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Pietro 1,3-9
“Benedetto
sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua
grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva
mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità
incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in
cielo per voi,che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la
fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi.
Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che
siate afflitti da svariate prove,affinché la vostra fede, che viene
messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e
tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di
onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo. Benché non
l'abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo
vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il
fine della fede: la salvezza delle anime”.
In
questa lettera Pietro si rivolge ai fedeli dispersi nelle cinque
province dell’Asia Minore, attuale Turchia. L’Asia proconsolare,
con capitale Efeso, e la Galazia sono state evangelizzate da Paolo;
non sappiamo chi sono stati i missionari che hanno portato il vangelo
nel Ponto, nella Cappadocia e nella Bitinia.
Si
è cercato di fissare la data della prima lettera di Pietro tenendo
conto della grave minaccia di persecuzione di cui si parla in
un’altra parte della lettera stessa: potrebbe trattarsi della
persecuzione di Nerone, scatenata a seguito dell’incendio di Roma
(nell’anno 64)? In realtà, quella spietata repressione ha
riguardato soltanto la comunità di Roma. Non si è avuto un editto
di persecuzione esteso a tutto l’impero. Per la situazione in Asia
Minore occorre far riferimento alla lettera che Plinio il Giovane,
governatore della Bitinia, ha inviato all’imperatore Traiano
(nell’anno 112) per sapere quale comportamento adottare nei
confronti dei cristiani. Questo rapporto ufficiale testimonia
l’importanza della comunità della Bitinia e fa riferimento a una
persecuzione scatenata una ventina di anni prima, al tempo di
Domiziano, cioè l’epoca in cui è stata redatta l’Apocalisse di
Giovanni.
Per
la datazione della lettera ci si basa soprattutto su criteri interni.
L’accostamento fra la teologia della prima lettera di Pietro e
quella dei discorsi di Pietro negli Atti farebbe propendere per
l’autenticità, ma la forma letteraria dello scritto inducono in
questo caso a concedere molto spazio al segretario. Il confronto con
le lettere di Paolo e il distacco senza problemi dal giudaismo
tendono a far risalire la lettera a dopo la morte di Pietro. Sarà
stata redatta da un discepolo dell’apostolo, cioè da Silvano
(5,12). In ogni modo la data di redazione è compresa tra 70 e 90
dopo Cristo.
Ma
al di là dei fatti storici interessanti per comprendere meglio la
situazione di quel periodo a noi interessa che cosa ci ha trasmesso
Pietro o Silvano per quanto riguarda la fede oggi.
Gli
esegeti, ossia gli studiosi ed interpreti della Bibbia, a distanza di
duemila anni della venuta di Gesù Cristo sulla terra rivelano nuove
informazioni sugli estensori di brani della Bibbia e tutto questo,
secondo me, non può che arricchire il messaggio di Dio contenuto
nella Bibbia stessa.
Gli
arricchimenti dei messaggi di Dio a noi tutti arrivano anche dalla
scienza.
Quando
il 10 aprile scorso è stata pubblicata la straordinaria prima foto
di un buco nero alcuni scienziati hanno esclamato: “E’ stato
fotografato l’invisibile”. Dieci anni di studi di varie
équipe di scienziati con telescopi situati in varie parti del mondo
sono riusciti a dimostrare che Albert Einstein aveva ragione quando
parlava sulla sua teoria della relatività dello spazio e del tempo.
La
foto è stata pubblicata qualche giorno fa ma tale avvenimento è
avvenuto 55 milioni di anni luce prima della sua pubblicazione.
Un
interessante intervista è sta fatta dal quotidiano “La Stampa”
al prof. Giulio Giorello, docente di Filosofia della Scienza
all’Università di Milano: la scienza si trova di fronte a un
successo senza precedenti, ma che cosa significa per l’uomo e il
suo inconscio?
«Il
concetto di buco nero – risponde Giorello - è inevitabile,
porta con sé un senso di instabilità, di troppo pieno o di troppo
vuoto, di nulla o di tutto all’ennesima potenza. Può anche darsi
che qualcuno veda in questa scoperta il riflesso delle nostre paure o
la realizzazione fisica dell’angoscia, ma per me è una nuova,
ampia finestra da cui capire la complessità del reale».
Quali
potrebbero essere – chiede ancora l’intervistatore - le
conseguenze filosofiche di questo risultato?
