lunedì 28 marzo 2022

Predicazione di domenica 27 marzo 2022 su 2 Corinzi 1,3-11 a cura di Marco Gisola

2 Corinzi 1,3-11

3 Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, 4 il quale ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione; 5 perché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. 6 Perciò se siamo afflitti, è per la vostra consolazione e salvezza; se siamo consolati, è per la vostra consolazione, la quale opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo. 7 La nostra speranza nei vostri riguardi è salda, sapendo che, come siete partecipi delle sofferenze, siete anche partecipi della consolazione.

8 Fratelli, non vogliamo che ignoriate, riguardo all’afflizione che ci colse in Asia, che siamo stati grandemente oppressi, oltre le nostre forze, tanto da farci disperare perfino della vita. 9 Anzi, avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte, affinché non mettessimo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio, che risuscita i morti. 10 Egli ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte, e abbiamo la speranza che ci libererà ancora. 11 Cooperate anche voi con la preghiera, affinché per il favore divino che noi otterremo per mezzo della preghiera di molte persone siano rese grazie da molti per noi.



Consolati per consolare. Così potremmo sintetizzare in tre parole il nucleo delle parole di Paolo in questo inizio della sua seconda lettera ai Corinzi. Sono parole scritte da un apostolo a cui le afflizioni – per usare la parola che lui stesso usa – non sono state risparmiate, e indirizzate a una comunità che sta vivendo anch’essa delle afflizioni, cioè che – a quanto scrive Paolo - sta anch’essa soffrendo.

A Paolo non sono state risparmiate le afflizioni. Lo sappiamo da ciò che scrive lui, lo sappiamo da ciò che ci raccontano gli Atti degli apostoli. In queste poche righe Paolo dice che è stato così tanto oppresso “tanto da farci disperare perfino della vita”. “Anzi – continua - avevamo già noi stessi pronunciato la nostra sentenza di morte”.

Insomma Paolo aveva proprio pensato di essere arrivato alla fine della sua esistenza e della sua missione. Non sappiamo che cosa gli fosse successo, Paolo non ce lo dice; ci dice però che ha visto la morte da vicino e ne è scampato. Paolo è stato consolato.

Ma in ogni caso, anche se fosse giunta la sua ora, confidava “in Dio, che risuscita i morti”. Anche questa era la sua consolazione.

È questo Paolo, che ha avuto la vita salva per un soffio, che scrive alla chiesa di Corinto, che anch’essa soffre, non sappiamo esattamente per cosa, ma probabilmente a causa dall’ostilità che viene da fuori della comunità, dal mondo pagano in cui si trova la chiesa di Corinto.

Quando parla di sofferenze, Paolo quasi sempre intende le sofferenze che nascono dal fatto di essere cristiani, di essere discepoli e discepole di Gesù Cristo: ostilità, persecuzioni, discriminazioni.

In questo senso forse ci sentiamo un po’ distanti da queste parole, noi non siamo perseguitati o discriminati; gli evangelici in Italia lo sono stati per secoli ma ora non lo sono più.

Brani come questo allora possono aiutarci a rivolgere il nostro sguardo ai molti cristiani che nel mondo ancora oggi sono perseguitati a causa della loro fede, che non sono pochi. Noi oggi viviamo la nostra fede senza difficoltà, ma per molti cristiani nel mondo non è così.

Le nostre afflizioni e preoccupazioni sono altre, sono il timore di essere irrilevanti nel mondo in cui viviamo, il disinteresse che la stragrande maggioranza delle persone ha nei confronti dell’evangelo, il calo di presenza nelle nostre chiese.

Oppure, guardando oltre la vita delle nostre chiese, in queste settimane sono la paura e angoscia che causa in tutti noi la guerra in Ucraina.

La Parola di Dio di oggi viene innanzitutto a dirci che Dio consola. E che cos’è la consolazione? La consolazione di Dio è almeno due cose: la prima cosa che Paolo sottolinea in questo brano è che la consolazione “opera efficacemente nel farvi capaci di sopportare le stesse sofferenze che anche noi sopportiamo”. Usa il verbo sopportare.

Ci sono delle cose, delle afflizioni, che vanno sopportate. Sopportare non è un verbo solo negativo come può sembraci. Sopportare è il primo passo per poter affrontare, combattere, resistere sofferenze e difficoltà.

Se non si sopporta, si soccombe. Sopportare è invece la condizione necessaria per superare la sofferenza.

Lo sa bene – immagino - chi ha una malattia grave o una disabilità; per poter guarire da una malattia o convivere con una disabilità, il primo passo è sopportare, che vuol anche dire non arrendersi.

