sabato 7 novembre 2020

Predicazione di domenica 8 novembre 2020 su 1 Tessalonicesi 5,1-11 a cura di Marco Gisola

 8 Novembre 2020

1 Tessalonicesi 5,1-11

Quanto poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte. Quando diranno: «Pace e sicurezza», allora una rovina improvvisa verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno.

Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno abbia a sorprendervi come un ladro; perché voi tutti siete figli di luce e figli del giorno; noi non siamo della notte né delle tenebre. 6 Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri; poiché quelli che dormono, dormono di notte, e quelli che si ubriacano, lo fanno di notte. Ma noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell՚amore e preso per elmo la speranza della salvezza. Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò, consolatevi a vicenda ed edificatevi gli uni gli altri, come d՚altronde già fate.


Dove siamo? Probabilmente ognuno di noi è a casa propria, perché siamo di nuovo in pieno lockdown (parola che ormai conosciamo bene e che vuol dire isolamento, confinamento)...

Ma la domanda non è questa. La domanda è: dove siamo spiritualmente, dove siamo esistenzialmente; «non siete nelle tenebre», dice Paolo. Non siamo nelle tenebre, perché siamo laddove ci ha messi la grazia di Dio; dunque siamo nella luce. Anzi siamo «figli della luce e figli del giorno». Figli (e figlie, ovviamente), perché come la nostra nascita non dipende da noi ma dai nostri genitori che ci generano, così la grazia di Dio ci “genera” nella luce, ci chiama «dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1 Pietro 2,9).

L՚immagine di luce e tenebre è un’immagine antica, primordiale, comune a molte credenze e religioni. Nella Bibbia la troviamo fin dall’inizio, dal racconto della creazione, quando Dio separa la luce dalle tenebre, creando la luce.

Le tenebre infatti esprimono ciò che è sconosciuto e quindi fa paura. Noi che viviamo nella società dove la luce c’è sempre, anche di notte e basta un dito per accenderla, non ci rendiamo conto di quanto siano terribili le tenebre, soprattutto per chi, nell’antichità, viaggiava e veniva colto dal buio. Nel buio non ci si può addentrare, perché non si sa che cosa c’è, che cosa ci attende, e per questo sono spesso associate all’immagine del male. Ecco, Paolo dice: non siete lì, non siete nelle tenebre, ma nella luce, siete figli del giorno.



Ma in realtà in questo brano prima della domanda “dove siamo?”, Paolo risponde alla domanda “quando siamo?”, “in che tempo viviamo?”. O meglio non risponde, perché a quei cristiani di Tessalonica che si chiedevano quando sarebbe venuto il giorno del Signore, cioè quando sarebbe tornato Gesù, dice «non avete bisogno che ve ne scriva; perché voi stessi sapete molto bene che il giorno del Signore verrà come viene un ladro nella notte». Cioè non si sa quando verrà.

E non c’è bisogno di saperlo – dice Paolo – anzi forse è meglio non saperlo. Ciò che è importante sapere è che quel giorno verrà e che quindi noi viviamo in attesa di quel giorno. In attesa di un futuro che Dio ci ha preparato e che sarà anch’esso un dono di grazia. Tra i primi cristiani c’erano persone che erano così sicure che il regno di Dio sarebbe arrivato di lì a breve che avevano persino smesso di lavorare, perché l՚importante per loro era prepararsi al giorno del Signore.

A queste idee, Paolo contrappone un’altra idea: ci si prepara alla venuta del giorno del Signore non pensando ossessivamente ad esso, non attendendo il futuro in modo quasi fanatico, ma vivendo pienamente la propria fede e il proprio discepolato nel presente.



«Vegliamo e siamo sobri»: il quando e il dove si incontrano in questa frase. Siamo nella luce e siamo in attesa del giorno del Signore e in questo luogo – la luce – e in questo tempo – l’attesa del ritorno di Gesù -siamo chiamati a vegliare.

