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Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, 15
dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, 16
affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di
essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell'uomo
interiore, 17
e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori,
perché, radicati e fondati nell'amore, 18
siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la
larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di
Cristo 19
e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché
siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
20 Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, 21 a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen.
20 Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, 21 a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen.
1.
Il brano di oggi è una preghiera che l’apostolo rivolge a Dio per
la sua comunità. l’apostolo (e qui che la lettera sia davvero
stata scritta dall’apostolo Paolo o da un suo discepolo non è così
importante) prega per la sua comunità, prega per le donne e gli
uomini che ne fanno parte. l’apostolo si rivolge a un “voi”, ha
probabilmente in mente dei volti ben precisi.
Vorrei
fermarmi un attimo su questo perché rischiamo di ritenere questo
fatto troppo scontato. Quello che qui Paolo (o chi per esso) dice ci
interpella, e mi interpella in modo particolare: non perché io pensi
di potermi paragonare a un apostolo, ma comunque questo brano di oggi
suggerisce che ogni ministro è chiamato a pregare per le proprie
comunità, per i membri delle comunità a lui/lei affidate.
Ma
questo non vale soltanto per i ministri, ovviamente. Questa parola di
oggi invita tutti e tutte noi a pregare per la nostra comunità, per
le sorelle e i fratelli di questa comunità; e ci chiede se lo
facciamo.
Ci
dice che in fondo la prima cosa che siamo chiamati a fare per la
nostra chiesa e nella nostra chiesa è pregare gli uni per gli altri.
Il cosiddetto sacerdozio universale inizia proprio qui, nella
preghiera gli uni per gli altri.
Altro
dettaglio su cui riflettere un istante: Paolo piega le ginocchia, si
inginocchia per pregare. Noi sappiamo che non c’è bisogno di
inginocchiarsi per pregare, non c’è bisogno di un luogo apposito
per pregare, non c’è bisogno di candele, non c’è bisogno di
simboli, ecc. ecc.
Possiamo
pregare in cucina, sotto la doccia, sul treno, ovunque…; possiamo
pregare seduti, in piedi, anche coricati, magari prima di dormire.
Tutto
vero, ma questa affermazione dell’apostolo fa riflettere: a furia
di “non c’è bisogno di questo, non c’è bisogno di quello...”,
“possiamo pregare anche qui, possiamo pregare anche lì”… non
rischiamo di banalizzare la nostra preghiera?
In
fondo, pregare non è come andare a prendere un caffè, per quanto
sia piacevole prendere un caffè… Il gesto dell’apostolo di
inginocchiarsi esprime la volontà di affermare che quel momento non
è uguale agli altri momenti delle nostre giornate, è un gesto per
rendere quel momento diverso dagli altri.
Perché
è un momento speciale, è un momento con Dio, e – se possibile,
ovviamente – che sia un momento speciale deve anche vedersi. Con un
gesto, un segno, un simbolo. Per esempio, l’inginocchiarsi
coinvolge nella preghiera anche il nostro corpo.
Se
ci pensate, istintivamente quando preghiamo tendiamo a chiudere gli
occhi e a congiungere le mani. Già questo è un segno che il nostro
corpo partecipa nella nostra preghiera. L'inginocchiarsi intensifica
questi gesti in cui si dice anche con il proprio corpo che quel
momento non è come gli altri, che quel dialogo che è la preghiera
non è come altri dialoghi.
Non
vi chiedo – e non chiedo nemmeno a me stesso – di inginocchiarmi
da ora in poi ogni volta che preghiamo. Mi basta riflettere insieme a
voi sul modo in cui preghiamo.
2.
veniamo ora al contenuto della preghiera: l’apostolo per le sue
sorelle e i suoi fratelli di Efeso a Dio chiede:
-
che lo Spirito dia loro forza
-
che Cristo abiti nei loro cuori
-
che siano radicati nell’amore e possano essere «capaci di
abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza,
l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo» e di «conoscere»
questo amore che «sorpassa ogni conoscenza».
-
l’obiettivo finale è di essere «ricolmi di tutta la pienezza di
Dio».
Un
linguaggio non tipicamente paolino, e questo è una delle ragioni che
spingono molti studiosi a dire che questa lettera non è di Paolo ma
di un suo allievo, che appartiene a un’altra generazione che ha un
suo proprio linguaggio, più vicino alle mentalità greca.
Le
prime due richieste sono simili: si invoca l’azione dello Spirito
chiamato a dare forza ai cristiani di Efeso e si chiede che Cristo
abiti nei cuori dei credenti.
