lunedì 17 settembre 2018

Predicazione di domenica 2 settembre 2018 su Matteo 1,1-17 a cura di Daniel Attinger

Una parola su Maria

1 Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo.
2 Abraamo generò Isacco; Isacco generò Giacobbe; Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli; 3 Giuda generò Fares e Zara da Tamar; Fares generò Esrom; Esrom generò Aram; 4 Aram generò Aminadab; Aminadab generò Naasson; Naasson generò Salmon; 5 Salmon generò Boos da Raab; Boos generò Obed da Rut; Obed generò Iesse, 6 e Iesse generò Davide, il re.
Davide generò Salomone da quella che era stata moglie di Uria; 7 Salomone generò Roboamo; Roboamo generò Abia; Abia generò Asa; 8 Asa generò Giosafat; Giosafat generò Ioram; Ioram generò Uzzia; 9 Uzzia generò Ioatam; Ioatam generò Acaz; Acaz generò Ezechia; 10 Ezechia generò Manasse; Manasse generò Amon; Amon generò Giosia; 11 Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia.
12 Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel; Salatiel generò Zorobabele; 13 Zorobabele generò Abiud; Abiud generò Eliachim; Eliachim generò Azor; 14 Azor generò Sadoc; Sadoc generò Achim; Achim generò Eliud; 15 Eliud generò Eleàzaro; Eleàzaro generò Mattan; Mattan generò Giacobbe; 16 Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo.
17 Così, da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni.




Cari fratelli e sorelle,

Vi propongo di fermarci oggi su una figura alla quale noi, evan­gelici, non prestiamo molta attenzione. Quindici giorni fa, i nostri fra­telli cattolici hanno fatto memoria della morte di Ma­ria, e fra pochi giorni, ricorderanno la sua nascita. Mi sembra una buona occasione per riflettere anche noi su ciò che diciamo di Maria. Spesso infatti, ab­biamo talmente paura di parlarne che finiamo per non dirne niente, eppure quando incontrò Elisabetta, incinta anche lei, Maria aveva proclamato: “tutte le generazioni mi diranno beata” (Lc 1,48). Noi, in­vece, l’abbiamo rinchiusa in un silenzio che non esprime gratitudine nei suoi confronti, ma solo timore e imbarazzo.


Ora, tra il nostro mutismo su Maria e la sovrabbondanza di pa­role che spesso rimprove­riamo ai cattolici, e che rimprovereremmo anche agli ortodossi, se li conoscessimo meglio, c’è ampio spazio per una parola “evangelica” sulla madre di Gesù.
Certo, la Scrittura dice poche cose di Maria, cose però che sono significative e non giusti­ficano affatto il nostro totale silenzio su di lei. Certo, non sappiamo né quando è nata, né quan­do è morta, tuttavia, queste due date del 15 agosto e dell’8 settembre – che da più di 1500 anni sono celebrate dalle chiese ortodosse e dalla chiesa cattolica – non sono affatto casuali. Ricor­dano la consacrazione di due chiese di Gerusalemme costruite nei primi secoli dell’era cristiana.
Se queste memorie non sono verificabili storicamente, esse atte­stano almeno l’antichità della venerazione per Maria. Sembra difficile pensare che da più di 1500 anni, milioni di cristiani hanno sbagliato, tanto più che i riformatori non si sono opposti a una tale venerazione, pur de­nunciando le deviazioni esistenti. Erano infatti fedeli al precetto del Signore di “onorare il padre e la madre”. Parlare di Maria, è ricor­dare anzitutto che è madre, per grazia, del Signore Gesù, che confes­siamo come Dio e nel quale troviamo la nostra salvezza. Togliete Maria, e scompare anche il Signore Gesù!
Evidentemente, non posso dire ora tutto ciò che si potrebbe dire di Maria. Altri evangelici l’hanno fatto, anche valdesi, come Giorgio Tourn o Paolo Ricca, senza parlare del documento della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, intitolato “Maria, nostra sorella” (1988)! Vorrei solo dire qualcosa a partire dalla genealogia che abbia­mo appena riletto: una serie di nomi, certamente un po’ noiosa da ascoltare, ma significativa quando ci soffermiamo su alcuni particolari.


Le genealogie che incontriamo spesso nell’AT sono caratteristi­che di un popolo che colti­va la memoria, forse specialmente delle po­polazioni nomadi che, vivendo sotto le tende nei de­serti, non possono la sera divertirsi con eventi o spettacoli, come gli abitanti di città. Pen­siamo: riusciamo normalmente a ricordare i nomi dei genitori e dei nonni, ma chi ricorda quelli dei bi­snonni? Allora, come fa Matteo a ricordare tutti questi nomi? 42 generazioni! Evidentemente, non è questa la domanda da porre; forse infatti Matteo ha anche inventato alcuni no­mi, che ha aggiun­to a quelli che trovava nell’AT; l’intento è altrove.
Vuole da un lato sottolineare che l’intera storia del popolo d’I­sraele, fin da Abramo, suo primo patriarca, confluisce, quasi precipita, come fiume nel mare, nella figura di Gesù, che è la ricapitolazione di tutto il popolo di Dio, che è anch’egli “figlio di Dio” (Es 4,22).
E poi, Matteo gioca, come vedremo, sul numero 42.


