domenica 6 marzo 2022

Predicazione di domenica 6 marzo 2022 su 2 Corinzi 6,1-10 a cura di Marco Gisola

2 Corinzi 6,1-10

1 Come collaboratori di Dio, vi esortiamo a non ricevere la grazia di Dio invano; 2 poiché egli dice: «Ti ho esaudito nel tempo favorevole e ti ho soccorso nel giorno della salvezza». Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza! 3 Noi non diamo nessun motivo di scandalo affinché il nostro servizio non sia biasimato; 4 ma in ogni cosa raccomandiamo noi stessi come servitori di Dio, con grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, 5 nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; 6 con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero; 7 con un parlare veritiero, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra; 8 nella gloria e nell’umiliazione, nella buona e nella cattiva fama; considerati come impostori, eppure veritieri; 9 come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; 10 come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!



Eccolo ora il tempo favorevole, eccolo ora il giorno della salvezza!” Tutti noi veniamo questa mattina al culto con negli occhi tutte le terribili immagini della guerra in Ucraina e di tutto quello che comporta, dalle vittime ai profughi, e ci sentiamo dire queste parole: Eccolo ora il tempo favorevole!

A noi sembra tutt’altro che un tempo favorevole, ci sembra un tempo molto sfavorevole, un tempo triste, casomai un tempo per pregare, come molti hanno fatto in molte chiese in tutto il mondo, oppure per manifestare per la pace, come si è fatto anche qui a Biella.

Eppure la Parola di Dio ci dice che è proprio ora il tempo favorevole, il giorno della salvezza; che non vuol dire il tempo in cui va tutto bene, ma il tempo in cui Cristo deve essere annunciato. Paolo qui sta infatti parlando del suo ministero e delle condizioni e dei modi in cui lo sta portando avanti.

Da ciò che Paolo scrive si vede chiaramente che, umanamente parlando, non è affatto un tempo favorevole. Paolo parla infatti di afflizioni, necessità, percosse, prigionia, cioè di tutta una serie di brutte esperienze che lui ha fatto o sta facendo, brutte esperienze che il suo apostolato lo ha portato a vivere. Queste sono le condizioni in cui Paolo svolge il suo ministero.

Un tempo per nulla favorevole dal punto di vista umano, un tempo anzi doloroso e faticoso. Ma proprio in questo tempo doloroso e faticoso, Paolo predica; anzi questo tempo è così faticoso perché Paolo predica e annuncia l’evangelo.

E lo fa con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo spirito santo, con amore sincero, con un parlare veritiero, con la potenza di Dio, eccetera.

E benché Paolo stia vivendo grosse difficoltà e probabilmente subendo ostilità, questo è il modo in cui annuncia l’evangelo, questo è in modo in cui l’evangelo va annunciato. Alle percosse, alle prigionie, ai tumulti, Paolo risponde con pazienza, bontà, amore sincero, parlare veritiero…

In poche parole: non è ostile nei confronti di chi gli è ostile. Perché così Cristo deve essere annunciato.

E proprio questo è il tempo in cui Cristo deve essere annunciato. E questo tempo non è un generico “sempre”; se diciamo che Cristo va “sempre” annunciato, diremmo una cosa bella e giusta, ma molto generica. Dunque non un generico “sempre”, ma un concretissimo “ora”: Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza!

E dunque anche ora. Anche ora che c’è una guerra alle porte dell’Europa, anzi: in Europa. E L’evangelo e la pace vanno o dovrebbero andare mano nella mano. Laddove l’evangelo è annunciato, creduto e vissuto, dovrebbe regnare la pace.

Ma l’evangelo può essere vissuto solo se creduto, e può essere creduto solo se è annunciato, e dunque è indispensabile che noi cristiani cominciamo a lavorare per la pace annunciando l’evangelo, che è il messaggio della pace che Dio ha fatto con l’umanità peccatrice.

Poi certo è fondamentale anche pregare, e del resto la preghiera nasce dall’annuncio; è importante manifestare per mostrare il proprio dissenso da chi la guerra la vuole e la provoca; ed è necessario anche agire nella solidarietà, nell’accoglienza dei profughi e in tutti gli altri modi che ci è possibile.

Ma come cristiani il nostro agire è un agire per fede, è anzi come dice Paolo, fede che opera per mezzo dell’amore. È la nostra fede che opera per mezzo dell’amore, fede nel Cristo crocifisso che è stato vittima dell’ingiustizia e della paura degli esseri umani di perdere il loro potere.

