domenica 29 novembre 2020

Predicazione di domenica 29 novembre 2020 (1 di avvento ) su Matteo 21,1-11 a cura di Marco Gisola

 1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero a Betfage, presso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2 dicendo loro: «Andate nella borgata che è di fronte a voi; troverete un’asina legata, e un puledro con essa; scioglieteli e conduceteli da me. 3 Se qualcuno vi dice qualcosa, direte che il Signore ne ha bisogno, e subito li manderà». 4 Questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta: 5 «Dite alla figlia di Sion: "Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un’asina, e un asinello, puledro d’asina"». 6 I discepoli andarono e fecero come Gesù aveva loro ordinato; 7 condussero l’asina e il puledro, vi misero sopra i loro mantelli e Gesù vi si pose a sedere. 8 La maggior parte della folla stese i mantelli sulla via; altri tagliavano dei rami dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 Le folle che precedevano e quelle che seguivano, gridavano: «Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nei luoghi altissimi!». 10 Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: «Chi è costui?» 11 E le folle dicevano: «Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazaret di Galilea».



«Chi è costui?» questa è la domanda che il testo di oggi ci pone. «Chi è costui?» chi è Gesù? Il testo che ci è proposto per questa prima domenica di avvento è un testo che non ci parla della venuta di Gesù nel mondo, ma della venuta di Gesù a Gerusalemme, dell’avvicinarsi di Gesù alla sua passione. L’ingresso a Gerusalemme è l’inizio della fine, è l’ultima tappa, la più dura del cammino di Gesù verso la croce.

Il nostro lezionario mette insieme, potremmo dire incrocia, l’inizio e la fine. Incrocia la nascita di Gesù con la sua morte, o almeno con quello che prelude, che prepara la sua morte sulla croce.

Perché questa scelta? Forse perché si vuole mostrare la coerenza dell’inizio della storia di Gesù con la sua fine. La coerenza e la continuità che legano la mangiatoia di Betlemme alla croce di Gerusalemme. Questa coerenza è la coerenza della rivelazione di Dio in Cristo, è la coerenza del “come” Dio ha voluto rivelarsi nella persona di Gesù di Nazaret.

E questa coerenza sta in due affermazioni che accompagnano Gesù dall’inizio alla fine: la prima è che Gesù è il re, ovvero il messia: lo dice in questo racconto la folla, citando il profeta Zaccaria: «Dite alla figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te». E lo dicono i magi quando cercano Gesù e dicono «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo» (Matteo 2,2).

All’inizio e alla fine Gesù è proclamato re, all’inizio dai magi d’oriente, alla fine dalla folla dei pellegrini che sale a Gerusalemme.

E la seconda affermazione è che questo re è mansueto ed umile: dalle condizioni in cui nasce – la stalla o grotta di Betlemme a, di nuovo, la profezia di Zaccaria: «Ecco il tuo re viene a te, mansueto e montato sopra un’asina».

L’asino è la cavalcatura scelta da Gesù, è l’animale che veniva usato per viaggiare e per lavorare, dalla gente comune, era una risorsa preziosa dunque per viaggiatori e per contadini. Era l’animale del tempo di pace, mentre il cavallo è l’animale che si usa per fare la guerra.

Un re nell’antichità – ma pensate ancora a Napoleone due secoli fa – era non solo colui che comandava su un popolo, ma colui che guidava il suo popolo in guerra, era il capo dell’esercito. Inoltre, un re ha un palazzo e una corte.

Gesù è un re che cavalca un asino (che non è nemmeno suo, lo ha preso in prestito...), che non ha un palazzo e nemmeno una casa, ma è perennemente viandante, che non ha un esercito e come “corte” ha i suoi sgangherati dodici discepoli, e come unica arma la sua Parola.

Un re è colui che dispone della vita e della morte dei suoi nemici e persino dei suoi sudditi. Gesù è il re che dà la sua vita non solo per i suoi “sudditi”, che non ha – ma diciamo per i suoi amici – ma darà la sua vita persino per i suoi nemici.

La tentazione è quindi di dire: allora Gesù è un finto re. I veri re sono qualcos’altro, quelli che appunto comandano e guidano il popolo in guerra, uno che non comanda, non ha un palazzo e una corte, che non guida il popolo in guerra non è re.

E invece no: Gesù non è un finto re, è un vero re. È anzi il vero re. È un re umile e mansueto, così umile che – come dice la lettera ai Filippesi – non ha considerato disdicevole prendere su di sé l’umanità ed abbassarsi così tanto fino alla morte sulla croce. Così umile che è nato in una stalla. È così umile e mansueto ma è re.

Dobbiamo tenere insieme queste due cose, altrimenti perdiamo un pezzo di Gesù, o meglio perdiamo un pezzo costitutivo della nostra fede.