«Al
di là della sua portata scientifica, in quel buco nero, di cui
vediamo l’orizzonte degli eventi, là dove spazio e tempo si
accartocciano e da cui nemmeno la luce può emergere, non credo possa
cambiare il senso del divino che i credenti mettono alla base della
creazione. Nelle pieghe dell’Universo, più o meno disvelato, lo
spazio per l’interpretazione religiosa resta lo stesso. Si spera
solo che, un domani, credenti e non credenti possano confrontarsi
senza erigere barricate».
Anche
in questo caso, secondo me, non dobbiamo spaventarci di queste
novità, anzi dobbiamo essere grati per le nuove scoperte
scientifiche in quanto avvalorano quanto noi crediamo ossia
l’esistenza di Dio. Sulle date e sulle modalità, così come ho
detto prima sulla prima lettera di Pietro, dobbiamo essere grati agli
esegeti della Bibbia e agli stessi scienziati che scrutano
l’Universo, in quanto come protestanti cristiani abbiamo sempre
detto che la nostra fede si basa su una lettura storico critica della
Bibbia. Mentre stavo leggendo le parole della prima lettera di Pietro
vedevo su internet le terribili immagini della strage nello Sri Lanka
che ogni ora diventava più terribile: prima 40 poi 200 morti, di cui
molti bambini. Parte uccisi in chiese cristiane, parte in alberghi
per turisti. Proprio il giorno di Pasqua!
Le
prime impressioni sono naturalmente di rabbia e di sgomento, di
lacrime per i morti anche bambini.
E
si chiede il perché anche se purtroppo le stragi si fanno sempre più
frequenti ed è terribile come si dimentichino in fretta e lascino un
segnale di impotenza e di smarrimento. Quello che però preoccupa
sempre di più è come tutto ciò faccia allontanare dalla fede in
Dio tante persone.
Ma
forse è proprio questo che vogliono coloro che stanno seminando odio
e violenza: allontanare le persone dalla fede in Dio e in Gesù
Cristo e portarli all’esaltazione della propria religione e
all’odio verso le altre religioni.
E
così chi si professa musulmano odierà i cristiani e i buddisti
odieranno gli induisti o viceversa.
Ma
le parole di Gesù Cristo non sono mai state di odio neppure quando è
stato crocifisso ma ha sempre insegnato ad amare.
Delle
lettera di Pietro mi hanno colpito queste parole: “Perciò voi
esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate
afflitti da svariate prove,affinché la vostra fede, che viene messa
alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia
è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al
momento della manifestazione di Gesù Cristo”.
Il
paragone con l’oro è significativo.
La
fede è ben più preziosa dell’oro. Il paragone riguarda un metallo
come l’oro che non si corrode mai. Però l’oro può perdere di
valore oppure può essere rubato oppure può essere perduto. Ma la
fede non deve mai corrompersi anche se vi sono momenti terribili come
quello dello Sri Lanka o quello che può aver colpito ciascuno di noi
con una malattia o con la morte di una persona cara.
Ho
visto recentemente una ragazza alla Domus Laetitiae di Sagliano Micca
su una sedia a rotelle, affiancata da persone che si prendevano cura
di lei anche se non sapeva parlare ed esprimere una ringraziamento.
Eppure queste persone stavano cercando di alleviare i gravi problemi
di chi si trova in queste situazioni attraverso una costante
attenzione.
Stavano
cercando di fare in modo che potesse avere una posizione più comoda
perché la sua disabilità non le recasse un maggior disturbo per la
sua posizione quasi immobile.
Allora
ho pensato che a quella persona chiamata Monica e quelle cure della
fisioterapista e di un assistente della Domus valessero di più che
se le avessero regalato un lingotto d’oro o qualunque pietra
preziosa.
Non
so quale idee religiose queste persone abbiano ma sicuramente stavano
seguendo gli insegnamenti di Gesù Cristo quando invita ad amarsi
l’un l’altro.
Questa
lettera di Pietro, letta all’inizio, ben si adatta al periodo
pasquale che stiamo vivendo poiché ci ricorda il fondamento della
nostra fede, la risurrezione di Cristo, e ci suggerisce il modo in
cui possiamo vivere la vita nuova che Egli ci ha donato.
Nelle
mie ricerche dei commenti che riguardano questo brano della lettera
di Pietro ho trovato questa bella predicazione del pastore Franco
Tagliero che voglio riproporvi in parte.
