martedì 30 aprile 2019

Predicazione di domenica 28 aprile su 1 Pietro 1,3-9 a cura di Massimiliano Zegna

1 Pietro 1,3-9


Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha fatti rinascere a una speranza viva mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi,che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la salvezza che sta per essere rivelata negli ultimi tempi. Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove,affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo. Benché non l'abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza delle anime”.


In questa lettera Pietro si rivolge ai fedeli dispersi nelle cinque province dell’Asia Minore, attuale Turchia. L’Asia proconsolare, con capitale Efeso, e la Galazia sono state evangelizzate da Paolo; non sappiamo chi sono stati i missionari che hanno portato il vangelo nel Ponto, nella Cappadocia e nella Bitinia.
Si è cercato di fissare la data della prima lettera di Pietro tenendo conto della grave minaccia di persecuzione di cui si parla in un’altra parte della lettera stessa: potrebbe trattarsi della persecuzione di Nerone, scatenata a seguito dell’incendio di Roma (nell’anno 64)? In realtà, quella spietata repressione ha riguardato soltanto la comunità di Roma. Non si è avuto un editto di persecuzione esteso a tutto l’impero. Per la situazione in Asia Minore occorre far riferimento alla lettera che Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, ha inviato all’imperatore Traiano (nell’anno 112) per sapere quale comportamento adottare nei confronti dei cristiani. Questo rapporto ufficiale testimonia l’importanza della comunità della Bitinia e fa riferimento a una persecuzione scatenata una ventina di anni prima, al tempo di Domiziano, cioè l’epoca in cui è stata redatta l’Apocalisse di Giovanni.
Per la datazione della lettera ci si basa soprattutto su criteri interni. L’accostamento fra la teologia della prima lettera di Pietro e quella dei discorsi di Pietro negli Atti farebbe propendere per l’autenticità, ma la forma letteraria dello scritto inducono in questo caso a concedere molto spazio al segretario. Il confronto con le lettere di Paolo e il distacco senza problemi dal giudaismo tendono a far risalire la lettera a dopo la morte di Pietro. Sarà stata redatta da un discepolo dell’apostolo, cioè da Silvano (5,12). In ogni modo la data di redazione è compresa tra 70 e 90 dopo Cristo.
Ma al di là dei fatti storici interessanti per comprendere meglio la situazione di quel periodo a noi interessa che cosa ci ha trasmesso Pietro o Silvano per quanto riguarda la fede oggi.
Gli esegeti, ossia gli studiosi ed interpreti della Bibbia, a distanza di duemila anni della venuta di Gesù Cristo sulla terra rivelano nuove informazioni sugli estensori di brani della Bibbia e tutto questo, secondo me, non può che arricchire il messaggio di Dio contenuto nella Bibbia stessa.
Gli arricchimenti dei messaggi di Dio a noi tutti arrivano anche dalla scienza.
Quando il 10 aprile scorso è stata pubblicata la straordinaria prima foto di un buco nero alcuni scienziati hanno esclamato: “E’ stato fotografato l’invisibile”. Dieci anni di studi di varie équipe di scienziati con telescopi situati in varie parti del mondo sono riusciti a dimostrare che Albert Einstein aveva ragione quando parlava sulla sua teoria della relatività dello spazio e del tempo.
La foto è stata pubblicata qualche giorno fa ma tale avvenimento è avvenuto 55 milioni di anni luce prima della sua pubblicazione.


Un interessante intervista è sta fatta dal quotidiano “La Stampa” al prof. Giulio Giorello, docente di Filosofia della Scienza all’Università di Milano: la scienza si trova di fronte a un successo senza precedenti, ma che cosa significa per l’uomo e il suo inconscio?
«Il concetto di buco nero – risponde Giorello - è inevitabile, porta con sé un senso di instabilità, di troppo pieno o di troppo vuoto, di nulla o di tutto all’ennesima potenza. Può anche darsi che qualcuno veda in questa scoperta il riflesso delle nostre paure o la realizzazione fisica dell’angoscia, ma per me è una nuova, ampia finestra da cui capire la complessità del reale».
Quali potrebbero essere – chiede ancora l’intervistatore - le conseguenze filosofiche di questo risultato?
«Al di là della sua portata scientifica, in quel buco nero, di cui vediamo l’orizzonte degli eventi, là dove spazio e tempo si accartocciano e da cui nemmeno la luce può emergere, non credo possa cambiare il senso del divino che i credenti mettono alla base della creazione. Nelle pieghe dell’Universo, più o meno disvelato, lo spazio per l’interpretazione religiosa resta lo stesso. Si spera solo che, un domani, credenti e non credenti possano confrontarsi senza erigere barricate».


