lunedì 29 novembre 2021

Predicazione di domenica 28 novembre 2021 (prima domenica di avvento) su Geremia 23,5-8 a cura di Marco Gisola

 Geremia 23,5-8

5 «Ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui io farò sorgere a Davide un germoglio giusto, il quale regnerà da re e prospererà; eserciterà il diritto e la giustizia nel paese.

6 Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con il quale sarà chiamato: SIGNORE-nostra-giustizia.

7 Perciò, ecco, i giorni vengono», dice il SIGNORE, «in cui non si dirà più: “Per la vita del SIGNORE che condusse i figli d’Israele fuori dal paese d’Egitto”,

8 ma: “Per la vita del SIGNORE che ha portato fuori e ha ricondotto la discendenza della casa d’Israele dal paese del settentrione, e da tutti i paesi nei quali io li avevo cacciati”; ed essi abiteranno nel loro paese».


1. “Ecco, i giorni vengono”: così inizia il brano che ci viene proposto per la prima domenica di avvento. I giorni vengono, cioè c’è un tempo che non è nelle nostre mani, un tempo che ci è preparato, donato da Dio. Un tempo che non dipende da noi, in cui non siamo noi i protagonisti e non siamo a decidere che cosa e quando deve accadere. Un tempo di grazia, in cui è Dio ad agire. L’Avvento è in fondo l’attesa di questo tempo che ci è promesso. Un tempo che ci è annunciato e promesso. “Ecco i giorni vengono” è una promessa, è Dio che annuncia una sua decisione, è Dio che annuncia che ha deciso di fare qualcosa: “farò sorgere a Davide un germoglio giusto”.

Dio annuncia e promette che verrà un re “che eserciterà il diritto e la giustizia nel paese”. Verrà un re a cambiare le cose, a iniziare un tempo nuovo per il popolo di Israele. Per Israele, la buona notizia che Geremia gli sta annunciando è la fine dell’esilio in Babilonia, il ritorno in patria, l’inizio di un tempo nuovo in cui saranno finalmente di nuovo a casa. Israele è stato esiliato a causa della sua ingiustizia, dell’abuso di potere fatto dai suoi re; ora il nuovo re sarà giusto, anzi sarà chiamato “Signore-nostra-giustizia”. Questa profezia riguardava la storia del popolo di Israele, ma è poi stata interpretata in senso messianico, come attesa del messia di Israele.

Ed è quindi naturale che i primi cristiani lo abbiano letto come profezia della venuta di Gesù ed è per questa ragione che questo testo ci viene proposto la prima domenica di avvento, tempo liturgico in cui ci prepariamo alla venuta Gesù nel mondo e riascoltiamo – oggi attraverso le parole di Geremia – la promessa che “Signore-nostra-giustizia” viene, nel neonato Gesù che fa il suo ingresso nel mondo, nel re-messia crocifisso e risorto.

2. Ma noi veniamo dopo che Gesù è venuto, dopo che ha operato, guarito, insegnato, dopo che è morto e risorto per noi. Per noi cristiani che veniamo dopo Pentecoste i “giorni” di cui parla Geremia, sono già venuti, il Germoglio giusto è già sorto. Quel re che si chiama “Signore-nostra-giustizia” è venuto in mezzo a noi nella carne di Gesù di Nazaret, ci ha portato la giustizia di Dio e rivelato quale giustizia chiede da noi. E ci ha lasciato altre promesse, ci ha lasciato il suo Spirito e la promessa del suo ritorno. Noi, quindi, possiamo dire che viviamo in mezzo a due promesse, una che si è compiuta e una che si compirà; tra la venuta di Gesù e il suo ritorno, in un tempo che sta tra i tempi, tra un tempo in cui “Signore-nostra-giustizia” si è già manifestato e un tempo che deve venire, in cui si manifesterà pienamente.

Ma se guardiamo bene, anche nella promessa di Geremia è così: Dio porta una grande, nuova liberazione, ma questa novità non nasce dal nulla. Dio aveva già operato una grossa liberazione per Israele, liberandolo dalla schiavitù di Egitto; ora ne porta una ancora più grande: la liberazione dall’esilio: il Dio che libera è il Dio che ha già liberato. Questo è il senso degli ultimi versetti di questo brano: “i giorni vengono … in cui non si dirà più “Per la vita del SIGNORE che condusse i figli d’Israele fuori dal paese d’Egitto”, ma: “Per la vita del SIGNORE che ha portato fuori e ha ricondotto la discendenza della casa d’Israele dal paese del settentrione,e da tutti i paesi nei quali io li avevo cacciati”. Cioè: ci si rivolgerà a Dio non più come il liberatore dalla schiavitù di Egitto, ma come il liberatore dall’esilio in babilonia.

Israele invoca il Signore come il Dio che ha compiuto una liberazione, e lo invocherà – dice Geremia - come il Dio che ha compiuto una seconda liberazione, ancora più grande ancora della prima. Dio ha liberato nel passato e libererà ancora nel futuro, libererà ancora presto. Viviamo, crediamo e operiamo tra una promessa mantenuta e una ricevuta. Anche la nostra fede sta tra un passato e un futuro, tra ciò che Dio ha fatto e ciò che ha promesso di fare e farà. Lo esprime bene il Credo nel quale confessiamo che Gesù “fu crocifisso, morì e fu sepolto. Discese nel soggiorno dei morti, il terzo giorno risuscitò…” (al passato) e poi confessiamo anche che “Di là verrà a giudicare i vivi e i morti”, al futuro.

