domenica 2 giugno 2019

Predicazione di domenica 2 giugno 2019 su Efesini 3,14-21 a cura di Marco Gisola

14 Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, 16 affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell'uomo interiore, 17 e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell'amore, 18 siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo 19 e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
20 Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, 21 a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen.


1. Il brano di oggi è una preghiera che l’apostolo rivolge a Dio per la sua comunità. l’apostolo (e qui che la lettera sia davvero stata scritta dall’apostolo Paolo o da un suo discepolo non è così importante) prega per la sua comunità, prega per le donne e gli uomini che ne fanno parte. l’apostolo si rivolge a un “voi”, ha probabilmente in mente dei volti ben precisi.
Vorrei fermarmi un attimo su questo perché rischiamo di ritenere questo fatto troppo scontato. Quello che qui Paolo (o chi per esso) dice ci interpella, e mi interpella in modo particolare: non perché io pensi di potermi paragonare a un apostolo, ma comunque questo brano di oggi suggerisce che ogni ministro è chiamato a pregare per le proprie comunità, per i membri delle comunità a lui/lei affidate.
Ma questo non vale soltanto per i ministri, ovviamente. Questa parola di oggi invita tutti e tutte noi a pregare per la nostra comunità, per le sorelle e i fratelli di questa comunità; e ci chiede se lo facciamo.
Ci dice che in fondo la prima cosa che siamo chiamati a fare per la nostra chiesa e nella nostra chiesa è pregare gli uni per gli altri. Il cosiddetto sacerdozio universale inizia proprio qui, nella preghiera gli uni per gli altri.
Altro dettaglio su cui riflettere un istante: Paolo piega le ginocchia, si inginocchia per pregare. Noi sappiamo che non c’è bisogno di inginocchiarsi per pregare, non c’è bisogno di un luogo apposito per pregare, non c’è bisogno di candele, non c’è bisogno di simboli, ecc. ecc.
Possiamo pregare in cucina, sotto la doccia, sul treno, ovunque…; possiamo pregare seduti, in piedi, anche coricati, magari prima di dormire.
Tutto vero, ma questa affermazione dell’apostolo fa riflettere: a furia di “non c’è bisogno di questo, non c’è bisogno di quello...”, “possiamo pregare anche qui, possiamo pregare anche lì”… non rischiamo di banalizzare la nostra preghiera?
In fondo, pregare non è come andare a prendere un caffè, per quanto sia piacevole prendere un caffè… Il gesto dell’apostolo di inginocchiarsi esprime la volontà di affermare che quel momento non è uguale agli altri momenti delle nostre giornate, è un gesto per rendere quel momento diverso dagli altri.
Perché è un momento speciale, è un momento con Dio, e – se possibile, ovviamente – che sia un momento speciale deve anche vedersi. Con un gesto, un segno, un simbolo. Per esempio, l’inginocchiarsi coinvolge nella preghiera anche il nostro corpo.
Se ci pensate, istintivamente quando preghiamo tendiamo a chiudere gli occhi e a congiungere le mani. Già questo è un segno che il nostro corpo partecipa nella nostra preghiera. L'inginocchiarsi intensifica questi gesti in cui si dice anche con il proprio corpo che quel momento non è come gli altri, che quel dialogo che è la preghiera non è come altri dialoghi.
Non vi chiedo – e non chiedo nemmeno a me stesso – di inginocchiarmi da ora in poi ogni volta che preghiamo. Mi basta riflettere insieme a voi sul modo in cui preghiamo.


2. veniamo ora al contenuto della preghiera: l’apostolo per le sue sorelle e i suoi fratelli di Efeso a Dio chiede:
- che lo Spirito dia loro forza
- che Cristo abiti nei loro cuori
- che siano radicati nell’amore e possano essere «capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo» e di «conoscere» questo amore che «sorpassa ogni conoscenza».
- l’obiettivo finale è di essere «ricolmi di tutta la pienezza di Dio».
Un linguaggio non tipicamente paolino, e questo è una delle ragioni che spingono molti studiosi a dire che questa lettera non è di Paolo ma di un suo allievo, che appartiene a un’altra generazione che ha un suo proprio linguaggio, più vicino alle mentalità greca.


