domenica 5 dicembre 2021

Predicazione di domenica 5 dicembre 2021 (2a di avvento e Domenica della Diaconia) su Rut 1,1-17 a cura di Marco Gisola

 Rut 1,1-17

1 Al tempo dei giudici ci fu nel paese una carestia, e un uomo di Betlemme di Giuda andò a stare nelle campagne di Moab con la moglie e i suoi due figli. 2 Quest'uomo si chiamava Elimelec, sua moglie, Naomi, e i suoi due figli, Malon e Chilion; erano efratei, di Betlemme di Giuda. Giunsero nelle campagne di Moab e si stabilirono là.

3 Elimelec, marito di Naomi, morì, e lei rimase con i suoi due figli. 4 Questi sposarono delle moabite, delle quali una si chiamava Orpa, e l'altra Rut; e abitarono là per circa dieci anni. 5 Poi Malon e Chilion morirono anch'essi, e la donna restò priva dei suoi due figli e del marito. 6 Allora si alzò con le sue nuore per tornarsene dalle campagne di Moab, perché nelle campagne di Moab aveva sentito dire che il SIGNORE aveva visitato il suo popolo, dandogli del pane. 7 Partì dunque con le sue due nuore dal luogo dov'era stata, e si mise in cammino per tornare nel paese di Giuda.

8 E Naomi disse alle sue due nuore: «Andate, tornate ciascuna a casa di sua madre; il SIGNORE sia buono con voi, come voi siete state con quelli che sono morti, e con me! 9 Il SIGNORE dia a ciascuna di voi di trovare riposo in casa di un marito!» Le baciò; e quelle si misero a piangere ad alta voce, 10 e le dissero: «No, torneremo con te al tuo popolo». 11 E Naomi rispose: «Tornate indietro, figlie mie! Perché verreste con me? Ho forse ancora dei figli nel mio grembo che possano diventare vostri mariti? 12 Ritornate, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per risposarmi; e anche se dicessi: "Ne ho speranza", e anche se avessi stanotte un marito, e partorissi dei figli, 13 aspettereste voi finché fossero grandi? Rinuncereste a sposarvi? No, figlie mie! Io ho tristezza molto più di voi, perché la mano del SIGNORE si è stesa contro di me». 14 Allora esse piansero ad alta voce di nuovo; e Orpa baciò la suocera, ma Rut non si staccò da lei. 15 Naomi disse a Rut: «Ecco, tua cognata se n'è tornata al suo popolo e ai suoi dèi; torna indietro anche tu, come tua cognata!» 16 Ma Rut rispose: «Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; 17 dove morirai tu, morirò anch'io, e là sarò sepolta. Il SIGNORE mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!»



Questa domenica si intrecciano nel nostro culto due aspetti importanti della vita della nostra chiesa: il primo è il tempo liturgico, il tempo di avvento che è iniziato domenica scorsa, e che ci accompagna alla nascita di Gesù. Il secondo aspetto è il tema di questa domenica, che è la domenica della diaconia, una domenica in cui si vuole riflettere su ciò che la nostra chiesa fa nel mondo a servizio degli ultimi; “diaconia” come sapete significa servizio; e in modo particolare oggi il tema della domenica è quello delle migrazioni e la colletta di oggi è destinata ai progetti di accoglienza della Diaconia valdese, sopratutto i progetti per i minori non accompagnati. Ed è proprio la Diaconia valdese che ha scelto il testo su cui riflettere insieme oggi nelle nostre chiese. È l’inizio della storia di Rut, storia che c’entra con il tema delle migrazioni e che c’entra anche con l’avvento e con Gesù, perché Rut è una delle antenate di Gesù ed è nominata nel vangelo di Matteo proprio per questo motivo. Il libro di Rut finisce infatti con la nascita di suo figlio che sarà il nonno del re Davide e sappiamo che Giuseppe è un discendente del re Davide, e che era tra i discendenti di Davide che doveva venire il messia. Potremmo dire che la storia biblica, come accade sempre, si intreccia con la nostra storia. Vediamo allora la storia di Rut. Essa è una storia di migrazioni: il suo libro inizia col racconto di una famiglia di israeliti che emigra.

Dobbiamo tenere presente che le migrazioni hanno sempre due punti di vista: ciò che noi chiamiamo immigrazione è prima di tutto sempre emigrazione. A volte rischiamo di dimenticare che un immigrato - di oggi o di ieri - è prima di tutto un emigrato, una persona che ha lasciato il proprio paese, forse la propria famiglia, la propria cultura, la propria lingua e così via. Così accade alla famiglia di Noemi ed Elimelech, che emigrano nel paese di Moab, paese pagano ai confini di Israele, perché in Israele non c’è pane. Betlemme, che significa casa del pane, non è più fedele al suo nome, non dà più pane ai suoi abitanti. La storia l’abbiamo sentita: Noemi ed Elimelec hanno due figli, che sposano due donne moabite, ma la tragedia colpisce questa famiglia e tutti gli uomini muoiono, lasciando tre donne vedove. Nel cuore di questa tragedia, che vede tre donne vedove, succede però una cosa positiva, c’è una svolta. E la svolta ha due nomi strettamente intrecciati tra di loro: i due nomi sono pane e Dio. Dio ha visitato Israele e ha dato di nuovo il pane al suo popolo; la carestia è finita, ora Betlemme è di nuovo Betlemme, la casa del pane. Noemi decide quindi di tornare a casa. Questo ci fa anche riflettere sul fatto che le emigrazioni, potrebbero, almeno qualche volta, concludersi con un ritorno in patria. Ma bisogna che in patria cambi qualcosa e in Israele qualcosa è cambiato perché Dio lo ha visitato e la carestia è finita.

Per ritornare bisogna che cambi qualcosa e se le cose non cambiano non si può ritornare; se la vita nei paesi di partenza non cambia, se continua ad esserci guerra o miseria, chi emigra non torna, a meno che vi sia costretto, come nel caso dei respingimenti; ma in quel caso molto probabilmente tenterà di partire un’altra volta. La nostra storia ci presenta invece un ritorno; e non solo: ci presenta Rut che emigra per amore della suocera, non vuole abbandonarla; anche l’altra nuora, Orpa, non voleva abbandonarla, ma poi si lascia convincere dalla suocera e torna dalla sua famiglia di origine. Di lei non sappiamo più nulla, ma dobbiamo sottolineare il fatto che il racconto non dà nessun giudizio su Orpa, la nuora che rimane nel paese di Moab. Rut e Orpa compiono due libere scelte, entrambe possibili.

Nel racconto biblico è ora Rut l’emigrante che dovrà vivere in un paese straniero, che per fortuna l’accoglierà. E come Rut viene accolta è molto interessante: Israele la accoglie innanzitutto con le sue leggi a favore dei poveri. La legge di Mosè prevede che i poveri possano andare a spigolare, cioè a raccogliere quello che rimane nei campi dopo il raccolto. E anzi, la legge prescriveva espressamente che non si raccogliesse tutto quello che c’era, ma se ne lasciasse un po’ per chi non aveva campi e non aveva da mangiare. La legge che Dio aveva data a Mosè prevede questo arcaico e semplice “stato sociale”: un po’ di pane per chi non ha pane. E poi Rut viene accolta dalla bontà di un uomo, Boaz, che la sposerà e dalla loro unione nascerà il nonno del re Davide. È interessante che in questa antica storia di Rut, con tutti i limiti della società del tempo, la Bibbia ci mostri come l’accoglienza passi sia attraverso una legge giusta, che garantisce il minimo per sopravvivere, sia attraverso la generosità degli esseri umani. Per essere accolti in un paese straniero c’è bisogno di leggi che diano dei diritti, ma non bastano le leggi, ci vuole anche la generosità delle persone che vi abitano. E del resto non basta la generosità delle persone, ma c’è bisogno anche di leggi giuste.

La storia di Rut s’intreccia anche con la storia della nascita di Gesù, perché come abbiamo detto Rut è citata nel vangelo di Matteo nell’elenco delle antenate di Gesù. In questo elenco ci sono solo quattro donne e c’è anche Rut la moabita, dunque una straniera, immigrata in Israele. Anche il tema delle migrazioni si intreccia con la storia della nascita di Gesù, perché nel vangelo di Matteo Gesù, Maria e Giuseppe devono fuggire in Egitto, perché Erode vuole uccidere Gesù. Qui si tratta di una migrazione dovuta alla persecuzione, come accade a tante donne e uomini anche oggi. Grazie a Dio, Gesù e i suoi genitori potranno tornare nel loro paese quando Erode non ci sarà più. Quindi anche Gesù è stato, per un po’ di tempo, un emigrato, e una emigrata è la sua antenata Rut.

Abbiamo detto che la svolta sta nel pane che a Betlemme c’è di nuovo, perché è finita la carestia; si può di nuovo vivere a Betlemme e che questo pane è dono di Dio, che ha visitato il suo popolo. Il pane, cioè il cibo per nutrirsi è ovviamente il bisogno essenziale per ogni essere umano, per sopravvivere. Ma per vivere serve qualcosa di più del pane, che serve appunto a sopravvivere. A questo proposito trovo interessante ciò che sul pane ha scritto Lutero, commentando la richiesta del Padre nostro “dacci oggi il pane quotidiano” nel suo “Piccolo catechismo”. Lutero si chiede che cosa significa pane quotidiano e la risposta che si da è: “tutto ciò che fa parte del nutrimento e delle esigenze del corpo, come mangiare, bere, vestiti, scarpe, casa …” e poi aggiunge altre cose tra cui “buon governo, buon tempo, pace, salute…”. Il pane è essenziale ma non basta, si può avere pane e non avere la libertà, non vedere rispettati i propri diritti. Si può avere il minimo per sopravvivere ma non una scuola dove mandare i propri figli, o ospedali dove curare le persone malate. Chi emigra non lo fa solo perché a casa propria non ha da mangiare o una casa, ma anche perché nel suo paese non può avere, come dice Lutero, “buon governo, buon tempo, pace, salute…”.

Dove sta Dio in questa storia, nella storia di Rut e Noemi? Abbiamo detto che Dio sta nella svolta che porta Noemi a decidere di tornare in Israele, Dio sta nel pane che torna ad esserci a Betlemme, dove prima scarseggiava a causa della carestia. Ma, come dicevo poco fa, Dio sta anche nella legge che ha dato a Mosè, che prevede il diritto per i poveri di andare a spigolare. E visto che oggi parliamo di diaconia, penso che dobbiamo chiederci dove stiamo noi nel mondo, qual è il nostro posto e il nostro compito, come discepoli e discepole di Gesù, che appena nato fu costretto a emigrare per salvarsi la vita e che è discendente di Rut la moabita, immigrata in Israele.

Noi siamo chiamati a stare dove anche Dio sta, ovvero dalla parte del pane e delle buone leggi. Davanti al fenomeno delle migrazioni, oltre a sperare e a lavorare affinché le cose nei paesi di partenza cambino e non ci sia più bisogno di emigrare, qui dove siamo, nel nostro paese, ora possiamo testimoniare l’evangelo di Gesù Cristo lavorando sul pane e sulle leggi. Quello sulle leggi è un discorso complicato che non può entrare in una predicazione. Quello del “pane” – nel senso di Lutero, cioè tutto ciò che fa sì che una vita sia dignitosa - è l’ambito in cui lavora la nostra Diaconia e per cui è destinata la colletta di oggi.

La colletta è destinata ai progetti a favore dei minori non accompagnati, quelli cioè che arrivano in Italia soli, senza genitori o altri adulti che si occupino di loro.

La loro vita non è dignitosa ed è anche a rischio: rischio della vita e rischio di cadere nelle mani di trafficanti. Con questi progetti la Diaconia valdese tenta di fare qualcosa per alcuni di loro. Questo non deve renderci orgogliosi o metterci in pace la coscienza. Possiamo casomai essere grati al Signore che – come chiesa - ci dà la possibilità di fare qualcosa per tentare di essere dalla parte dove anche lui sta.

Gesù nasce a Betlemme, Rut migra insieme a Noemi a Betlemme, la casa del pane. Dio ha dato pane sufficiente per tutta l’umanità. In questo tempo di avvento e nel lungo avvento che ci separa dal ritorno di Gesù, chiediamo a Dio di aiutarci a far sì che questo mondo che egli ci ha dato sia Betlemme, sia casa del pane, dei diritti, della dignità, per tutti gli esseri umani, come lui vuole che sia.

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