Viviamo e crediamo, speriamo e operiamo nel tempo che sta tra i tempi, tra ciò che Dio ha fatto e ciò che farà.

3. I giorni che vengono sono dono di Dio, opera di Dio. È un tempo di grazia e anche un tempo di giustizia. Il re promesso da Dio si chiama “Signore-nostra-giustizia” ed eserciterà diritto e giustizia. Insieme al termine “misericordia” l’altro termine biblico che più caratterizza Dio è “giustizia”. La legge di Mosè aveva questo scopo, di mantenere la giustizia – e dunque la libertà – tra il popolo d’Israele; i profeti richiamano continuamente il popolo, e soprattutto i re, alla pratica della giustizia. Il re-messia che Dio manda al suo popolo instaurerà diritto e giustizia.

Gesù, di cui celebreremo la venuta nel mondo a Natale, viene come messia, come Signore nostra giustizia. Nel doppio senso: che porta la giustizia di Dio a noi peccatori, a noi che ne siamo privi, e nel senso che viene a instaurare la giustizia nel mondo. Sì, Gesù viene anche come il re promesso da Dio per instaurare la giustizia. Lo dice il racconto dell’ingresso a Gerusalemme che abbiamo letto prima, che è l’ingresso del re nella sua città.

E che Gesù viene a fare giustizia lo aveva capito Maria, quando nel suo cantico ha detto che Dio “Egli ha operato potentemente con il suo braccio; ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore; ha detronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gli affamati, e ha rimandato a mani vuote i ricchi”. Non nel senso che gli oppressori diventano oppressi e gli oppressi diventano oppressori, ma nel senso che gli oppressi non sono più oppressi e gli oppressori non sono più oppressori. Questa è la rivoluzione di Gesù, questa è la giustizia di Dio. Nel regno il cui re è Gesù, tutti sono uguali e non ci sono né oppressi, né oppressori.

Solo che il re Gesù non governa con la forza, ma solo con la forza della sua Parola. Mentre i potenti del mondo spesso cercano la forza e usano la forza, Gesù, il figlio di Dio, che si è fatto debole essere umano, ha rinunciato alla forza e, anzi, ha subito la forza degli esseri umani: un re – Erode – ha cercato di eliminarlo appena nato, per paura di quel neonato in fasce; Pilato, il rappresentante del re a quel tempo più potente del mondo, cioè l’imperatore romano, lo ha condannato alla crocifissione, la morte che Roma riservava ai suoi nemici.

Oggi inizia l’avvento che è un tempo liturgico, per preparaci al Natale. Ma per noi è sempre tempo di avvento, sarà tempo di avvento fino al ritorno di Gesù. Un tempo tra i tempi, tra la venuta di Gesù e il suo ritorno. In questo tempo fra i tempi siamo chiamati a seguire il Signore-nostra-giustizia, a costruire la nostra vita e a orientare le nostre scelte seguendo Gesù, lavorando affinché gli oppressi non siano più oppressi e gli oppressori non siano più oppressori.

C’è davvero bisogno che venga Signore-nostra-giustizia, che venga nelle nostre menti e nei nostri cuori, che la sua giustizia che ci ha rivelato in Cristo diventi un po’ anche la nostra. Che c’è davvero bisogno di giustizia che lo dice il dramma dei femminicidi, che abbiamo ricordato il 25 novembre, ma che non dobbiamo dimenticare mai. Ce lo dicono i drammi che accadono ai confini dell’Europa, dove l’Europa “cristiana” che si prepara al Natale contemporaneamente permette che ai suoi confini dei bambini muoiano di freddo dietro a un filo spinato o che donne e uomini in fuga anneghino nel mediterraneo perché nessuno li salva. Tutti questi drammi e molti altri ci mostrano quanti esseri umani hanno bisogno di giustizia.

Era infatti una parola rivolta agli esiliati quella di Geremia. Persone che avevano perso tutto e a cui il Signore promette un tempo nuovo, di libertà e giustizia. L’evangelo è rivolto a tutti, ma in modo particolare per gli esiliati, gli oppressi e gli emarginati è promessa di liberazione.

Agli esiliati di ogni luogo e di ogni tempo è promesso un tempo nuovo, un tempo di giustizia e di riscatto, un’opera che può compiere solo il Signore, Signore-nostra-giustizia, un tempo che è iniziato con la venuta di Gesù, che ci chiede di vivere la sua giustizia e di annunciare al mondo il riscatto degli esiliati e degli oppressi.

Ecco i giorni vengono…” è il tempo che Dio prepara per noi, il tempo tra i tempi, il germoglio giusto viene nel mondo. Dio viene e in Cristo ci porta la sua giustizia, affinché noi la riceviamo con gratitudine e la pratichiamo con passione.

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