Anzitutto notiamo una stranezza: i nomi sono quasi tutti nomi maschili: Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Salomone, Ozia, Zoro­babele, ecc. Ma cinque volte appare un nome femmi­nile: Tamar, Ra­cab, Rut, la moglie di Uria e Maria. Si dice spesso che questi nomi se­gnano mo­menti di peccato e servono a dire che Dio si implica nella storia di peccato che è la nostra storia umana. Questa rischia di essere ancora una di quelle interpretazioni maschiliste, che hanno pur­troppo dominato la storia della Chiesa e dell’interpretazione della Scrittura. In realtà, questa let­tura non corrisponde esattamente con la verità. Le menzioni di queste donne segnano piuttosto momenti in cui la genea­logia rischiava di fermarsi ed è riuscita a continuare solo grazie all’azione coraggiosa della donna nominata; sono momenti in cui l’uomo maschio è stato deficiente ed è stato come messo tra parentesi.
Tamar ha quasi violentato il suocero, Giuda, figlio di Giacobbe, per dargli una discenden­za; questi infatti rifiutava di darle il figlio che, secondo la legge, doveva darle come marito, per­ché suscitasse una di­scendenza al fratello morto. Racab è la prostituta di Gerico che ha da­to a Israele la possibilità di entrare in terra promessa. Rut, la moabita, divenne per la sua fedeltà a Naomi, sua suocera, un anello indispen­sabile nelle generazioni: è stata la bisnonna di Davide. Davide, infine, ha gravemente peccato contro un suo soldato, Uria, facendolo uccide­re per po­ter rapirne la moglie; Dio ha avuto pietà della donna di cui Davide si era preso gioco e l’ha fatta ma­dre di Salomone. Quanta storia, quanta manifestazione di Dio in queste donne, nonostante il peccato in cui vive l’umanità!


Tutto ciò si concentra nell’ultima donna menzionata: Maria. Ma allora incontriamo un’altra sorpresa: la genealogia infatti non è quella di Maria, ma di Giuseppe, che poi non è il padre di Gesù! È invece lo sposo – anzi il promesso sposo – di Maria che, senza di lui, partorì il figlio, Gesù, nel quale l’umanità intera trova la salvezza. 


Allora cosa significa questo? Sicuramente l’intento di Matteo non è né storico né medicale: è un’affermazione di fede, cioè non qualcosa che si deve credere senza chiedersi come funziona, ma una proclama­zione su colui che sta al cuore della nostra fede, Gesù. Il “salto” esi­stente tra la genealogia di Giuseppe e Maria sottolinea che Gesù è na­to da Dio ed è dunque figlio di Dio; inoltre giunge al termine di una successione di 42 generazioni: con lui inizia una nuova serie di genera­zioni; prima di lui vi sono 6 volte 7 generazioni, egli apre il settimo ci­clo di sette genera­zioni. Nella tradizione biblica, il numero 7 indica una pienezza: con Gesù giunge la “pienezza del tempo”, come dirà Paolo (Gal 4,4). Eppure è nato, come ogni essere umano, “da donna”, e quindi, come dirà ancora Paolo, “sotto la legge”.

Messe insieme queste affermazioni formano un riassunto sul­l’identità del Cristo: Gesù, ve­ro uomo, porta un tempo nuovo, quello della salvezza (la pienezza del tempo), perché, nono­stante sia “nato da donna”, come noi, è anche figlio di Dio che quindi ci racconta il Padre, per­ché: “tale padre, tale figlio”; ci dice pure la fondamentale caratteristica di Dio: non volere altro che amare i propri figli, come ama il Figlio unigenito, Gesù, che costituisce nostro fratello.


Torniamo a Maria: tutto ciò che diciamo di Gesù lo possiamo di­re solo perché è nato da Maria che Dio, nella sua grazia, ha scelto per darci Gesù! Allora, come essa stessa ci invita, di­ciamo almeno, insie­me a tutte le generazioni: “Beata te, Maria, che hai dato la vita a un tale fi­glio!”. Ancora un’ultima parola: proprio in questo Maria è im­magine nostra, perché anche noi siamo chiamati a “dare vita” a quel Cristo in cui crediamo, di fronte a chi ci chiede conto della speranza che è in noi. Da noi, il mondo non aspetta parole, ma una dimostra­zione, con la no­stra vita, che davvero Cristo è il Vivente che permette ai popoli di conservare la speranza. A lui, lode e gloria per sempre. Amen.

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