Tutta
la preghiera intende rafforzare la fede di questi credenti, in
particolare la richiesta che Cristo abiti nei loro cuori non è una
richiesta che riguarda le emozioni o i sentimenti, come potrebbe far
pensare a noi moderni la parola cuore.
Il
cuore è nella cultura ebraica la sede non dei sentimenti, ma della
volontà e dunque che Cristo abiti nei nostri cuori significa che la
nostra volontà sia trasformata e resa sempre più simile a quella di
Cristo.
Potremmo
dire che l’apostolo prega affinché questi credenti arrivino sempre
più a volere ciò che Cristo vuole, a far prevalere la volontà di
Dio sulla loro volontà.
Questa
è la loro forza, la fede che porta a volere ciò che Dio vuole.
La
seconda richiesta è che gli Efesini conoscano l’amore che è stato
rivelato in Cristo. Il termine conoscenza – in greco: gnosi – è
tipico della filosofia greca, in cui c’erano alcune correnti che
cercavano una sorta di salvezza nella propria conoscenza, nella
conoscenza di certi misteri di cui solo essi sapevano.
È
quindi importante che l’apostolo scriva qui che ciò che conta è
conoscere l’amore di Cristo e tutta la sua «larghezza, la
lunghezza, l'altezza e profondità» e che questa conoscenza, la
conoscenza dell’amore di Cristo, sorpassa ogni altra conoscenza.
Questo
è fondamentale che un cristiano conosca: l'amore di Cristo, l'amore
che Dio ha avuto per lui mandando suo figlio Gesù Cristo. Tutto il
resto è secondario. Questa è la conoscenza cristiana: la conoscenza
dell’amore di Cristo.
Ma
la conoscenza dell’amore di Cristo non è una conoscenza teorica; è
conoscere, cioè sapere, di essere amati. La parola “amore”
(agape) torna tre volte in pochi versetti e l’apostolo afferma che
è necessario essere radicati e fondati in questo amore, ovvero
questo amore è la radice e il fondamento della nostra vita e della
nostra fede.
Dobbiamo
ricordare che la lettera agli efesini è quella in cui il suo autore
usa quella bellissima immagine dell’azione di Dio in Cristo come la
demolizione del muro che separava ebrei e pagani. Per questo afferma
che tutte le famiglie prendono nome o derivano dal padre, per
affermare una unità di tutta l’umanità, che è stata creata da
Dio.
In
Cristo Dio ha amato tanto gli ebrei, il popolo che aveva scelto molti
secoli prima, quanto i pagani, anch’essi destinatari dell’evangelo
della grazia. L’amore di Dio in Cristo fa crollare muri, l’umanità
senza amore costruisce muri.
È
questo l’amore che gli Efesini conoscono, che hanno sperimentato in
quanto ex pagani, hanno visto crollare quel muro che separava ebrei e
pagani e hanno vissuto la nuova realtà che Dio ha realizzato in
Cristo, «lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto
il muro di separazione», aveva detto al cap. 2.
Questa
è la prima e essenziale conoscenza cristiana: che Dio ci ama, che
questo amore non è un generico sentimento di Dio nei nostri
confronti, ma è amore che fa crollare muri, che fa incontrare, che
crea relazioni, di più: che crea comunione.
Questa
conoscenza sorpassa ogni altra conoscenza, il che non vuol dire
banalmente saperne più degli altri, ma significa che siamo chiamati
a vivere secondo questa conoscenza, secondo questa fede potremmo
dire, conoscendo che prima viene l’amore, l'amore di Dio per noi e
per il prossimo, e quindi il nostro amore per il prossimo, perché il
muro che mi separava da lui è crollato. E poi viene tutto il resto.
Chi
sa questo è «ricolmo di tutta la pienezza di Dio», strana
espressione che probabilmente significa che l’amore di Dio ci
riempie, riempie la nostra volontà, i nostri sentimenti, la nostra
intelligenza, la nostra cultura, la nostra fantasia… l’amore di
Dio vuole riempire tutta la nostra vita e orientare tutta la nostra
esistenza.
Prima
l’amore: per la nostra fede significa: prima l’amore di Dio, cioè
prima la grazia. E per la nostra vita quotidiana significa: prima
l’amore per il prossimo e poi il resto.
L’apostolo
scrive e crede questo e per questo conclude la sua preghiera con la
lode: «Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi,
fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui
sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei
secoli dei secoli»
Dio
può fare infinitamente di più di ciò che domandiamo e pensiamo. Il
suo amore è infinitamente più grande di quanto pensiamo o
meritiamo.
A
lui che ci ama, e che ci insegna ad amare, sia la gloria nei secoli
dei secoli. Amen
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