domenica 17 aprile 2022

Predicazione del Venerdì Santo (15 aprile 2022) su Luca 23,32-49 a cura di Marco Gisola

 

Luca 23,32-49

32 Ora, altri due, malfattori, erano condotti per essere messi a morte insieme a lui. 33 Quando furono giunti al luogo detto «il Teschio», vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. 34 Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte. 35 Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: «Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!» 36 Pure i soldati lo schernivano, accostandosi, presentandogli dell’aceto e dicendo: 37 «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!» 38 Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI. 39 Uno dei malfattori appesi lo insultava, dicendo: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» 40 Ma l’altro lo rimproverava, dicendo: «Non hai nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio? 41 Per noi è giusto, perché riceviamo la pena che ci meritiamo per le nostre azioni; ma questi non ha fatto nulla di male». 42 E diceva: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno!» 43 Ed egli gli disse: «Io ti dico in verità, oggi tu sarai con me in paradiso». 44 Era circa l'ora sesta, e si fecero tenebre su tutto il paese fino all'ora nona; 45 il sole si oscurò. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. 46 Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio». Detto questo, spirò. 47 Il centurione, veduto ciò che era accaduto, glorificava Dio dicendo: «Veramente, quest'uomo era giusto». 48 E tutta la folla che assisteva a questo spettacolo, vedute le cose che erano accadute, se ne tornava battendosi il petto. 49 Ma tutti i suoi conoscenti e le donne che lo avevano accompagnato dalla Galilea stavano a guardare queste cose da lontano.



1. «Questo è il re dei giudei» queste parole scritte e affisse alla croce di Gesù rappresentano l’accusa per cui Gesù viene messo a morte. Ma queste parole di accusa, questa sentenza di condanna diventa paradossalmente l’annuncio dell’evangelo e la risposta alla domanda che accompagna tutto il vangelo di Luca, ovvero chi è Gesù.

Per chi ha messo Gesù in croce è appunto la sentenza di condanna: quest’uomo viene crocifisso perché pretende di essere il re dei giudei, ma non lo è, mente, e dunque è pericoloso e merita la morte. Per noi che leggiamo il vangelo di Luca questa parola scritta è la verità; la verità apparentemente incredibile: un re che non siede su un trono con sudditi intorno pronti ad obbedirgli, ma un uomo crocifisso, circondato da persone che lo prendono in giro; e da un po’ più lontano da persone che lo piangono.

È un paradosso, e nella tragedia c’è anche molta ironia: qualcuno doveva pur dirlo che quell’uomo è il re dei giudei, ovvero il messia, il figlio di Dio venuto nel mondo. E chi lo dice è colui che formalmente lo ha fatto crocifiggere, ovvero Pilato, che ha fatto mettere questa scritta. Nel vangelo di Giovanni viene detto che questa frase è scritta in ebraico, in latino e in greco ovvero nelle tre grandi lingue internazionali del tempo, e anche in questo c’è una grande ironia: tutto il mondo deve sapere che quell’uomo è il re dei giudei. Tutto il mondo deve saperlo, anche se nessuno può crederlo, perché non è un re seduto sul trono, ma un moribondo sulla croce.

Dunque l’evangelo viene proclamato nella e sulla croce di Gesù e viene annunciato mentre intorno a Gesù stesso tutti lo negano con le prese in giro e le provocazioni che gli rivolgono: «se tu sei il re dei giudei, salva te stesso». In questa affermazione provocatoria viene fuori la logica umana: se sei il re dei giudei, se sei il figlio di Dio, fai qualcosa e salvati. Le stesse provocazioni erano state proposte a Gesù sotto forma di tentazioni dal diavolo nel deserto: «se tu sei figlio di Dio dì a questa pietra che diventi pane», «se tu sei figlio di Dio gettati giù dal tempio». Insomma usa il tuo potere per te, per il tuo bene e per la tua salvezza. E invece no: Gesù ha usato la sua potenza per gli altri e mai per se stesso, per salvare altri, non se stesso.

E proprio per questo è il figlio di Dio, il re dei giudei, ma non lo è come lo vorrebbero gli altri o come gli altri si aspetterebbero. Ma è il figlio di Dio come Dio lo vuole, è il Figlio di Dio che muore per salvare gli altri, anziché - come spesso hanno fatto i re e i potenti da che mondo è mondo - mandare gli altri a morire per salvare se stesso.

Ma non dichiariamoci innocenti troppo velocemente: le provocazioni o tentazioni delle persone che stanno intorno alla croce possono essere anche le nostre. Non affrettiamoci a prendere le distanze, perché cadiamo anche noi in questo errore: ci cadiamo ogni volta che vorremmo che Dio fosse a nostra immagine e somiglianza anziché noi alla sua, ogni volta che vorremmo che Dio facesse la nostra volontà, anziché noi fare la sua.

