lunedì 16 novembre 2020

Predicazione di domenica 15 novembre 2020 su Luca 16,1-13 a cura di Marco Gisola

Luca 16,1-13

1 Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: «Un uomo ricco aveva un fattore, il quale fu accusato davanti a lui di sperperare i suoi beni. 2 Egli lo chiamò e gli disse: "Che cos’è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più essere mio fattore". 3 Il fattore disse fra sé: "Che farò, ora che il padrone mi toglie l’amministrazione? Di zappare non sono capace; di mendicare mi vergogno. 4 So quello che farò, perché qualcuno mi riceva in casa sua quando dovrò lasciare l’amministrazione". 5 Fece venire uno per uno i debitori del suo padrone, e disse al primo: "Quanto devi al mio padrone?" 6 Quello rispose: "Cento bati d’olio". Egli disse: "Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: cinquanta". 7 Poi disse a un altro: "E tu, quanto devi?" Quello rispose: "Cento cori di grano". Egli disse: "Prendi la tua scritta, e scrivi: ottanta". 8 E il padrone lodò il fattore disonesto perché aveva agito con avvedutezza; poiché i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce.

9 E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nelle cose minime, è fedele anche nelle grandi; e chi è ingiusto nelle cose minime, è ingiusto anche nelle grandi. 11 Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? 12 E, se non siete stati fedeli nei beni altrui, chi vi darà i vostri? 13 Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona».



Il personaggio che Gesù ci fa incontrare nella parabola di oggi ci riesce piuttosto antipatico. E tutta la parabola ci suona un po’ strana, inconsueta rispetto alle altre parabole di Gesù. Diciamo pure che non dice quello che vorremmo sentirci dire.

Qui non si parla di amore, di perdono, di grazia, di condivisione… si parla di avvedutezza, ma potremmo anche dire di astuzia. Gesù ci invita oggi ad essere astuti.

Rivediamo un attimo la storia: un padrone – che è padrone di quella che oggi chiameremmo una grossa azienda, con un fatturato molto alto ha un fattore, che potrebbe essere quello che oggi si chiama amministratore delegato.

Il padrone scopre che questo amministratore sperpera i suoi beni – non è detto che ruba, è detto che sperpera – e decide di licenziarlo. Glielo comunica e gli chiede di rendere conto della sua amministrazione, ovvero quest’uomo deve portargli le carte con la situazione di bilancio.

Quell’uomo si sente perso: sta per perdere il lavoro, non può o non vuole andare a zappare la terra e si vergogna di chiedere l’elemosina.

Allora escogita uno stratagemma: convoca i debitori del suo padrone e fa loro uno sconto sul debito, modifica le cifre che costoro devono al suo padrone. Così facendo spera che queste persone lo aiutino quando sarà senza lavoro, che lo ospitino nelle loro case.

Venuto a sapere questo il padrone lo loda, perché ha agito «con avvedutezza». A prima vista, non si capisce bene perché il padrone lo lodi, visto che in teoria gli ha fatto perdere dei soldi.

Potrebbe anche darsi invece che quei debitori non potessero pagare il loro debito e ricevendo uno sconto, riescono invece a pagarlo. In questo senso il padrone incassa almeno qualcosa e questa sarebbe una ragione per lodare l’astuzia dell’amministratore.

Ma, sia come sia, in ogni caso la parabola pone l’avvedutezza di quest’uomo ad esempio. E conclude dicendo che «i figli di questo mondo, nelle relazioni con quelli della loro generazione, sono più avveduti dei figli della luce». È insomma una critica ai credenti che non sono abbastanza avveduti, mentre gli altri lo sono di più.

Ora, non capiremmo questa strana parabola se non tenessimo conto di un fattore importante nel racconto: il tempo. L’amministratore ha poco tempo, pochissimo tempo. Deve salvare il suo futuro e ha pochissimo tempo per trovare il modo per farlo.

E lo trova questo modo, è sufficientemente avveduto da trovarlo. Lo trova rimanendo nella logica di un amministratore, abituato a maneggiare molto denaro, che deve evitare di diventare un mendicante. E che quindi usa la sua capacità e la sua avvedutezza o astuzia, continuando a maneggiare il denaro del suo padrone – finché può, perché poi sarà licenziato.

