domenica 1 novembre 2020

Predicazione di domenica 1 novembre 2020 (Domenica della Riforma) su Matteo 10,26-33 a cura di Marco Gisola

 Matteo 10,26-33

26 Non li temete dunque; perché non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto. 27 Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti. 28 E non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna. 29 Due passeri non si vendono per un soldo? Eppure non ne cade uno solo in terra senza il volere del Padre vostro. 30 Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31 Non temete dunque; voi valete più di molti passeri.
32 Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli. 33 Ma chiunque mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io rinnegherò lui davanti al Padre mio che è nei cieli.



Gesù ha appena inviato i suoi discepoli in missione e, mentre dà loro il compito che devono svolgere, li avverte anche delle difficoltà a cui andranno incontro. Questa parte del vangelo di Matteo inizia infatti al principio del capitolo con l’invio dei discepoli a predicare il regno di Dio accompagnato dalle famose parole di Gesù: «vi mando come pecore in mezzo ai lupi».

Quando ho riletto per la prima volta il testo di oggi, alcuni giorni fa, ho pensato che per fortuna oggi qui in Europa come cristiani non abbiamo nulla da temere. Noi evangelici in Italia abbiamo alcune difficoltà sul piano della laicità dello Stato, ma non incontriamo ostilità, casomai la difficoltà più grossa che incontriamo è il fatto che molti non sanno nemmeno che esistiamo…

Poi giovedì è accaduto l’attentato di Nizza, e ho visto che invece ci sono dei cristiani che, anche qui in Europa, hanno motivo di avere paura, anche se non si tratta di persecuzioni ma di fanatismo, e anche se l’attentatore ha scelto le sue vittime a caso tra coloro che erano in chiesa in quel momento e ce l’aveva più con la cultura occidentale che con la religione cristiana.

Mi sembrava giusto iniziare con un pensiero per le vittime di questo e di altri attentati simili e una preghiera per tutti i loro cari che sono nel lutto. E un pensiero anche a quei cristiani che invece sono davvero perseguitati in diversi paesi del mondo.

Per queste persone che soffrono e per quelle che sono state uccise vale la promessa che qui fa Gesù ai suoi discepoli: «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli».



A noi discepoli e discepole di Gesù mi sembra che queste sue parole dicano tre cose:

1. La prima è appunto «non temete». Nelle parole di Gesù questa esortazione «non temete» torna tre volte, quasi fosse un ritornello. La paura è un sentimento molto umano, ed è anche uno dei sentimenti più comuni, tutti hanno paura di qualcosa.

Oggi abbiamo tutti paura del coronavirus, e per alcune persone questa paura è diventata un tormento che ha tolto ogni serenità.

La paura di cui parla Gesù è paura della persecuzione e della morte a causa della persecuzione. Gesù non dice loro “non vi preoccupate, non vi succederà nulla”. Anzi, la morte è una possibilità che qui è esplicitamente considerata. Gesù dice loro di non avere paura di chi può uccidere il corpo ma non può uccidere l’anima.

La parola tradotta con “anima” (in greco Psyché) significa in primo luogo respiro e quindi ha il significato di vita. Parla cioè di una vita che è qualcosa di più e di diverso del corpo. La mentalità ebraica non separa corpo e anima – questa è la cultura greca – ma pensa piuttosto che vi sia un corpo che ha respiro e quindi che ha vita.

Del resto ricordate il racconto della creazione, in cui Dio plasma l’essere umano con la terra e poi soffia il suo spirito dentro di lui, gli dà respiro e quindi gli dà vita.

Potremmo quindi parafrasare dicendo che Gesù dice: non abbiate paura di chi può togliervi la vita biologica, ma non può togliervi la vita con Dio. E mentre dunque è un invito a non avere paura, è anche una promessa, la promessa che quella vita con Dio nessuno ce la toglie, perché Dio ce la conserva.

C’è poi, invece, l’invito a temere Dio. Qui temere non vuol dire avere paura, il timor di Dio che ricorre tante volte nella Bibbia non è paura: temere Dio significa riconoscere la sua grandezza e la sua autorità, riconoscere che Dio è Dio e noi siamo le sue creature, riconoscere la nostra piccolezza e la sua misericordia.

Quando, per paura, ci arrendiamo davanti a chi è più forte di noi e usa la sua forza contro di noi, indirettamente, anche solo per paura, riconosciamo la sua autorità. Temere Dio significa invece riconoscere che l’autorità di Dio è maggiore dell’autorità di chi ci vuole fare paura e che quindi possiamo non avere paura.

2. La seconda cosa che dice Gesù in queste parole è «predicate!»: ditelo nella luce, predicatelo sui tetti. Che poi in realtà per importanza è la prima cosa, è la ragione per cui i discepoli rischiano la vita.

Lo aveva detto subito ai discepoli quando li aveva inviati in missione: «andate […], predicate e dite: il regno dei cieli è vicino» (10,7). Rischi o non rischi, persecuzioni o non persecuzioni questa è comunque la ragione per cui i discepoli vengono inviati, la ragion d’essere della chiesa: la predicazione dell’evangelo del regno.

