domenica 21 novembre 2021

Predicazione di domenica 21 novembre 2021 su Isaia 65,17-25 a cura di Marco Gisola

Isaia 65,17-25

«Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra; non ci si ricorderà più delle cose di prima; esse non torneranno più in memoria. Gioite, sì, esultate in eterno per quanto io sto per creare; poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia. Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo; là non si udranno più voci di pianto né grida d’angoscia; non ci sarà più, in avvenire, bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morirà a cent’anni morirà giovane e il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cent’anni. Essi costruiranno le case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi; poiché i giorni del mio popolo saranno come i giorni degli alberi; i miei eletti godranno a lungo l’opera delle loro mani. Non si affaticheranno invano, non avranno più figli per vederli morire all’improvviso; poiché saranno la discendenza dei benedetti del Signore e i loro rampolli staranno con essi. Avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi. Il lupo e l’agnello pascoleranno assieme, il leone mangerà il foraggio come il bue, e il serpente si nutrirà di polvere. Non si farà né male né danno su tutto il monte santo» dice il Signore.



Oggi è l’ultima domenica dell’anno liturgico; domenica prossima sarà la prima domenica di avvento, con cui comincia un nuovo anno liturgico. L’anno liturgico è un aiuto che la chiesa si è data per ripercorrere le tappe della storia biblica, tappe scandite dalla grandi feste cristiane: Natale, Venerdì Santo – Pasqua e Pentecoste. Abbiamo bisogno di ripercorrere, tappa per tappa i grandi eventi della storia della salvezza e della storia di Gesù perché non possiamo considerare sempre tutto e tutto insieme.

Oggi dunque è l’ultima domenica, quella che il nostro lezionario chiama la “domenica dell’eternità”. Perché questo nome per l’ultima domenica dell’anno liturgico? Perché se nell’anno liturgico dopo la fine di un anno ne comincia un altro, nel tempo di Dio – nel tempo che Dio ci regala – dopo la fine… non c’è la fine! C’è l’eternità. Anzi: dopo la fine, nel senso della fine anche del tempo, c’è Dio. Per noi “eternità” è un concetto astratto, è sinonimo di un tempo che dura per sempre, che dura in eterno, che non finisce. Per la Bibbia mi sembra che più che un tempo, l’eternità – o vita eterna – sia una realtà totalmente nuova, una vita nuova, una nuova creazione che Dio crea. L’eternità è Dio con noi e noi con Dio.

Ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra”. Così inizia il nostro testo di oggi. Un brano di Isaia, uno dei grandi profeti dell’AT, che non parla della vita eterna, ma parla di una nuova vita, che Dio promette al popolo di Israele per il suo futuro. Un futuro totalmente nuovo in questo mondo, è ciò che promette Dio per bocca di Isaia: non vita eterna, ma vita lunga: non vi saranno più bambini che muoiono, anche i peccatori avranno tempo fino a cent’anni per convertirsi. Persino gli animali che tradizionalmente sono nemici – il lupo e l'agnello – saranno amici. Si lavorerà e si faticherà, ma si godrà il frutto delle proprie fatiche. Potremmo dire che Dio promette una vita lunga, buona e giusta.

Noi però non possiamo non leggere questo brano di Isaia “da cristiani”, cioè non possiamo leggerlo senza Cristo, come se Gesù non fosse venuto e non avesse “incarnato” le promesse di Dio. Quella di Isaia è allo stesso tempo una profezia e una promessa. Per noi, questa profezia ha iniziato a compiersi in Cristo e questa promessa ha iniziato a realizzarsi in Cristo. Lui è la “nuova creatura”; e in lui – ci dice l’apostolo – siamo anche noi nuove creature: “Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove” (2 Cor 5,17). La nuova creazione per noi cristiani da un lato deve ovviamente ancora venire e verrà con il ritorno di Gesù e l’inizio del Regno di Dio. D’altro lato essa è già iniziata con la venuta di Gesù e, in modo frammentario ma reale, nella nuova relazione che Gesù ha creato tra Dio e noi e nelle nuove relazioni che ha reso possibili anche tra di noi.

Come Israele, come il popolo che ascoltava le parole di Isaia, viviamo anche noi della promessa di Dio che Gesù ci ha portato, promessa che ci fa guardare al futuro. Ma viviamo non solo della promessa di Dio in Cristo, ma viviamo anche nella promessa, e vivere nella promessa, dentro la promessa, significa già vivere una nuova realtà, che si scontra sempre con il nostro peccato, ma che tuttavia in Cristo è possibile. Se quindi da un lato la promessa che Isaia rivolge a Israele non è la stessa di cui e in cui viviamo noi in Cristo, d’altro lato la sostanza di ciò che è promesso a Israele per bocca di Isaia è la stessa che Dio promette a noi in Cristo e nel suo regno. Con la differenza che anziché una vita lunga, buona e giusta, in Cristo ci è promessa una vita sì buona e giusta ma non lunga, bensì eterna, dove la morte non c’è più e noi siamo con il Signore.

La caratteristica fondamentale della nuova creazione che promette Isaia, e anche di quella che ci è promessa in Cristo, è la gioia: “Gioite, sì, esultate in eterno… io creo Gerusalemme per il gaudio”. Dio vuole la nostra gioia, al punto che crea le condizioni perché possiamo vivere nella gioia. E quali sono queste condizioni?