Anche in questo caso, secondo me, non dobbiamo spaventarci di queste novità, anzi dobbiamo essere grati per le nuove scoperte scientifiche in quanto avvalorano quanto noi crediamo ossia l’esistenza di Dio. Sulle date e sulle modalità, così come ho detto prima sulla prima lettera di Pietro, dobbiamo essere grati agli esegeti della Bibbia e agli stessi scienziati che scrutano l’Universo, in quanto come protestanti cristiani abbiamo sempre detto che la nostra fede si basa su una lettura storico critica della Bibbia. Mentre stavo leggendo le parole della prima lettera di Pietro vedevo su internet le terribili immagini della strage nello Sri Lanka che ogni ora diventava più terribile: prima 40 poi 200 morti, di cui molti bambini. Parte uccisi in chiese cristiane, parte in alberghi per turisti. Proprio il giorno di Pasqua!
Le prime impressioni sono naturalmente di rabbia e di sgomento, di lacrime per i morti anche bambini.
E si chiede il perché anche se purtroppo le stragi si fanno sempre più frequenti ed è terribile come si dimentichino in fretta e lascino un segnale di impotenza e di smarrimento. Quello che però preoccupa sempre di più è come tutto ciò faccia allontanare dalla fede in Dio tante persone.
Ma forse è proprio questo che vogliono coloro che stanno seminando odio e violenza: allontanare le persone dalla fede in Dio e in Gesù Cristo e portarli all’esaltazione della propria religione e all’odio verso le altre religioni.
E così chi si professa musulmano odierà i cristiani e i buddisti odieranno gli induisti o viceversa.
Ma le parole di Gesù Cristo non sono mai state di odio neppure quando è stato crocifisso ma ha sempre insegnato ad amare.
Delle lettera di Pietro mi hanno colpito queste parole: “Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove,affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo”.
Il paragone con l’oro è significativo.
La fede è ben più preziosa dell’oro. Il paragone riguarda un metallo come l’oro che non si corrode mai. Però l’oro può perdere di valore oppure può essere rubato oppure può essere perduto. Ma la fede non deve mai corrompersi anche se vi sono momenti terribili come quello dello Sri Lanka o quello che può aver colpito ciascuno di noi con una malattia o con la morte di una persona cara.
Ho visto recentemente una ragazza alla Domus Laetitiae di Sagliano Micca su una sedia a rotelle, affiancata da persone che si prendevano cura di lei anche se non sapeva parlare ed esprimere una ringraziamento. Eppure queste persone stavano cercando di alleviare i gravi problemi di chi si trova in queste situazioni attraverso una costante attenzione.
Stavano cercando di fare in modo che potesse avere una posizione più comoda perché la sua disabilità non le recasse un maggior disturbo per la sua posizione quasi immobile.
Allora ho pensato che a quella persona chiamata Monica e quelle cure della fisioterapista e di un assistente della Domus valessero di più che se le avessero regalato un lingotto d’oro o qualunque pietra preziosa.
Non so quale idee religiose queste persone abbiano ma sicuramente stavano seguendo gli insegnamenti di Gesù Cristo quando invita ad amarsi l’un l’altro.
Questa lettera di Pietro, letta all’inizio, ben si adatta al periodo pasquale che stiamo vivendo poiché ci ricorda il fondamento della nostra fede, la risurrezione di Cristo, e ci suggerisce il modo in cui possiamo vivere la vita nuova che Egli ci ha donato.
Nelle mie ricerche dei commenti che riguardano questo brano della lettera di Pietro ho trovato questa bella predicazione del pastore Franco Tagliero che voglio riproporvi in parte.
Credere benché non si veda. Il testo di oggi tocca questi temi anche quando accenna alla questione del credere benché non si sia visto allora e non si veda oggi. Vedere che cosa? Questo è il problema che i credenti hanno dovuto affrontare fin dal tempo apostolico, tanto è vero che il discepolo di nome Tommaso, di cui parla l’evangelista Giovanni, è passato alla storia del cristianesimo come esempio di chi all’inizio non crede a qualcosa che è successo, la resurrezione di Cristo (Giovanni 20,19-29). Quello del credere e del non vedere è un tema trasversale a tutta la Bibbia: il salmista più volte si chiede: “Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?” E Dio si lascia vedere di spalle da Mosé, e gli dice: ma il mio volto non si può vedere”! La stessa cosa succede ad Elia che si rende conto di essere in presenza di Dio quando ode un suono dolce e lieve, non quando soffia il vento o romba il tuono.
I cristiani hanno scelto diverse forme di spiritualità e diverse prassi per andare oltre il non aver visto e oltre al non vedere qui sulla terra. Ogni forma, ogni prassi deve essere rispettata.
I Protestanti credono che la salvezza, come la fede, è un dono della grazia divina, un dono gratuito, che non ha dunque bisogno di immagini sacre o di opere o di riti o di ostensioni o di pellegrinaggi. Pietro dice che il fine della fede è la salvezza. Questo è il punto!

