domenica 9 gennaio 2022

Predicazione di domenica 9 gennaio 2022 (Epifania) su Matteo 2,1-12 a cura di Daniel Attinger

“DOV’È IL RE DEI GIUDEI CHE È NATO ?”

Matteo 2,1-12

1 Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all'epoca del re Erode. Dei magi d'Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: 2 «Dov'è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo».

3 Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo doveva nascere. 5 Essi gli dissero: «In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta:

6 "E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele"».

7 Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s'informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparsa; 8 e, mandandoli a Betlemme, disse loro: «Andate e chiedete informazioni precise sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, affinché anch'io vada ad adorarlo».

9 Essi dunque, udito il re, partirono; e la stella, che avevano vista in Oriente, andava davanti a loro finché, giunta al luogo dov'era il bambino, vi si fermò sopra. 10 Quando videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono; e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. 12 Poi, avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per un'altra via.

Care sorelle e cari fratelli,

Oggi celebriamo la solennità dell’Epifania che in realtà cade il 6 gennaio, ma ciò che con­ta, in fin dei conti, non è la data della festa, che resta arbitraria e forse ha sostituito, nei primi secoli del cristia­nesimo, in Egitto, una festa pagana in relazione con la crescita delle acque del fiume Nilo o la nascita di qualche divinità, e a Roma una festa legata ai Saturnali, ma ciò che vi si celebra. Solo che, di nuovo, c’è ambiguità: in Oriente si celebra quel giorno il battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista e, tra i cristiani armeni, la nascita di Gesù; in Occidente invece è la “Festa dei re”, ma di quali re si tratta? Pensiamo evidentemente ai saggi venuti da Oriente, i cui nomi sono stati addirittura tramandati dalla tradizione. In realtà però né i loro nomi, né il loro numero, e nemmeno il titolo di “re” sono conosciuti dall’evangelo, che parla solo di “magi”, cioè di dignitari della religio­ne zoroastriana, la religione della Persia dell’epoca. Ricordiamo che la Persia non faceva parte dell’Impero Romano, motivo per cui era un po’ come la Kamchatka della mia infanzia, cioè più o meno una terra situata aldilà di ogni limite geografico.

Tuttavia, se ci atteniamo al testo, vediamo che vi si parla sì di re: ma essi non sono tre, bensì soltanto due.

Il primo è il “re Erode”, il signore della Giudea, al servizio di Augusto, imperatore di Roma: segno permanente che gli ebrei sono sotto dominazione, e dunque quasi schiavi, non già in Egitto o a Babilonia, come per il passato, ma sulla loro propria terra. L’altro re è quel “re dei giudei … appena nato” di cui parlano i magi: un neo­nato dalle origini oscure che si trova in qualche grotta della città di Betlemme, come riferisce la tradizione, che su questo punto, è credi­bile, perché in quel tempo, la maggior parte delle case di Betlemme erano formate da una stanza costruita davanti ad una grotta, la qua­le costituiva la gran parte della casa.

In questa festa, dunque, tramite questi messaggeri pagani che sono i magi, due re si af­frontano. Confronto perfettamente impari, poiché uno, Erode, ha tutti i poteri – ma poteri di­struttivi come di­mostrerà la sua decisione di procedere al massacro di tutti i bambi­ni di Bet­lemme sotto i due anni – mentre l’altro, Gesù, è solo uno neonato “adagiato in una mangia­toia”, come ci ricorda l’evangelo secondo Luca (Lc 2,12): un re in una mangiatoia, come fieno pronto ad essere divorato…, ma re rivestito della forza disarmante del sor­riso di un bambino.

Avvertiti dalla loro scienza astronomica – per non dire astro­logica – della nascita del re dei Giudei, i magi partono e giungono nei pressi di Gerusalemme. Ma, avendoli la loro scienza momenta­neamente traditi, essi confidano nella loro ragione: “Dal momento che si tratta del re dei Giudei, lo troveremo ovviamente nel palazzo reale!” Ma là, non si sa nulla, anzi peggio, la loro domanda suscita il panico e lo spavento; il potere reale è forse in pericolo? Il sinedrio, l’autorità religiosa di Gerusalemme, è immediatamente convocato.

Si fa quindi appello alla sapienza religiosa, quella degli esegeti, dei teologi e dei moralisti. Per loro non c’è dubbio: se è nato il re dei Giudei è necessariamente nato a Betlemme; lo dice la Bibbia, anche se non viene letta in modo del tutto corretto, giacché essa non dice:

E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto da meno tra le città egemoni di Giuda; da te infat­ti uscirà colui che conduce Israele, uno che pascerà il mio popolo,

come abbiamo sentito, bensì:

E tu, Betlemme, Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giu­da, da te uscirà per me colui che sarà governatore in Israele (Mi 5,1).