Questo “opera efficacemente” la consolazione di Dio in noi. In queste parole: “opera efficacemente” Paolo ci sta dicendo che la Parola di Dio non sono solo parole, ma vuole dirci che Dio opera attraverso la sua Parola, che è efficace.

La consolazione che viene da Dio non è una pacca sulla spalla, è l’opera dell’evangelo che converte e trasforma la nostra mente, cioè il nostro modo di vedere il mondo e le cose intorno a noi.

Da questa conversione del nostro modo di vedere e del nostro stato d’animo nasce il secondo frutto di questa consolazione, che è la speranza. Sopportazione e speranza non sono in contraddizione, ma vanno insieme, sono due frutti della consolazione di Dio.

Paolo non dispera, ma anzi spera: “Egli ci ha liberati e ci libererà da un così gran pericolo di morte, e abbiamo la speranza che ci libererà ancora”. Persino la morte era pronto ad affrontare senza perdere la speranza in “Dio che risuscita i morti”.

Questa è la consolazione che i cristiani ricevono da Dio nel mezzo delle loro afflizioni, che da un lato Dio aiuta a sopportare e dall’altro aiuta ad affrontare con speranza.

Ma poi c’è la seconda parte di ciò che ho detto all’inizio per riassumere questo brano di Paolo: consolati per consolare.

La consolazione ricevuta non si ferma lì, non si ferma a chi l’ha ricevuta: Dio “ci consola in ogni nostra afflizione affinché, mediante la consolazione con la quale siamo noi stessi da Dio consolati, possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione”.

Non siamo consolati e basta, che già sarebbe un dono enorme, essere consolati mentre si vive un’afflizione o un momento difficile della nostra vita. Siamo consolati “affinché” – c’è dunque un altro scopo che va oltre noi stessi – affinché “possiamo consolare quelli che si trovano in qualunque afflizione”.

Come ogni dono che riceviamo da Dio, anche il dono della consolazione non lo riceviamo per tenercelo, ma lo riceviamo per darlo ad altri, per condividerlo.

E dunque, appunto: consolati per consolare. La consolazione reciproca è la vocazione rivolta a tutti i cristiani. Già Lutero ha usato proprio questa parola “consolazione” per definire il ministero reciproco che i cristiani hanno gli uni nei confronti degli altri: mutua consolatio, diceva in un latino che possiamo capire tutti, cioè: consolazione reciproca.

Questo è il ministero che abbiamo tutti e tutte gli uni nei confronti degli altri. Non c’è cristiano che non abbia questo ministero, che non sia chiamato a questo servizio, perché non c’è cristiano che non sia consolato da Dio attraverso la parola dell’evangelo, che crea speranza.

Forse l‘unica eccezione è chi sta davvero troppo male, nel fisico e nell’animo, e non riesce a consolare nessuno, ma ha bisogno solo di ricevere consolazione.

Ma altrimenti, tutti e tutte siamo chiamati a questo servizio, che inizia dall’ascolto del fratello o della sorella, che deve potersi sentire di raccontare le sue afflizioni, in una relazione fondata sulla sincerità e sulla fiducia.

Le chiese sono chiamate a essere luoghi di consolazione reciproca, ogni incontro tra cristiani – dentro e fuori le chiese - dovrebbe poter essere opportunità di consolazione reciproca. I cristiani, nell’ascolto della parola di Dio, vengono consolati e imparano a consolare.

Noi, qui riuniti oggi nel culto, veniamo consolati dalla Parola di Dio che ci viene incontro in queste parole dell’apostolo Paolo e impariamo a consolare.

E impariamo – o impariamo di nuovo - che questo servizio è allo stesso tempo offerto e chiesto a noi tutti/e. Non c’è nessuno che non abbia bisogno di essere consolato e non c’è nessuno che non possa consolare.

Questo è la chiesa: sorelle e fratelli bisognosi di consolazione che diventano a loro volta consolatori o consolatrici. La chiesa è composta da donne e uomini consolati per consolare. Nella consolazione che riceviamo in Cristo nell’annuncio dell’evangelo nasce la comunione tra noi che ci permette di consolarci gli uni gli altri.

Tutto ciò nasce dall’evangelo, che riceviamo nella predicazione della Parola di Dio che ci promette che non c’è afflizione senza consolazione da parte di Dio. E che non c’è consolazione ricevuta che non possa diventare consolazione offerta e condivisa.

Davvero dunque, come scrive Paolo, “Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo…, il quale ci consola in ogni nostra afflizione” e, mentre ci consola, ci rende consolatori e consolatrici delle nostre sorelle e dei nostri fratelli, cosicché il suo dono della consolazione non smetta mai di operare efficacemente e tutti possano essere consolati.

 

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