Dunque nella tragedia della croce e nel paradosso della croce viene detta la verità, che non può essere taciuta, anche se nessuno al momento sembra crederla: «questo è il re dei giudei», quest’uomo è il messia che Dio ha mandato in mezzo a noi. Così, inconsapevolmente, in questo modo paradossale, drammatico e ironico al tempo stesso, l’evangelo viene proclamato nella crocifissione di Gesù.

2. Gesù non muore da solo: ci sono due uomini crocifissi accanto a lui. Questo ci dice da un lato che Gesù è solidale con tutti i crocifissi. Gesù è vittima della giustizia/ingiustizia umana che arriva alla pena di morte; si fa dunque solidale con le vittime, con tutti coloro che muoiono uccisi da altri esseri umani, ieri come oggi. Ma non solo: Gesù fa la fine dei malfattori, dei criminali che vengono espulsi, eliminati dalla società perché pericolosi con la pena di morte. Dunque Gesù muore innocente in mezzo a dei colpevoli che anch’essi muoiono.

E dunque Gesù si fa solidale non solo con le vittime innocenti, ma con i colpevoli. Muore con questi due uomini che sono colpevoli, anche se non sappiamo di che cosa. Gesù non muore da solo, perché fino in fondo si immerge e si identifica - lui innocente - con l’umanità colpevole. Noi compresi, che siamo colpevoli davanti a lui.

Il vangelo di Luca è l’unico che ci racconta questo dialogo di Gesù con gli altri due uomini crocifissi. Negli altri vangeli ci viene soltanto detto che anche loro due lo insultano, qui invece solo uno lo fa e l’altro non solo non lo insulta, ma rimprovera il compagno. E poi fa a Gesù una richiesta, quella che in fondo possiamo considerare una preghiera: «ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Dice «nel tuo regno» e dunque ciò significa che, oltre alla scritta preparata da Pilato, anche quest’uomo crocifisso con Gesù lo riconosce come re.

È un messaggio molto forte: quest’uomo - uno dei due crocifissi con lui - confessa la sua fede nel crocifisso: Gesù infatti è già sulla croce. E poco dopo il centurione ai piedi della croce proclamerà che «veramente quest’uomo era giusto». Un delinquente e un soldato pagano, due persone non certo molto religiose… Non possiamo e non dobbiamo indagare quale fede o quanta fede o come sia nata questa fede di quest’uomo crocifisso con Gesù. Di lui non sappiamo nulla. Abbiamo solo le sue parole e soprattutto abbiamo le parole di Gesù che prendono sul serio la richiesta, o meglio: la preghiera di quest’uomo e riconosce la sua fede. E infatti gli risponde: «io ti dico in verità oggi tu sarai con me in paradiso».

Questa, secondo il vangelo di Luca, è l’ultima parola che Gesù rivolge ad un altro essere umano. Poco dopo parlerà ancora, ma parlerà a Dio, dicendogli «Padre nelle tue mani rimetto lo spirito mio» e poi spirerà. L’ultima parola detta ad un essere umano è questa parola di perdono, rivolta al suo “con-crocifisso”. L’ultima parola è per un colpevole al quale annuncia il perdono di Dio. Fino alla fine Gesù ha proclamato e annunciato il perdono di Dio, fino a un attimo prima di morire. Questo ci dice che per qualunque essere umano colpevole c’è sempre la possibilità di cambiare e di chiedere perdono: non è mai troppo tardi. Questa scena ce lo dice chiaramente.

Poco prima Gesù aveva detto quell’altra parola che – anche questa – ci riporta soltanto il vangelo di Luca: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Luca ci tiene in modo del tutto particolare a dire ai suoi lettori che le ultime parole di Gesù sono parole di perdono. Ci tiene a sottolineare fino alla fine che questa è la ragione per cui Gesù è venuto nel mondo e che per questo ha dovuto morire della morte di croce: mostrare al mondo la potenza della grazia di Dio che si rivela nella debolezza.

Gesù perdona l’uomo crocifisso con lui, che a modo suo gli chiede perdono, riconoscendolo re. E perdona – o chiede a Dio di perdonare – anche coloro che lo stanno crocifiggendo, che non gli hanno affatto chiesto perdono, ma anzi lo stanno insultando e facendo soffrire.

Pura grazia. Questo è il Cristo crocifisso e morente che Luca ci dipinge e ci racconta in questa scena memorabile. La croce sembra la sconfitta di Gesù, è invece la sconfitta e il giudizio per chi lo ha crocifisso. Ma è al tempo stesso la grazia per loro, persino per loro. Per questo – con buona pace di Pilato e di chi gli urla contro sotto la croce – egli è davvero il re dei Giudei, il figlio di Dio venuto nel mondo.

Da quella croce, arriva persino per loro l’annuncio della grazia di Dio. Da quella croce quel meraviglioso annuncio arriva a tutti coloro che in ogni luogo e in ogni tempo ricevono l’evangelo che annuncia che il Cristo crocifisso è il Signore della grazia. E arriva stasera anche a noi, che su quella croce siamo giudicati e salvati e accolti da lui nel suo regno.

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