Da ciò si trae l’evidente conclusione che la sapienza umana ha bisogno della sapienza religiosa. Sarà magari anche vero, ma non è la conclusione dell’evangelista che, dopo aver par­lato di un accordo segreto tra i magi e il re, fa riapparire la stella, la quale, questa volta, condu­ce i magi fino al Luogo... A Betlemme si racconta addirittura che la stella, giunta sul posto, precipitò in un pozzo che esiste tutto­ra, e nel quale si dice che talvolta si può vedere, ancora oggi, il suo bagliore!

La sapienza umana, dunque, illuminata certo da quella religio­sa e dalle Scritture, ha mes­so i magi in movimenti e li ha condotti fi­no a Colui che li aveva cercati prima ancora che essi lo cercassero. I rappresentanti della saggezza religiosa invece, quelli che san­no, non si sono mos­si: né il re (che, spaventato, sta già meditando al­tri pro­getti mortiferi), né i saggi del sinedrio.

Che significa tutto ciò? Forse la negazione del valore della sag­gezza religiosa in favore di quella puramente umana che ha condot­to i magi (con l’aiuto momentaneo della saggezza reli­giosa) all’ado­razione del re dei Giudei? Non credo. Matteo inizia qui piuttosto un programma che attraverserà tutto il suo evangelo. Si tratta di un forte ammonimento per tutti i detentori della saggezza religiosa (non solo quelli di ieri, ma anche quelli di oggi a cominciare da me che pretendo di commentare la Scrittura).

Nell’evangelo di oggi, dotti esegeti e commentatori delle Scrit­ture sanno, ma non si muo­vono. Al capitolo 4, nell’episodio delle tentazioni di Cristo, si vedrà persino il diavolo impos­sessarsi delle Scritture per avviare una disputa esegetica con Gesù, ma appunto per tentarlo e incitarlo ad andare contro la volontà di Dio. Più avanti sentiremo Gesù rallegrarsi del fatto che il Padre ha “nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, per rivelarle solo ai piccoli, pri­vi di parola” (Mt 11,25). Più avanti ancora, al capitolo 23, Gesù pro­nuncerà un lamento fune­bre sugli scribi e i farisei che dicono ma non fanno: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti che chiudete il regno dei cieli in faccia agli uomini …” E questi diventeranno, alla fine dell’evange­lo, quelli che accuseranno e condanneranno il re dei Giudei (Mt 26,66), adempiendo così esat­tamente il programma ideato da Erode all’inizio dell’evangelo.

Perché questa forte critica alla saggezza religiosa?

Perché, più di ogni altra, è minacciata dalla doppiezza e dall’i­pocrisia: può certamente annunciare la verità di Dio; anche Gesù lo riconosce quando dichiara: “Fate e osservate con impegno tutte le cose che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere …” (Mt 23,3), ma que­sta saggezza può anche, con le sue stesse riflessioni, condan­nare a morte una volta ancora il re dei Giudei.

È forse la condanna della saggezza religiosa? No! Infatti Mat­teo sembra annoverarsi lui stesso tra questi scribi, quando scrive, alla fine del grande discorso in parabole che Gesù pronuncia sul regno dei cieli: “Ogni scriba che diventa discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa: egli tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie” (Mt 13,52). Molti studiosi dicono infatti che troviamo là come la firma dell’evangelista!

Allora questa critica della saggezza religiosa costituisce piutto­sto un serio avvertimento che intende invitarci a comportarci non come quei membri del sinedrio, ma come i magi: giunti là dove si trovava il neonato, non furono delusi dalla sua fragilità e dalla sua povertà, ma lo adorarono o “si prostrarono davanti a lui”, come scri­ve Matteo. E poi, “aperti i loro teso­ri, gli offrirono doni: oro, incenso e mirra” (v. 11). Al di là del significato simbolico verosimile di que­sti doni (l’oro rappresentando il potere regale, l’incenso il ruolo sa­cerdotale e la mirra, presagio della sepoltura di Gesù), ciò che conta è che i magi offrono al bambino “i loro tesori”. Anche noi abbiamo dei tesori che possiamo offrire al Signore. Matteo ci ricorda qual è il tesoro di ogni essere umano: “Dov’è il tuo tesoro, dice Gesù, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).

A ciò deve condurre ogni sapienza, e in particolare quella reli­giosa, se non vuole essere ipocrita o arrogante: al dono del proprio tesoro, cioè al dono di sé a Cristo che, allora, diventa la nostra stessa vita e ci rende testimoni veraci e autentici del suo amore e della sua “potenza”.

Questo è anche l’augurio che esprimo per ciascuno di noi all’i­nizio di questo nuovo anno: che sappiamo donarci interamente al Signore, per poter dire con l’apostolo: “Io vivo sì, ma non più io, è invece il Cristo che vive in me” (Gal 2,20), perché come dice ancora: “Per me vivere è Cristo!” (Fil 1,21).

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