Se Gesù fosse solo mansueto e non è re, sarebbe un bellissimo esempio di un’umanità mite e generosa, pacifica e nonviolenta – e ce ne vorrebbero tanti di esseri umani così! - ma non sarebbe il nostro Signore. Sarebbe uno di noi, un po’ meglio o molto meglio di noi, ma uno di noi. Non sarebbe il figlio di Dio che il Padre ha mandato nel mondo.

E se Gesù fosse solo re e non mansueto, di nuovo non sarebbe il figlio di Dio che il Padre ha mandato nel mondo, perché Dio ha scelto di rivelarsi proprio così, proprio come re mansueto, ha deciso proprio di regnare attraverso la mansuetudine di Gesù, che si è fatto così umile fino a donarsi per noi, e d’altro canto ha proprio scelto di regnare davvero attraverso la mansuetudine di Gesù.

Perché la mansuetudine di Gesù, ovvero la grazia di Dio, l’amore che Dio ci ha manifestato in Gesù, ha il potere di trasformare i cuori e le coscienze, ha il potere di indicare nuove strade all’umanità, strade su cui si può scegliere la riconciliazione anziché il rancore, il servizio anziché il dominio, il dono anziché il possesso.

Ha questo potere questo re mansueto, potere che non si impone ma si propone, che non costringe ma vuole convincere, cioè convertire. E che può essere respinto, come è avvenuto pochi giorni dopo, quando la stessa folla che qui grida “osanna!” griderà “Crocifiggilo!”. Quindi è mansueto ed è re. È re ed è mansueto.

Forse la parola “re” non ci piace, non piace nemmeno a me, non la usiamo quasi mai nella nostra liturgia, preferiamo invocarlo come “Signore”, ma in fondo è la stessa cosa.

E sappiamo che di Dio si può parlare solo per immagini e per metafore e questa immagine del re esprime bene la relazione che può esserci tra noi e Dio, ci dice che lui è lassù e noi quaggiù (anche lassù e quaggiù sono metafore, ovviamente), e che noi da quaggiù non possiamo salire lassù, e dunque, in Cristo, lui è sceso in mezzo a noi, per regnare.

Per regnare senza palazzo, senza trono, senza corte, senza esercito, ma a regnare, su di noi che siamo i suoi sgangherati e contraddittori discepoli e discepole di oggi. A regnare con l’unica arma che continua ad avere: la sua parola.

C’è ancora una cosa che possiamo aggiungere a proposito della folla: la folla fa proprio quell’errore che dicevamo prima: vuole un re, un re tradizionale, non il re mansueto che è Gesù. Lo acclama, sì, con le parole di Zaccaria, che parla del re mansueto, ma poi vuole un re vero secondo i criteri umani, non un re vero secondo Dio.

Vuole un re che instauri un regno, che cacci i romani, vuole un re che trionfi. Gesù non instaurerà un regno, non caccerà i romani, non trionferà ma – ad occhi umani – soccomberà. Il suo trono sarà la croce. Il suo “potere” sarà manifesto solo a Pasqua, ma anche lì solo a coloro a cui il risorto vorrà rivelarsi. Non sarà evidente a tutti.

Ma anziché criticare la folla, dobbiamo imparare a non fare lo stesso errore. La folla riconosce in Gesù il messia, il re e il profeta, ma non il messia e il re che Dio ha mandato in Gesù. Cioè si può dire la cosa giusta e pensare e credere quella sbagliata.

Si può acclamare la mansuetudine di Gesù ma desiderare il trionfo di Gesù; e chi desidera il trionfo di Gesù, desidera in fondo il proprio trionfo.

Si può dire la cosa giusta e pensare e credere quella sbagliata. E dunque non riconoscere chi è veramente Gesù.

Chi è costui? Questa è la domanda che ci pongono i vangeli e tutto il Nuovo Testamento dalla prima all’ultima pagina.

Anche il neonato Gesù di cui attendiamo la venuta in questo tempo di avvento è il re. Re mansueto, debole, in pericolo appena nato, a causa della gelosia del “vero” re secondo gli esseri umani, Erode.

Questo re mansueto desidera regnare su di noi e per farlo ha percorso la strada fino alla croce. Lo ha fatto per noi, per la folla che lo acclamava, l’ha fatto anche per la folla che gridava “Crocifiggilo!”, ed anche per chi lo ha crocifisso.

Il re mansueto è il re crocifisso, è il re nato non nel palazzo di Gerusalemme ma nella stalla di Betlemme. Questo re desidera regnare su di noi; e poiché non è il re che la folla voleva ma è il re che Dio vuole non ci chiama sudditi, ma ci chiama amici e ci chiama fratelli e sorelle.

Vuole regnare su di noi con la sua parola e ci chiede di seguirlo per fede sulla strada della mansuetudine, non ci dona potere e non ci dona trionfi, ma ci dona amore e ci dona speranza. Ecco chi è costui.





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