Il versetto iniziale del nostro brano ricorda che Dio ha fatto rinascere, dunque nascere una seconda volta, ad una speranza viva mediante la resurrezione di Cristo. Parla di speranza, dunque. E’ indubbio che il richiamo alla speranza in Cristo è al centro della fede evangelica. Pietro scriveva ai cristiani in un tempo di persecuzione (afflitti da svariate prove, dice il versetto letto prima) e parlava loro della speranza nel risorto, come Geremia invitava a sperare quando Israele era deportato a Babilonia, o come Mosé incitava a non abbattersi e dunque a sperare quando le difficoltà del deserto rischiavano di essere insopportabili. Ma anche i teologi della liberazione parlano di speranza ad un popolo schiacciato dalla povertà e dalle dittature. Questi esempi evidenziano come il tema della speranza sia trasversale ad ogni epoca del cristianesimo e soprattutto diventi cruciale in tempi di difficoltà e di crisi. Dunque se la fede, è “provata” cioè messa alla prova, ed è la cosa più preziosa da vivere, più dell’oro, allora anche per il nostro tempo vivere la speranza nel risorto contraddistingue i cristiani. E’ evidente però che il mondo occidentale opulento e basato soltanto sulla frenesia di far soldi e di giungere al successo non riesce a capirlo chiaramente e non ha interesse a questa speranza di cui parla Pietro. Ma in che cosa siamo esortati a sperare? I credenti sperano nella salvezza annunciata da Cristo e resa evidente dalla resurrezione: salvezza da tutto ciò che li opprime, dalla malattia, dalla crisi economica, dalle forme di paganesimo e di superstizione che si diffondono nel mondo coperte da pennellate di cristianesimo. La salvezza è annunciata ed è data in Cristo agli eletti, a coloro che con obbedienza e semplicità d’animo si mettono nelle sue mani accettando il suo invito. La salvezza per oggi consiste nel recupero del senso della vita, del mantenimento di una comprensione della vita personale come esperienza gioiosa e profondamente consapevole, al di là delle difficoltà. Il punto d’arrivo di questa “fede provata” secondo Pietro è in modo inequivocabile quello della lode e della gioia vissuta, della riconoscenza collegata alle cose della quotidianità. E questo significa riferimento alla parola e alla preghiera. Nella preghiera e nell’ascolto della Parola i credenti ricevono l’esortazione a sperare, ne sono autorizzati dalla resurrezione. La promessa del Signore segna il passaggio su questa terra ed aiuta a seguire un percorso reso luminoso dall’amore per il prossimo, dall’impegno per la liberazione degli oppressi e per dar loro una speranza via. La speranza è viva, come è vivo Cristo, il risorto. La speranza non si nutre di oggetti inanimati, ma solamente dell’amore di colui che è vivo! Se Cristo è risorto ed è vivente, come crediamo, in noi e per noi, ogni momento diventa occasione di lode e di riconoscenza. Il tempo dell’attesa non è un tempo disperato, segnato soltanto da sciagure da dolori e sofferenze, è un tempo gioioso: per questo vale la pena testimoniare la speranza”.
Amen





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