lunedì 24 settembre 2018

Predicazione di domenica 23 settembre 2018 su Isaia 49,1-6 a cura di Marco Gisola

Isaia 49,1-6
1 Isole, ascoltatemi! Popoli lontani, state attenti!
Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre.
2 Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano;
ha fatto di me una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra,
3 e mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria».
4 Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza;
ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio».
5 Ora parla il SIGNORE che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurgli Giacobbe, per raccogliere intorno a lui Israele; io sono onorato agli occhi del SIGNORE, il mio Dio è la mia forza.
6 Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».


Il brano di oggi è uno dei cosiddetti “canti del Servo del Signore”, che sono quattro brani del libro del profeta Isaia che parlano di un personaggio chiamato “il servo”, al quale – come abbiamo letto in questo brano - viene affidata una missione importante per Israele e tutta l’umanità.
Chi sia questo servo non è chiaro, gli studiosi discutono e hanno opinioni diverse. Non è nemmeno chiaro se sia una persona singola – magari lo stesso Isaia - oppure sia il popolo d’Israele.
Come avete visto, anche nel brano di oggi c’è questa ambiguità: al v. 1 dice «Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre» e quindi sembra una persona precisa con un nome preciso, ma al v. 3 dice: «[il Signore] mi ha detto: “Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria”».
Quello che è chiaro è che con queste parole Dio sta dando a qualcuno – singolo o popolo che sia – un incarico, una missione. E poiché non è solo il “servo del Signore” che ha ricevuto questo incarico, non è soltanto il profeta Isaia, non è soltanto Israele che ha ricevuto da Dio una chiamata, ma siamo anche noi, è per noi istruttivo fermarci a vedere che cosa dice Dio in questo brano, perché lo dice anche a noi.
Vorrei ripercorrere questo brano con voi in quattro tappe.
1. La prima tappa è la vocazione. «Il SIGNORE mi ha chiamato fin dal seno materno, ha pronunciato il mio nome fin dal grembo di mia madre». Conosciamo affermazioni simili fatte da altri profeti, per esempio Geremia (abbiamo letto il racconto della sua vocazione alcune domeniche fa), ma anche dall’apostolo Paolo.
La chiamata precede addirittura la nascita del chiamato. Dio non agisce come agiamo noi quando cerchiamo una persona per darle un compito, che prima cerchiamo di conoscerla, di vedere come è, come si comporta, se ci ispira fiducia, se è brava a fare quello che deve fare.
Dio non cerca la persona adatta – come si dice: la persona giusta al posto giusto – non fa una selezione tra i tanti per trovare l’uno o l’una che gli serve. Dio sceglie e chiama prima che il prescelto/a e il chiamato/a vengano al mondo.
Il Servo del Signore – chiunque egli sia – non è la persona giusta, è la persona scelta. È Dio che rende il Servo quello che sarà, non è merito suo. Perché nessuno sarebbe degno di questo compito, nessuno ne sarebbe all’altezza. È solo la scelta di Dio che rende all’altezza. Ma all’altezza di cosa?

2. Ed eccoci alla seconda tappa: la Parola: «Egli ha reso la mia bocca come una spada tagliente...». il Servo proclama la Parola di Dio, questo è il suo compito, per questo è stato prescelto prima della sua nascita e per questo è stato chiamato.
La Parola di Dio è paragonata a un’arma, una spada prima e una freccia poi; la spada colpisce vicino, la freccia lontano, la Parola di Dio vuole raggiungere tutti, vicini e lontani, vuole raggiungere Israele che è il suo popolo, ma anche tutti gli altri popoli.
Forse ci crea qualche problema il fatto che la Parola di Dio venga paragonata a un’arma? Proviamo a rovesciare il paragone: non la Parola di Dio è un’arma, ma: l’arma di Dio è la sua Parola.
Dio non ha altre armi, se non la sua parola, il profeta, il servo, il popolo non hanno altre armi se non la Parola. I discepoli e le discepole di Gesù non hanno altre armi se non la sua parola.
E che cosa farà il servo armato soltanto della Parola di Dio? Al v. si dice: «Tu sei il mio servo, Israele, per mezzo di te io manifesterò la mia gloria». Il servo – che sia esso il popolo o una singola persona, manifesterà la gloria di Dio.
Ma manifestare la gloria di Dio non una cosa generica o un’esperienza puramente spirituale. Pochi capitoli prima il profeta aveva detto: «il SIGNORE ha riscattato Giacobbe e manifesta la sua gloria in Israele» (Isaia 44,23).
È l’annuncio della fine dell’esilio in Babilonia. Il Signore ha riscattato, cioè liberato, Giacobbe – ovvero il popolo di Israele (il nome del patriarca sta per tutto il popolo). Così Dio manifesta la sua gloria: liberando, restituendo la libertà e la dignità al suo popolo.
Il Servo manifesterà la gloria di Dio annunciando la sua volontà di liberazione per tutti i popoli.

3. Ma… c’è un ma! «Ma io dicevo: «Invano ho faticato; inutilmente e per nulla ho consumato la mia forza». Al Servo di Dio sembra tutto inutile, gli sembra che la sua predicazione sia destinata al fallimento. Quando nel nostro brano è il suo di parlare, la sua è una parola di lamento.
Evidentemente le cose non vanno come lui vorrebbe, la sua parola non è ascoltata come sarebbe giusto, la reazione alla sua predicazione non è quella che si attende.
Quante volte anche a noi tutto ciò che facciamo sembra un apparente fallimento, sembra inutile, un inutile spreco di tempo e di energia? Quante volte ci sentiamo inadeguati, insufficienti al compito che Dio ci dona? Ma Dio – come ha detto qualcuno - “ha scelto chi non è importante per realizzare cose importanti”.
Grazie a Dio, il lamento dura solo un breve momento e poi il profeta cambia tono: «ma certo, il mio diritto è presso il SIGNORE, la mia ricompensa è presso il mio Dio». Il tono del lamento fa spazio a quello della fiducia.
La fiducia è che, nonostante le apparenti – o reali – sconfitte, nonostante gli umani fallimenti, «il mio diritto è presso il Signore», cioè fare la volontà di Dio è comunque giusto ed ha comunque senso, anche quando i risultati non sono quelli che si vorrebbe.
Questa dialettica o tensione tra lamento e fiducia, è quella che viviamo anche noi. Questo ci dice che il Signore ha scelto un Servo, un profeta oppure un popolo, che ci somiglia, che si lascia scoraggiare come noi, che ha dubbi come noi, che patisce i fallimenti come noi. Che però riesce anche a guardare a Dio anziché a se stesso e ai propri fallimenti e a recuperare la fiducia.

4. Come reagisce Dio al lamento? Rinnovando l'incarico! Anzi estendendolo: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele; voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».
Il suo servo non dovrà soltanto “rialzare”, ovvero annunciare la liberazione delle tribù di Giacobbe e ricondurre gli scampati di Israele, cioè i superstiti tra gli esiliati e i loro figli.
Non dovrà soltanto annunciare la liberazione. Questo è troppo poco. «voglio fare di te la luce delle nazioni, lo strumento della mia salvezza fino alle estremità della terra».
La salvezza rompe i confini, va oltre il popolo e si estende a tutta l'umanità. Troviamo la stessa espressione nelle parole che Gesù dirà ai suoi discepoli poco prima della sua Ascensione al cielo, quando dice loro: «mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra» (Atti 1).
Da cristiani, possiamo dire che questa promessa del profeta si realizza per noi in Cristo e nell’annuncio della sua resurrezione e quindi di una nuova speranza a tutta l'umanità.
Ma la promessa è già qui, e dobbiamo dire che questa vocazione a essere luce delle nazioni appartiene anche al popolo ebraico e che è attraverso di esso che questa vocazione arriva anche noi.
Anche a noi la Parola di Dio dice oggi: «È troppo poco ...». È troppo poco che voi cristiani annunciate l’evangelo a voi stessi. Per essere più concreti: è troppo poco che tu chiesa valdese di Biella ti occupi di annunciare la Parola a te stessa, che tu cerchi la tua consolazione, la tua speranza e la tua gioia nell’evangelo. È troppo poco! Perché la luce dell’evangelo non è solo per te, è per l’umanità.
Se il Signore ci ha chiamati e ci ha rivolto il suo evangelo, non è perché ce lo teniamo per noi, non è perché esso dia luce soltanto alla nostra vita, ma perché questa luce sia portata fuori, per illuminare le vite di molte altre persone.
Per questo ci ha chiamati, per questo siamo chiesa, non per altro.
Il Signore continui a illuminare, con il suo Spirito e la sua Parola, la vita di molti, compresa la nostra, e servendosi anche di noi, fino all'estremità della terra.

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