Nel tempo e nel luogo in cui la grazia di Dio ci ha messi, siamo chiamati a vegliare e a stare sobri, a vivere nella gratitudine e nell՚amore il presente che Dio ci dona, nella certezza che il nostro futuro è nelle sue mani misericordiose, perché «Dio infatti non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo».

Con questa promessa che riguarda il nostro futuro, individuale e collettivo, possiamo vivere sereni questa attesa del giorno del Signore e dedicarci pienamente al presente, che è tempo di luce e non di tenebre, pieno giorno e non notte buia.

Di notte, dice Paolo, molti dormono e alcuni si ubriacano. Ma non è notte, è giorno, e dunque ecco le due cose da evitare in questo “giorno” che Dio ci dona di vivere: il dormire e l’ubriacarsi. Il sonno rappresenta l’assenza, l’estraneità alla vita di questo mondo. Quando si dorme è come se non si fosse presenti; ci siamo, siamo fisicamente lì, ma non possiamo agire perché dormiamo. Un discepolo che dorme è un non-discepolo. Dio invece ci vuole svegli, vuole che vegliamo, che ci occupiamo e preoccupiamo del nostro prossimo e del mondo in cui viviamo. Svegli e attenti, e dunque responsabili.

L’ubriacarsi può invece rappresentare la fuga dalla realtà, la fuga dalla realtà vera per rifugiarsi in una finta, effimera, che dura soltanto il tempo che dura l’ubriacatura. E non solo effimera, ma anche falsata, dove le tenebre possono sembrare luce e la luce tenebre. Chi fa uso di sostanze, lo fa per uscire dalla realtà, per cercare serenità in un altrove che non esiste, in una “notte luminosa”, dove però la luce è finta e quando si spegne torna il buio più buio di prima.

Dio invece ci vuole qui, nella luce del giorno, svegli e attenti, a vivere e a camminare in questa realtà. Ci vuole nella luce perché possiamo vedere il nostro prossimo nel volto (quando uno è ubriaco, invece, vede solo più se stesso…!) e ci mettiamo al suo servizio.

La realtà – lo sappiamo bene – è spesso dura e piena di tenebre. Per questo Paolo usa un’immagine militare: «noi, che siamo del giorno, siamo sobri, avendo rivestito la corazza della fede e dell՚amore e preso per elmo la speranza della salvezza». Con quali armi siamo chiamati ad andare incontro alla realtà tenebrosa? Con la fede, l’amore e la speranza. Quelle che nella prima lettera ai Corinzi definisce le tre cose che durano. I tre “fari” che illuminano la nostra vita e spezzano le tenebre.

La corazza e l’elmo, menzionate da Paolo, in realtà non sono armi, ma sono ciò che il guerriero indossa per difendersi dai colpi dei nemici. Fede, amore e speranza sono dunque la corazza e l’elmo di cui Dio stesso ci riveste per difenderci dagli attacchi del nemico, ovvero dagli attacchi delle tenebre, che sono tutto ciò che ci separa da Dio e dal prossimo.

Fede, amore e speranza sono la nostra difesa, che però non sta nelle nostre forze o nelle nostre abilità, ma sono doni di Dio. Lui stesso ci difende, perché «non ci ha destinati a ira, ma ad ottenere salvezza per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, il quale è morto per noi affinché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui».

In questa ultima frase di Paolo il dormire non ha lo stesso significato (negativo) che aveva nella frase precedente; qui il dormire e il vegliare sono immagini dell’essere morti o viventi. Quelli che dormono, ovvero i defunti, vivono «insieme con lui», per sempre nel suo regno.

Noi invece, viviamo con lui qui ed ora, nella sua Parola e nel suo Spirito, in attesa del suo ritorno e nella luce in cui la sua grazia ci ha posti. E nella certezza che la corazza e l’elmo di cui Dio ci riveste – la fede, l’amore e la speranza che Egli ci dona - impediranno alle tenebre di vincere la luce della grazia di Dio.



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