potremmo sempre chiederlo al buon Dio, e assieme al nostro coraggio, anche la nostra poca o tanta fede e provare a dire: caro fratello, cara sorella, non disperare, anche se può sembrare banale dirlo e affermarlo, anche se è difficile vederlo, anche se è difficile crederlo, anche se è difficile sentirlo, il buon Dio, in Cristo, ti è vicino, capisce il tuo tormento, comprende le tue difficoltà. Lo sa, lo sa perché l’ha provato prima di noi, in Gesù, perché ha scelto di provarlo, non era obbligato ma lo ha fatto, l’ha voluto fare e quindi sa cosa si prova a dire “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”.

Lo sa, per questo motivo è con te, è con noi, “tutti i giorni, sino alla fine dell'età presente”.

Amen.





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