lunedì 3 gennaio 2022

Predicazione di domenica 2 gennaio 2022 su 1 Giovanni 1,1-4 a cura di Marco Gisola

 1 Giovanni 1,1-4

1 Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita 2 (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), 3 quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. 4 Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia completa.



1. La parola della vita è stata vista, udita, persino toccata. Perché la parola della vita si è incarnata nella persona di Gesù di Nazaret. La parola della vita - cioè la Parola di Dio - ha preso su di sé la nostra umanità, ha preso corpo e ha camminato per le strade della Galilea e della Giudea venti secoli fa, ha insegnato, ha portato guarigione e perdono a donne e uomini feriti nel corpo, nella mente e nell’animo.

L’autore della prima lettera di Giovanni vuole riaffermare con forza che nella persona di Gesù è Dio stesso che è venuto nel mondo, per questo insiste sul fatto che la parola della vita – cioè la parola di Dio incarnata nella persona di Gesù – è stata vista, udita e toccata. Toccata come si può toccare qualunque corpo umano. Qui Giovanni non usa la parola “incarnazione”; questo termine è stato creato dopo, a partire dalle parole dell’evangelista Giovanni, che ha scritto che “la parola è diventata carne ed ha abitato per un tempo fra di noi”.

Il nostro testo non usa la parola “incarnazione”, ma ciò di cui parla è quello, ed è l’evento fondante della fede cristiana. L’inizio della sua lettera vuole infatti affermare subito l’incarnazione della parola della vita e rispondere alla domanda: chi è Gesù?

In questi ultimi decenni si è visto un rinnovato interesse per Gesù; molti si interessano a lui come ad un maestro che ha insegnato delle cose importanti, ed è un interessamento di cui ci si può rallegrare, ma la fede cristiana è più di questo, la fede è riconoscere che in Gesù si incontra Dio stesso. Se in Gesù riconosco solo il maestro, solo il profeta, solo un esempio per la mia vita, solo una guida spirituale, solo un guaritore, tutto ciò è positivo, ma queste cose non sono il centro, e non sono tutto. Queste sono le conseguenze del fatto che Gesù è il figlio di Dio. Gesù è anche un maestro, anche un profeta, anche un esempio, ma è tutto ciò perché e nella misura in cui è il figlio di Dio.

La fede sorge quando in Gesù si incontra non solo il maestro e il profeta, ma Dio stesso, quando si riconosce in lui la “parola della vita”. Questo vuole riaffermare l’autore della prima lettera di Giovanni, che scrive la sua lettera alla seconda o terza generazione di cristiani. Scrive cioè a persone che – come noi oggi – non avevano incontrato Gesù in carne ed ossa, perché egli scrive diversi anni dopo la morte e resurrezione di Gesù. Chi scrive la lettera lo aveva incontrato, chi legge la lettera no.

Giovanni infatti ci tiene a sottolineare che lui lo ha incontrato; per questo afferma chiaramente che lo ha udito, visto, contemplato, e persino toccato con le sue mani. Vuole eliminare ogni dubbio in chi legge la sua lettera: la carne di Gesù era proprio vera, non era un fantasma, non era uno spirito. Si poteva toccare come si può toccare ogni essere umano. Lui lo ha incontrato, i discepoli lo hanno incontrato, molta gente in quel poco tempo in cui Gesù ha predicato e guarito pubblicamente lo ha visto, udito e persino toccato. Ma questo, per forza di cose, è rimasto un privilegio di pochi, un privilegio di quella generazione. Proprio perché Gesù è il figlio di Dio incarnato ed è venuto nel mondo come essere umano, è venuto nel tempo, in un tempo ben preciso e delimitato. 