Le prime due richieste sono simili: si invoca l’azione dello Spirito chiamato a dare forza ai cristiani di Efeso e si chiede che Cristo abiti nei cuori dei credenti.
Tutta la preghiera intende rafforzare la fede di questi credenti, in particolare la richiesta che Cristo abiti nei loro cuori non è una richiesta che riguarda le emozioni o i sentimenti, come potrebbe far pensare a noi moderni la parola cuore.
Il cuore è nella cultura ebraica la sede non dei sentimenti, ma della volontà e dunque che Cristo abiti nei nostri cuori significa che la nostra volontà sia trasformata e resa sempre più simile a quella di Cristo.
Potremmo dire che l’apostolo prega affinché questi credenti arrivino sempre più a volere ciò che Cristo vuole, a far prevalere la volontà di Dio sulla loro volontà.
Questa è la loro forza, la fede che porta a volere ciò che Dio vuole.
La seconda richiesta è che gli Efesini conoscano l’amore che è stato rivelato in Cristo. Il termine conoscenza – in greco: gnosi – è tipico della filosofia greca, in cui c’erano alcune correnti che cercavano una sorta di salvezza nella propria conoscenza, nella conoscenza di certi misteri di cui solo essi sapevano.
È quindi importante che l’apostolo scriva qui che ciò che conta è conoscere l’amore di Cristo e tutta la sua «larghezza, la lunghezza, l'altezza e profondità» e che questa conoscenza, la conoscenza dell’amore di Cristo, sorpassa ogni altra conoscenza.
Questo è fondamentale che un cristiano conosca: l'amore di Cristo, l'amore che Dio ha avuto per lui mandando suo figlio Gesù Cristo. Tutto il resto è secondario. Questa è la conoscenza cristiana: la conoscenza dell’amore di Cristo.
Ma la conoscenza dell’amore di Cristo non è una conoscenza teorica; è conoscere, cioè sapere, di essere amati. La parola “amore” (agape) torna tre volte in pochi versetti e l’apostolo afferma che è necessario essere radicati e fondati in questo amore, ovvero questo amore è la radice e il fondamento della nostra vita e della nostra fede.
Dobbiamo ricordare che la lettera agli efesini è quella in cui il suo autore usa quella bellissima immagine dell’azione di Dio in Cristo come la demolizione del muro che separava ebrei e pagani. Per questo afferma che tutte le famiglie prendono nome o derivano dal padre, per affermare una unità di tutta l’umanità, che è stata creata da Dio.
In Cristo Dio ha amato tanto gli ebrei, il popolo che aveva scelto molti secoli prima, quanto i pagani, anch’essi destinatari dell’evangelo della grazia. L’amore di Dio in Cristo fa crollare muri, l’umanità senza amore costruisce muri.
È questo l’amore che gli Efesini conoscono, che hanno sperimentato in quanto ex pagani, hanno visto crollare quel muro che separava ebrei e pagani e hanno vissuto la nuova realtà che Dio ha realizzato in Cristo, «lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione», aveva detto al cap. 2.
Questa è la prima e essenziale conoscenza cristiana: che Dio ci ama, che questo amore non è un generico sentimento di Dio nei nostri confronti, ma è amore che fa crollare muri, che fa incontrare, che crea relazioni, di più: che crea comunione.
Questa conoscenza sorpassa ogni altra conoscenza, il che non vuol dire banalmente saperne più degli altri, ma significa che siamo chiamati a vivere secondo questa conoscenza, secondo questa fede potremmo dire, conoscendo che prima viene l’amore, l'amore di Dio per noi e per il prossimo, e quindi il nostro amore per il prossimo, perché il muro che mi separava da lui è crollato. E poi viene tutto il resto.
Chi sa questo è «ricolmo di tutta la pienezza di Dio», strana espressione che probabilmente significa che l’amore di Dio ci riempie, riempie la nostra volontà, i nostri sentimenti, la nostra intelligenza, la nostra cultura, la nostra fantasia… l’amore di Dio vuole riempire tutta la nostra vita e orientare tutta la nostra esistenza.
Prima l’amore: per la nostra fede significa: prima l’amore di Dio, cioè prima la grazia. E per la nostra vita quotidiana significa: prima l’amore per il prossimo e poi il resto.
L’apostolo scrive e crede questo e per questo conclude la sua preghiera con la lode: «Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli»
Dio può fare infinitamente di più di ciò che domandiamo e pensiamo. Il suo amore è infinitamente più grande di quanto pensiamo o meritiamo.
A lui che ci ama, e che ci insegna ad amare, sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen

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