Perché Gesù dice: «Quello che io vi dico nelle tenebre, ditelo nella luce; e quello che udite dettovi all’orecchio, predicatelo sui tetti»? A che cosa si riferisce?

Qui c’è da dire che i racconti dell’invio in missione dei discepoli sono una anticipazione della missione degli apostoli che avrà luogo dopo Pasqua, dopo la resurrezione di Gesù. È molto improbabile che Gesù abbia davvero inviato i suoi discepoli in missione mentre era ancora vivo.

Dobbiamo quindi chiederci che cosa è che è nascosto durante il ministero di Gesù e che andrà invece annunciato a tutti dopo Pasqua? Per ora è nascosto il fatto che Gesù è il figlio di Dio; viene detto qua e là, ma non è ancora di dominio pubblico, perché quando sarà detto pubblicamente, Gesù sarà preso e crocifisso, perché molti penseranno che Gesù sia un impostore e penseranno solo a metterlo a tacere.

E quindi anche la croce a questo momento del ministero di Gesù è ancora nascosta. Gesù annuncerà ai suoi discepoli che deve morire solo più tardi, e la croce sarà, più di ogni altro, il momento in cui il fatto che Gesù è figlio di Dio è nascosto. La croce è il momento in cui è meno evidente che Gesù è il figlio di Dio.

Potremmo dire che ciò che è nascosto è Dio! È Dio che si è “nascosto” in Gesù, nella sua umanità, nella sua debolezza, nel suo lasciarsi consegnare a chi lo crocifiggerà, nel suo non opporsi a Giuda che lo tradirà e a quelli che verranno per arrestarlo, insomma: nella croce.

Dopo la sua resurrezione invece, quando i discepoli saranno davvero inviati a predicare in tutto il mondo, allora dovranno dirlo a tutti, gridarlo sui tetti, dirlo alla luce del sole e nelle piazze, che Gesù è il figlio di Dio, a partire da Gerusalemme e poi in tutto il mondo.

«Predicate!», ditelo che nascosto in Gesù c’era e c’è proprio Dio, il creatore del cielo e della terra, ditelo che in lui è Dio che viene a guarire e a perdonare, a liberare e a riconciliare. Dirlo, dire questo, è il primo compito della chiesa e la sua ragion d’essere.

3. E infine la terza cosa che Gesù dice ai suoi discepoli e a tutti noi è «valete»: «voi valete più di molti passeri». La frase che dice Gesù, che non cade un passero senza il volere del Padre, non vuol dire che Dio si diverte a far cadere i passeri, ma al contrario è un modo per dire che Dio si occupa persino dei passeri, che al mercato costavano due soldi, che erano il cibo dei poveri, che li compravano al mercato per nutrirsene spendendo poco.

Ciò che vuole dirci Gesù è che se Dio si occupa persino dei passeri, che valgono due soldi, a maggior ragione si occupa di noi che valiamo molto di più di un passero.

Per Dio noi valiamo, siamo preziosi, perché Dio ci ama. Anche questo va detto, anche questo fa parte dell’evangelo, della buona notizia che Gesù ci porta: siamo preziosi agli occhi di Dio, così preziosi che ha dato il suo figlio Gesù per noi.

E ai suoi discepoli e alle sue discepole ha lasciato l’incarico di dirlo, di gridarlo sui tetti, di non tenerlo nascosto che siamo preziosi agli occhi di Dio, che Egli ci ama e che per lui non c’è nessuno che non vale niente.

E che se ci sono degli esseri umani che pensano che qualcuno non valga niente o valga meno, che non abbia gli stessi diritti degli altri, noi siamo inviati a dire che invece per Dio non è così, che per Dio tutti e tutte noi valiamo, «valete più di molti passeri», siamo preziosi ai suoi occhi.

Oggi è la domenica della Riforma, e vogliamo quindi ricordare che, grazie ai Riformatori, oggi e ogni domenica possiamo e dobbiamo dire e ripetere ciò che dice la Bibbia, ciò che annuncia l’evangelo: predicate, non temete, perché valete.

Ringraziamo il Signore che 500 anni fa ha mandato i Riformatori a dire e a fare queste cose. Loro hanno predicato, non hanno temuto e non hanno ceduto a chi chiedeva loro di ritrattare, hanno annunciato l’evangelo della grazia che ci dice che valiamo, che siamo preziosi agli occhi di Dio che ci ama così tanto che per la nostra salvezza ha mandato suo figlio in mezzo a noi.

E chiediamo al Signore di aiutarci a predicare lo stesso evangelo, senza cedere alla stanchezza o all’indifferenza, e di continuare a dire ad alta voce a tutti gli esseri umani ciò che forse per alcuni è ancora nascosto o dimenticato, è cioè che siamo preziosi agli occhi di Dio, che ci ama e ci offre una vita nuova nel segno della sua grazia.

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