 

2. Ed ora? Il messaggio di Gesù, dopo la sua morte e resurrezione, è destinato ad esaurirsi? O qualcuno deve sostituirlo? E come si fa a sostituire il figlio di Dio? Nessuno lo può sostituire! La risposta che gli apostoli, ovvero coloro che hanno visto Gesù, avrebbero potuto dare è questa: noi sostituiamo Gesù, così come ad un maestro succedono i suoi discepoli. Ma Gesù non è sostituibile, proprio perché non era soltanto un maestro; un maestro può essere sostituito, un discepolo può diventare maestro, ma Gesù è il figlio di Dio e un discepolo del figlio di Dio non può sostituirlo. La sua venuta nel mondo è stata un evento unico e Gesù è insostituibile.

La risposta che sta dietro alle parole dell’autore di questa lettera è che solo l’annuncio della parola della vita può sostituire la parola della vita stessa. Solo l’annuncio di Gesù può sostituire Gesù. Potremmo dire: solo il Gesù annunciato può sostituire il Gesù udito, visto e toccato.

Dunque è l’annuncio, la predicazione, la testimonianza, il racconto di ciò che Gesù è stato, ha detto e ha fatto che lo rende presente, se lo Spirito di Dio ce lo rende presente, “dove e quando Dio vuole”, come dice una confessione di fede della Riforma. L’annuncio, la predicazione dell’evangelo, è anche il senso principale dell’esistenza della chiesa, che è la comunità di coloro che hanno ricevuto l’annuncio e sono chiamati a ri-annunciarlo.

 

3. Torniamo all’espressione “parola della vita” con cui viene definito Gesù, una bellissima definizione. Parola della vita perché è risorto dai morti e quindi ha sconfitto la morte. Ma parola della vita anche perché Gesù ha fatto rivivere molte persone che non erano morte biologicamente, ma erano morte o moribonde spiritualmente, socialmente. Ha dato nuova vita a chi era malato o disabile e quindi anche emarginato. Ha dato nuova vita a persone attraverso il perdono di Dio.

La parola della vita che siamo chiamati ad annunciare si oppone a ogni cosa e ad ogni forza che porta morte e ad ogni cosa che rende la vita meno vita, cioè meno dignitosa, meno libera, meno giusta. E questa è dunque la nostra vocazione. Annunciare la parola della vita e operare contro ciò che porta morte e operare invece a favore di ciò che porta vita e le restituisce dignità, giustizia, libertà.

Ci sono due parole nel nostro testo per definire qual è l’obiettivo dell’annuncio della parola: comunione e gioia: “quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo pure a voi, perché siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo”. Il primo scopo dell’annuncio è la comunione, è l’essere in comunione con Cristo e quindi in comunione con tutti coloro che ascoltano la stessa parola della vita e che credono che in Gesù di Nazaret si incontra Dio stesso. Nella sua grazia Dio ci rende suoi figli, lo abbiamo detto a Natale, ci fa diventare suoi, gli apparteniamo e di conseguenza apparteniamo gli uni agli altri. Siamo in comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e quindi siamo in comunione tra noi.

E poi la gioia: “vi scriviamo queste cose perché la nostra gioia sia completa”; ma vi sono altre versioni antiche di questa lettera che dicono “perché la vostra gioia sia completa”. Certo c’è gioia in chi porta il messaggio e c’è gioia in chi lo riceve, ma se fosse questa seconda versione quella corretta, il significato sarebbe che chi porta questo messaggio, lo fa per creare gioia in chi lo ascolta. L’evangelo è un messaggio di gioia, proprio come il Natale appena trascorso è una festa di gioia, perché abbiamo ricordato il dono che Dio ci ha fatto, mandando per noi il suo unico figlio nel mondo e chi riceve questo annuncio ha motivo di gioire. Una nuova vita, fatta di comunione e di gioia: questo è l’evangelo di Gesù Cristo, “parola della vita”. Ci dia il Signore di riconoscere e fare nostra questa parola della vita, e ci dia il coraggio di annunciarla contro tutte le parole della morte che ci sono intorno a noi.

Contro le parole della morte e a favore di una vita libera e dignitosa per ogni essere umano, il Signore ci vuole annunciatori della parola della vita, che Gesù il nostro Signore e salvatore, che è capace di creare di comunione e di donare gioia a chi l’ascolta e la vive.



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