1. La prima è che non ci si ricorderà più delle cose passate. Inizia un tempo nuovo, si ricomincia. Per Israele è il dramma dell’esilio in Babilonia e tutte le sofferenze che ha portato con sé che viene dimenticato. Per noi è il tempo nuovo del regno che ci è promesso che non sarà soltanto un luogo, ma un tempo nuovo, dove tutto ricomincia, dove dolore, fatiche, ingiustizie e i drammi della vita e della storia saranno dimenticati, nel senso che inizierà un tempo nuovo senza le conseguenze di ciò che è stato. Il ricordo di certi drammi – sopratutto di chi ha subito violenze – spesso fa male quando torna alla memoria, molto male. Ecco, questo non accadrà.

Ma ciò che è promessa per il futuro è anche vocazione per il presente. Quel tempo nuovo lo può portare e e creare soltanto Dio, lo può fare soltanto lui. Ma dei piccoli frammenti di quel tempo li possiamo già vivere nella fede in Cristo: il perdono è un ricominciare, un ricominciare una relazione che è stata ferita e che il perdono può guarire. Certo un umanissimo ricominciare, non paragonabile a quello di Dio, ma pur sempre un ricominciare. Perdonare è anche fare in modo che le “cose di prima” – che sono accadute e non possiamo cancellare, spesso nemmeno dalla memoria – non incidano più sulle cose presenti, sulle relazioni attuali. È appunto ricominciare.

Nella profezia di Isaia c’è questa curiosa affermazione che dice che “il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cent’anni”. Il peccatore non verrà punito subito, ma solo quando sarà molto vecchio. Che cosa vuol dire? che io penso voglia dire che il peccatore ha molto tempo per chiedere perdono, che questo lungo tempo serve – deve servire - per chiedere e per dare perdono. Anche il nostro tempo – lungo o breve che sia – è – in Cristo - tempo, cioè occasione, per chiedere e per dare perdono. In questo senso può essere un frammento del tempo nuovo che Dio ci dona.

2. Una seconda realtà della nuova creazione è che “non si affaticheranno invano”. “Costruiranno le case e le abiteranno; pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. Non costruiranno più perché un altro abiti, non pianteranno più perché un altro mangi”. Sono immagini che parlano di libertà, perché è lo schiavo che costruisce case che altri abitano, è lo schiavo che pianta piante perché altri ne mangino il frutto. E trovo molto bello che in questa profezia di nuova creazione il lavoro vada a braccetto con la libertà.

La nuova creazione non implica per forza di non lavorare o di non fare nulla, ma implica di non lavorare da schiavi e di non lavorare in modo alienante, questo sì. Anche nel giardino di Eden l’essere umano doveva lavorare per cogliere i frutti di cui nutrirsi e per coltivare e custodire il giardino. Ma era un bel lavoro, di cui si godevano i frutti con gioia, e dove i frutti non erano banconote, ma cibo buono e sufficiente per tutti e da mangiare con gioia. Se, di nuovo, ogni promessa è anche una vocazione, quanta strada c’è ancora da fare nel nostro mondo industriale e post industriale perché ogni essere umano abbia un lavoro libero e dignitoso e che dia frutti sufficienti per tutti e da condividere con gioia.

3. Una terza realtà della nuova creazione è l’assenza di violenza: “il lupo e l’agnello pascoleranno assieme… Non si farà né male né danno su tutto il monte santo”. Esseri umani e animali non saranno più violenti nei confronti gli uni degli altri. Quindi persino i lupi saranno vegetariani! L’immagine ci vuole dire che tra tutte le creature regnerà la pace, tutta la creazione sarà rinnovata e trasformata. E ci dice qualcosa sulle relazioni tra esseri umani e anche tra esseri umani e il creato. La violenza che regna tra esseri umani e la violenza degli esseri umani su animali e natura in genere è evidente. Questa settimana cade la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sempre attualissima, da ciò che ci dice la cronaca. Anche qui ciò che Dio ci promette è anche la vocazione che ci rivolge: se la violenza, che è insita in ciascuno di noi, sparirà solo nel regno di Dio, siamo chiamati già qui ed ora a dominarla e a cercare di eliminarla dalle nostre relazioni, personali e sociali.

4. Infine c’è una realtà della nuova creazione che riguarda il nostro rapporto con Dio: “Avverrà che, prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi”. Questa bellissima promessa implica ovviamente che chi si rivolge a Dio gli chieda soltanto ciò che davvero corrisponde alla sua volontà e non semplicemente ai nostri desideri. Oggi ci confrontiamo con la preghiera non esaudita, con tante cose che non riusciamo ad afferrare di Dio. Ci confrontiamo con la realtà del mistero, cioè della distanza che c’è tra Dio e noi. Allora questa distanza non ci sarà più, ma come dice l’apocalisse, Dio abiterà con noi. Ma se ci pensiamo bene almeno una cosa – e la più importante di tutte – Dio ha fatto prima che noi gliela chiedessimo: ha mandato suo figlio in mezzo a noi senza che noi glielo chiedessimo. Ci ha donato la fede senza che noi gliela chiedessimo e senza che ne sapessimo nulla. Ci ha chiamato a seguirlo e ci ha dato tutte queste promesse senza che noi glielo chiedessimo e senza che facessimo nulla per riceverle.

In Cristo questa antica promessa che aveva fatto al suo popolo per mezzo di Isaia è vera anche per noi. È promessa per il nostro futuro – futuro i cui modi e tempi sono nelle mani di Dio – e allo stesso tempo vocazione per il nostro presente. Solo Dio può creare nuovi cieli e nuova terra. Noi possiamo solo essergliene grati e vivere di questa promessa e in questa promessa, cercando di viverne dei frammenti, nella certezza che Dio mantiene ciò che ha promesso.

 

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