RICORDANDO
PIETRO E PAOLO
Testi
delle letture : Gal
1,11-20; Mt 16,13-20
Mt
16 13 Gesù andato dalle parti di Cesarea di Filippo,
domandò ai suoi discepoli: “La gente chi dice che sia il Figlio
dell’uomo?” 14 E quelli: “Alcuni Giovanni il
Battista, altri invece Elia, altri ancora Geremia o uno dei profeti”.
15 Dice a loro” “E voi, chi dite che io sia?” 16
Rispose allora Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio che vive”. 17 Gesù gli disse: “Beato te, Simone
figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato,
ma il Padre mio che è nei cieli. 18 Io allora ti dico che
tu sei Pietro e su tale pietra edificherò la mia Chiesa: le porte
dell’Ade non prevarranno su essa. 19 A te darò le
chiavi del regno dei cieli: ciò che leghi sulla terra sarà legato
nei cieli; ciò che sciogli sulla terra sarà sciolto nei cieli”.
20 A quel punto dà ordine ai discepoli di non dire ad
alcuno che egli è il Cristo.
Care
sorelle e cari fratelli,
I
testi che abbiamo appena letto ci parlano di due figure importanti
della Chiesa. Le chiese ortodosse come anche quelle cattoliche
celebravano ieri – lo sapete – la festa dei due apostoli Pietro e
Paolo, colonne della Chiesa di Cristo. Da noi non è abitudine
celebrare le feste di santi; non lo farò quindi nemmeno io. Ritengo
tuttavia importante di non tacere semplicemente queste memorie,
sotto il pretesto che l’onore vada tutto al solo Cristo. Il Nuovo
Testamento contiene molti testi che parlano di queste figure;
questi testi ci devono interpellare come gli altri. Ci dovrebbe
comunque interrogare il fatto che dal iv
secolo almeno, cioè da più di 1500 anni (!), si faccia memoria, in
Oriente e in Occidente, del martirio di Pietro e di Paolo il 29
giugno. Si tratta forse della cristianizzazione di una festa
pagana romana che ricordava i fondatori di Roma, Romolo e Remo.
Quando Roma divenne cristiana, si pensò di non celebrare più i
fondatori della Roma pagana, ma Pietro e Paolo, fondatori della
Roma cristiana, non con la loro predicazione, poiché vi erano
già dei cristiani a Roma quando essi vi arrivarono, ma con il loro
martirio.
Il
testo che più c’interpella è quello che abbiamo appena riletto
nell’Evangelo secondo Matteo. È stato l’oggetto di molte
interpretazioni e polemiche sul ruolo di Pietro nella Chiesa. Vi ho
aggiunto il testo che ricorda la vocazione di Paolo che mostra
l’importanza dell’opera di Dio in questa vocazione. Se dunque la
vocazione, il ministero e la morte di questi due apostoli sono
importanti per Dio, essi non devono lasciarci indifferenti. Non ci
parlano di un potere dato a loro, ma la loro vita, dalla chiamata
alla morte, ci racconta Dio che li ha chiamati, ciascuno a suo
modo.
Siccome
conosciamo solitamente meglio Paolo, a causa delle sue numerose
lettere e perché è stato privilegiato nelle chiese della
Riforma, mi fermerò oggi su Pietro sul quale siamo più sospettosi a
causa del ruolo che ha assunto nella Chiesa cattolica e nella
costruzione della figura del papa, in cui, non dimentichiamolo,
alcuni riformatori non esitarono a vedere il diavolo in persona.
Vorrei
soprattutto rilevare un grande paradosso. Se esaminiamo la vita di
Pietro, com’è descritta dagli evangeli, dobbiamo riconoscere che
non fa bella figura. Più volte gli viene rinfacciata la sua
poca fede, una volta, addirittura, Gesù lo riprende severamente
dandogli del “Satana” perché si era opposto all’annuncio
che Gesù dava della sua passione. Qualche volta, mentre qualcosa di
Gesù gli è rivelato, come in occasione della Trasfigurazione o al
Getsemani, anziché restare ben sveglio, dorme. È pure lui che lo
rinnega davanti a gente di cui non ha gran che da temere. E quando le
donne annunciarono che Gesù era risorto, non lo credette e davanti
alla tomba vuota rimase perplesso.
Sappiamo
ancora che ha avuto una lite forte con Paolo a Antiochia, dove si era
comportato in modo ipocrita, facendo credere a cristiani di
origine ebraica, piuttosto tradizionalisti, che non si era mescolato
a cristiani di origine pagana, mentre in realtà aveva abbandonato
l’assemblea in cui si trovava appena aveva saputo dell’arrivo
di quei cristiani tradizionalisti.