I biblisti ci dicono che la parola tradotta con “avvedutezza” implica la lucidità di avvertire la gravità della situazione in cui ci si trova e la prontezza nel cercare una soluzione e anche il coraggio di prendere decisioni. Questo fa l’amministratore avveduto o astuto: capisce che gli resta poco tempo e che l’unica cosa che può utilizzare sono i debiti del suo padrone a cui deve rendere conto.

Questa parabola ci proietta quindi in quelli che si chiamano gli ultimi tempi, che a noi dopo duemila anni non sembrano ultimi, ma lo sono, perché come diceva il testo di domenica scorsa il giorno del Signore viene come un ladro nella notte.

E che cosa fa l’amministratore astuto quando capisce che ha poco tempo? E qui siamo al culmine della parabola: Cerca di farsi degli amici. A noi sembra strano questo modo di farsi degli amici, ma dobbiamo appunto rimanere dentro la logica della parabola e non uscirne per dare i nostri giudizi.

Quest’uomo, che magari continua a rimanerci antipatico, coglie che sta vivendo un momento unico e ultimo e lo usa per farsi degli amici. Momento unico perché c’è pochissimo tempo, ultimo perché quel momento non torna.

Dunque cerca di farsi degli amici. E come fa? Dà! Dona, dona denaro – voi direte: bella roba: dona denaro non suo…! - Sì è vero, ma quel denaro che ha nelle mani (ancora per poco) non lo prende per sé, bensì lo dona. Potremmo dire: investe in amicizia.

Ecco che cosa siamo chiamati a fare negli ultimi tempi, anche se durano ancora a lungo: investire in amicizia, in relazioni. Dare per farci degli amici. Questa è l’astuzia dell’amministratore e il culmine della parabola.

E poi c’è il commento di Gesù. Qual è il commento che Gesù fa dopo aver raccontato la parabola? «E io vi dico: fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne».

Perché definisce ingiuste le ricchezze? Per rispondere, vediamo cosa dice ancora dopo: «Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere?» e poi aggiunge la famosa frase «non potete servire Dio e Mammona».

Le ricchezze ingiuste non sono contrapposte a quelle giuste, ma a quelle «vere». In qualche modo, sembra dire Gesù, tutte le ricchezze sono ingiuste, forse perché dietro la ricchezza di qualcuno c’è sempre la povertà di qualcun altro.

E soprattutto sono finte, finte perché non durano e finte perché falsificano la realtà, ce la fanno vedere in modo diverso da come essa è agli occhi di Dio. È dunque delle ricchezze vere che ci dobbiamo occupare, è nelle ricchezze vere che dobbiamo investire.

Queste frasi sono chiavi di lettura che Gesù stesso ci dà per capire la parabola. L’amministratore ha sempre lavorato con e per delle ricchezze ingiuste, materiali, per Mammona. Solo in quel tempo unico e ultimo che gli viene dato prima del licenziamento capisce che le ricchezze «vere» sono altre, gli amici. Le persone. Gli esseri umani. In una parola: le relazioni.

Gesù sembra dirci: siate astuti come l’amministratore della parabola, non nel senso di maneggiare denari altrui in modo scaltro… non è in questo l’esempio di quell’uomo. L’esempio è nel capire il tempo in cui viviamo e in questo tempo usare le ricchezze materiali (poche o tante non importa) per farci degli amici, ovvero per curare e investire nelle relazioni.

E per fare questo bisogna imparare a dare, a non tenere – l’amministratore astuto lo ha capito, all’ultimo ma lo ha capito. Lui lo ha fatto per opportunismo, noi ovviamente siamo chiamati a farlo per altre, ben più profonde ragioni. Per servire Dio anziché mammona; e usare quel poco di Mammona che abbiamo per servire Dio nel prossimo, che non è più solo prossimo, ma diventa amico.

Finché quell’uomo serviva Mammona, investiva in Mammona per guadagnare altra Mammona, usava le ricchezze per guadagnare altra ricchezza. In quel tempo unico e ultimo che gli è dato impara a dare via Mammona per guadagnare amici.

Impara a servire il prossimo per farsi amico questo prossimo. Dà via la ricchezza ingiusta per avere quella vera.

Ci dia il Signore di saper servire lui e non Mammona, di saperlo servire nel prossimo, di imparare a dare il poco o tanto che abbiamo.

Egli ci promette che questo servizio è un investimento che dà la vera ricchezza, ed è quella vera ricchezza che Dio stesso ci dona che fa sì che il prossimo diventi amico.


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