“Credere
benché non si veda. Il testo di oggi tocca questi temi anche quando
accenna alla questione del credere benché non si sia visto allora e
non si veda oggi. Vedere che cosa? Questo è il problema che i
credenti hanno dovuto affrontare fin dal tempo apostolico, tanto è
vero che il discepolo di nome Tommaso, di cui parla l’evangelista
Giovanni, è passato alla storia del cristianesimo come esempio di
chi all’inizio non crede a qualcosa che è successo, la
resurrezione di Cristo (Giovanni 20,19-29). Quello del credere e del
non vedere è un tema trasversale a tutta la Bibbia: il salmista più
volte si chiede: “Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” E
Dio si lascia vedere di spalle da Mosé, e gli dice: ma il mio volto
non si può vedere”! La stessa cosa succede ad Elia che si rende
conto di essere in presenza di Dio quando ode un suono dolce e lieve,
non quando soffia il vento o romba il tuono.
I
cristiani hanno scelto diverse forme di spiritualità e diverse
prassi per andare oltre il non aver visto e oltre al non vedere qui
sulla terra. Ogni forma, ogni prassi deve essere rispettata.
I
Protestanti credono che la salvezza, come la fede, è un dono della
grazia divina, un dono gratuito, che non ha dunque bisogno di
immagini sacre o di opere o di riti o di ostensioni o di
pellegrinaggi. Pietro dice che il fine della fede è la salvezza.
Questo è il punto!
Il
versetto iniziale del nostro brano ricorda che Dio ha fatto
rinascere, dunque nascere una seconda volta, ad una speranza viva
mediante la resurrezione di Cristo. Parla di speranza, dunque. E’
indubbio che il richiamo alla speranza in Cristo è al centro della
fede evangelica. Pietro scriveva ai cristiani in un tempo di
persecuzione (afflitti da svariate prove, dice il versetto letto
prima) e parlava loro della speranza nel risorto, come Geremia
invitava a sperare quando Israele era deportato a Babilonia, o come
Mosé incitava a non abbattersi e dunque a sperare quando le
difficoltà del deserto rischiavano di essere insopportabili. Ma
anche i teologi della liberazione parlano di speranza ad un popolo
schiacciato dalla povertà e dalle dittature. Questi esempi
evidenziano come il tema della speranza sia trasversale ad ogni epoca
del cristianesimo e soprattutto diventi cruciale in tempi di
difficoltà e di crisi. Dunque se la fede, è “provata” cioè
messa alla prova, ed è la cosa più preziosa da vivere, più
dell’oro, allora anche per il nostro tempo vivere la speranza nel
risorto contraddistingue i cristiani. E’ evidente però che il
mondo occidentale opulento e basato soltanto sulla frenesia di far
soldi e di giungere al successo non riesce a capirlo chiaramente e
non ha interesse a questa speranza di cui parla Pietro. Ma in che
cosa siamo esortati a sperare? I credenti sperano nella salvezza
annunciata da Cristo e resa evidente dalla resurrezione: salvezza da
tutto ciò che li opprime, dalla malattia, dalla crisi economica,
dalle forme di paganesimo e di superstizione che si diffondono nel
mondo coperte da pennellate di cristianesimo. La salvezza è
annunciata ed è data in Cristo agli eletti, a coloro che con
obbedienza e semplicità d’animo si mettono nelle sue mani
accettando il suo invito. La salvezza per oggi consiste nel recupero
del senso della vita, del mantenimento di una comprensione della vita
personale come esperienza gioiosa e profondamente consapevole, al di
là delle difficoltà. Il punto d’arrivo di questa “fede provata”
secondo Pietro è in modo inequivocabile quello della lode e della
gioia vissuta, della riconoscenza collegata alle cose della
quotidianità. E questo significa riferimento alla parola e alla
preghiera. Nella preghiera e nell’ascolto della Parola i credenti
ricevono l’esortazione a sperare, ne sono autorizzati dalla
resurrezione. La promessa del Signore segna il passaggio su questa
terra ed aiuta a seguire un percorso reso luminoso dall’amore per
il prossimo, dall’impegno per la liberazione degli oppressi e per
dar loro una speranza via. La speranza è viva, come è vivo Cristo,
il risorto. La speranza non si nutre di oggetti inanimati, ma
solamente dell’amore di colui che è vivo! Se Cristo è risorto ed
è vivente, come crediamo, in noi e per noi, ogni momento diventa
occasione di lode e di riconoscenza. Il tempo dell’attesa non è un
tempo disperato, segnato soltanto da sciagure da dolori e sofferenze,
è un tempo gioioso: per questo vale la pena testimoniare la
speranza”.
Amen
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