Come
allora è proprio a questo discepolo che Gesù dice: “Tu sei Pietro
e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’Ade
non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei
cieli…”?
Questa
parola, l’abbiamo sentito, è detta a Pietro subito dopo che ha
confessato che Gesù era il Cristo, il Figlio di Dio, per cui è
interpretazione tradizionale, da Giovanni Crisostomo ai riformatori,
e spesso fra i commentatori protestanti, il dire che la “roccia”
su cui Gesù costruisce la sua Chiesa non è Pietro, ma la sua
fede, fede che gli è stata data da Dio: “Beato te, Simone
figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno
rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt 16,17). Molti
commentatori però, fra i quali anche protestanti, sottolineano che
Gesù non dice: “sulla tua fede edificherò la mia Chiesa”,
bensì: “su di te, Pietro”, giocando anche sul suo nome: Kefa
che, in aramaico, è nome proprio o nome comune per “roccia”,
gioco di parole un po’ più debole in greco e in italiano, tra
Pietro e “pietra”.
Ritorna
allora la domanda: perché proprio lui? Vorrei sottolineare tre
elementi.
Il
primo è che Gesù non fa di
Pietro il costruttore della chiesa. Gesù rimane l’autore
di questa costruzione. Dice infatti: “Su di te io
edificherò la mia Chiesa”. È quanto conferma il libro
degli Atti degli Apostoli dove si legge più volte che “il Signore
aggiungeva alla comunità quelli che trovavano la via della
salvezza”. È dunque chiaramente il Cristo che costruisce la
Chiesa, non Pietro, non gli apostoli e neanche noi. Questo è
importante, soprattutto quando, come noi in questi tempi, si fa parte
di una comunità estremamente minoritaria che rischia di essere presa
dalla disperazione nel vedere le sue file assottigliarsi. La
costruzione è in mano al Signore, facciamogli fiducia, saprà
guidare la sua Chiesa là dove la vuol condurre. Notiamo però che
non è affatto detto che quella meta corrisponda all’idea che ci
facciamo del punto dove dobbiamo andare: potrebbe anche darsi che il
Signore non voglia che perduri eternamente la divisione fra i
cristiani, e che allora dobbiamo trovare il modo di vivere la nostra
fede cristiana insieme con gli altri, che ora non professano la
nostra stessa identica fede, ma con i quali, comunque, ciò che
possiamo vivere insieme è di lunga più importante di ciò che ci
divide.
La
seconda cosa che vorrei sottolineare è che Gesù
parla del solo Pietro, non di successori! A Cesarea di
Filippo Gesù non ha fondato il papato! Ciò che invece il Signore
dice è che ogni Chiesa, in ogni tempo e in ogni luogo, e dunque
anche la nostra comunità di Biella, come pure la diocesi di Biella,
o ancora le comunità copta o ortodossa che vivono qui, tutte queste
comunità sono state edificate dal Cristo su Pietro. Ancora qui
abbiamo di che riflettere: se siamo edificati dal medesimo
Signore sullo stesso apostolo Pietro, perché mai continuiamo ad
essere divisi? Forse perché vorremmo una Chiesa perfetta,
mentre Gesù ci ricorda che ci costruisce su Pietro, quel apostolo di
cui dicevo che non fa bella figura!
Questo
ci conduce al terzo elemento che volevo sottolineare: Pietro,
dicevamo, fa brutta figura.
Non sembra un modello convincente. Ma proprio
per questo Gesù ha scelto di edificare la sua Chiesa su di lui,
il timorato, preso dal panico, rinnegatore, di poca fede: perché,
propria a causa di questi suoi difetti, farà la grande esperienza di
non poter vivere se non grazie al perdono di Cristo. Questa fu
la sua grande esperienza pasquale. Questo fatto ci deve ricordare che
la Chiesa può vivere solo del perdono di Cristo e che quindi non ha
altro messaggio da annunciare al mondo in cui vive se non quello
della misericordia e del perdono senza confini di Dio.
Proprio
in questo perdono, accolto e annunciato, la Chiesa, le Chiese trovano
la loro gioia. È anche in esso che troveranno la loro unità. Il
Signore ci conceda il suo Spirito perché sappiamo trovare la strada
sulla quale il Signore vuol farci camminare. A lui la gloria e la
lode, ora e sempre.
Amen
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