Fede nel Cristo, che “è la nostra pace” come scrive la lettera agli Efesini (2,14) perché ha fatto pace tra Dio e l’umanità e ha riconciliato ebrei e i pagani. Annunciare l’evangelo è allora uno dei modi per educare alla pace, è anzi per noi cristiani il primo modo di educare alla pace; attraverso l’ascolto dell’evangelo Dio stesso ci educa, ci insegna la pace.

C’è un brano biblico molto conosciuto, che forse in questi giorni è risuonato nelle nostre orecchie e che troviamo sia nel profeta Isaia, sia nel profeta Michea, la cosiddetta profezia del pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme, in cui è detto che i popoli

trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro, e le loro lance, in falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, e non impareranno più la guerra” (Isaia 2,4; Michea 4,3).

In questo testo si usa il verbo “imparare”: “non impareranno più la guerra”. Perché la guerra si impara, si impara non solo a farla, con esercitazioni e addestramenti, ma si impara anche a volerla.

Perché la guerra, come ogni tipo di conflitto, anche personale, inizia nella nostra testa e nel nostro cuore. Si può imparare a relazionarsi con l’altro – singolo o popolo – con volontà di dominio e con violenza, oppure con rispetto e col dialogo.

Queste cose, come quasi tutte le cose, si imparano e si imparano da ciò che ci viene insegnato e da ciò che viviamo. L’evangelo ci insegna la pace, perché ci dice che siamo tutti uguali e tutti ugualmente amati da Dio in Cristo, nel quale siamo sorelle e fratelli e non nemici.

Al contrario, la volontà di dominio, di prevalere sull’altro, che arriva a volte fino alla volontà di eliminarlo, è il peccato “originale”, cioè che caratterizza l’umanità fin dalla sua origine.

Non penso tanto ad Adamo ed Eva, ma a Caino e Abele. Persino Putin dice che Russi e Ucraini sono popoli fratelli. Ma in questo momento sono popoli fratelli come fratelli erano Caino e Abele. Un fratello aggredisce l’altro e lo uccide.

Siamo così noi esseri umani, Caino e Abele siamo noi, non siamo meglio di loro. Troppo spesso nella storia dell’umanità – e nelle piccole storie della cronaca (che spesso è cronaca nera!) delle nostre città e dei nostro paesi - ci si divide in vittime e carnefici. Tante piccole guerre quotidiane avvengono ogni giorno per le strade e nelle case e i femminicidi ne sono un esempio evidente.

L’evangelo, dicevo, ci insegna la pace. Ma in realtà fa di più che insegnare, fa di più che educare; l’evangelo converte. L’evangelo – cioè Dio - vuole convertire Caino e vuole che non vi siano più Abele.

Per questo l’annuncio dell’evangelo è annuncio di pace: innanzitutto perché è l’annuncio della pace che Dio ha fatto con noi e poi è l’annuncio che ci può convertire alla pace e alla riconciliazione.

Questo è l’evangelo che siamo chiamati anche noi ad annunciare ora, anche in questo momento drammatico per l’Europa.

L’evangelo non è sempre ascoltato e accolto. Questo Paolo lo esprime nell’ultima parte del brano che abbiamo letto: considerati come impostori, eppure veritieri; come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!

In queste parole molto dense c’è di nuovo tutta l’ostilità e le difficoltà che Paolo e gli altri apostoli incontrano: sono accusati di essere impostori, sono puniti e perseguitati e di conseguenza vivono nelle ristrettezze.

Eppure… eppure, dice Paolo, sono veritieri, sono ben conosciuti a Dio che li guarda e li ama, non sono messi a morte, cioè non sono fermati nel loro annuncio; non possiedono nulla ma hanno tutto, perché sanno di avere ricevuto i doni di Dio, con cui riescono persino ad arricchire molti.

In questo “eppure” c’è la forza dell’evangelo. Forza che non fa male, che non è usata contro qualcuno ma è usata per, a favore di molti. Di quei molti che vengono arricchiti perché l’evangelo li raggiunge e li converte dall’odio all’amore, dall’ostilità alla comunione, dalla guerra alla pace.

Per questo ora è e continua ad essere il tempo favorevole, il tempo di annunciare l’evangelo di Gesù Cristo, la nostra pace.

 

Nessun commento: