tratto da: L'OSSERVATORE ROMANO
Nella Pléiade le opere di Calvino a cinquecento anni dalla nascita
Il riformatore
che disincarnò l'Incarnazione
di Alain Besançon
Pochi francesi hanno lasciato un'impronta duratura, visibile e riconosciuta sulla faccia della terra. Non penso a quelli che hanno lanciato una moda intellettuale e artistica, perché ce ne sono molti. E neppure a quelli che fanno parte dei classici dell'umanità, come Montaigne, Pascal, Balzac, Cézanne e molti altri. Penso solo a quanti hanno spinto una parte dell'umanità europea a deviare dal suo cammino storico abituale, che hanno avuto la forza di imprimerle un'altra direzione. Non ne vedo che due: Rousseau, senza dubbio, che ha rimodellato il XIX secolo, e anche il XX, ma ancora di più Calvino (10 luglio 1509 - 27 maggio 1564). Proprio perché era straordinario, non c'era finora nella collezione più apprezzata dei classici francesi un volume di Calvino. L'opera completa di Rousseau è stata pubblicata da tempo. Lutero ha già un volume. Ecco dunque finalmente Calvino nella Pléiade (Calvin, Oeuvres, édition établie par Francis Higman et Bernard Roussel, Paris, Gallimard, 2009, pagine 1432, euro 45).
Si è potuto sostenere che senza Calvino la riforma luterana sarebbe rimasta una questione tedesca e a lungo andare avrebbe potuto essere riassorbita. Dopo tutto l'offensiva cattolica, all'inizio del XVII secolo aveva già ristabilito la gerarchia nei porti del Baltico, appena prima della fulminea controffensiva svedese, sovvenzionata da Richelieu. Ci furono riavvicinamenti per tutto il XVII secolo. Bossuet e Leibniz li sognavano, Bach non aveva problemi a mettere in musica messe. Nulla di simile con i calvinisti, severamente separati, come da un muro.
Fu piuttosto sotto la forma calvinista che sotto quella luterana che la Riforma avanzò in Polonia e in Ungheria. In Francia il partito calvinista arrivò quasi a impadronirsi dello Stato monarchico, e anche dopo la notte di San Bartolomeo, che lo decapitò, poté ancora sostenere trent'anni di guerra e non fu mai eliminato.
La forza del calvinismo sta nell'avere diffuso il suo modello di cristianesimo nelle aree più progredite, l'Olanda, la parte più dinamica dell'Inghilterra, la Scozia, e infine, e soprattutto, gli Stati Uniti. In Olanda, mi diceva un collega che vi ha vissuto a lungo e che ha ascoltato dal Nunzio questa battuta, il paesaggio religioso oggi è diviso tra i calvinisti protestanti, i calvinisti cattolici, i calvinisti ebrei, i calvinisti liberi pensatori. Tanto è profonda l'impronta lasciata dal riformatore francese.
Non entrerò nell'immensa letteratura a lui dedicata. Tutt'al più vorrei sfatare alcuni pregiudizi comuni.Data la violenza delle polemiche rivolte contro di lui, non è inutile affermare che Calvino è un cristiano. Egli aderisce pienamente ai simboli di Nicea e di Costantinopoli. Professa di credere nella Chiesa una, santa, cattolica (preferisce dire universale) e apostolica. Crede nella Trinità, al peccato originale e a quello attuale, alla salvezza attraverso Gesù Cristo. Sebbene non voglia che si preghi la Madre di Dio, la onora e crede fermamente alla sua verginità perpetua. Mantiene due sacramenti, il Battesimo e la Cena. Contrariamente a ciò che a volte si dice, crede nella presenza reale, anche se non ammette la concezione cattolica della transustanziazione.
In materia dogmatica, Calvino, di una generazione più giovane di Lutero, è un luterano, puro e semplice. A Strasburgo, in ambito riformato, dove ha acquisito le sue convinzioni definitive, ha aderito pienamente, e senza nulla cambiare, ai due principi della giustificazione per fede, (sola fide, sola gratia) e della sovranità della Bibbia (sola scriptura). Sono due principi che il concilio di Trento, troppo tardi, purtroppo, poiché la rottura era già avvenuta, ha riconosciuto che potevano essere accolti nell'ortodossia.
Se vi è un punto a partire dal quale si percepisce meglio che Calvino si discosta dalla tradizione cattolica, e va persino più lontano di Lutero, è il suo iconoclasmo determinato che non immaginava potesse essere alla radice di una divergenza grave. Non sopportava il coacervo di tutto quello che si era accumulato nelle chiese del suo tempo, immagini troppo venerate, reliquie dubbie, nelle quali vedeva non senza ragione una ricaduta nell'idolatria. Ma facendo profonda pulizia nei templi, e, nello stesso tempo, tagliando nel folto delle tradizioni dogmatiche, espellendo il vasto magma delle devozioni popolari, non credo che si sia reso conto di alterare il dogma dell'Incarnazione, che, tuttavia, non cessava di professare in modo sincero. Lo spingeva verso l'astrazione, lo estenuava. Lo intellettualizzava. Disincarnava l'Incarnazione. Nell'Istituzione cristiana, lo espone more geometrico. S'inseriva così nella grande corrente dell'individualizzazione del rapporto con Dio, sorta all'inizio del XIV secolo, e che non ha smesso di affermarsi fino a oggi. Individualismo, rapporto personale, autonomo, con Dio, la società, lo Stato, la Legge: è con tutta la modernità che Calvino era anticipatamente in sintonia. E pure con la razionalizzazione, sebbene vi fosse in lui anche un'alta ispirazione mistica (cfr. C.A. Keller, Calvin mystique, 2001). Da parte mia credo che questa sia molto forte, sebbene Calvino diffidi di essa e la nasconda il più possibile. Io la percepisco persino in Kant.
Lutero era stato incapace di fondare una vera Chiesa. Ne aveva affidato la guida ai principi. Nella sua speranza di far nascere una cristianità più pura e più perfetta di quella con la quale rompeva, riteneva che il principe cristiano avrebbe potuto esserne il "vescovo naturale". Calvino non condivide questa illusione. Egli fonda un sistema ecclesiale compenetrato nella società civile e allo stesso tempo sufficientemente indipendente, sottoposto da un lato al magistrato legittimo, ma dall'altro, capace di tenerlo a distanza e di influenzarlo. L'organizzazione calvinista è una creazione geniale. Essa è capace di adattarsi alla monarchia, spingendola verso l'accettazione della rappresentanza; al patriziato delle città moderne, il suo ambito favorito; alle repubbliche aristocratiche; alle repubbliche democratiche. Resiste agilmente a tutti i cambiamenti e le rivoluzioni della modernità. La sua superiorità storica - voglio dire la sua efficacia - è patente, paragonata alla rigidità autoritaria del mondo luterano. E naturalmente paragonata all'immensa, alla complessa, all'antica organizzazione cattolica, così difficile da muovere.
Nella dottrina calvinista c'è un punto celebre, la predestinazione. Suppone che Dio assegni liberamente ogni uomo alla salvezza o alla condanna, ancor prima del peccato originale che lo ha radicalmente corrotto e che gli fa meritare, con tutti gli altri, in piena giustizia, la dannazione eterna. Dottrina che Calvino stesso giudicava "dura". Ma bisogna intenderla, da parte del cristiano che vi aderisce, come un affidarsi con totale fiducia a Dio. Come una pienezza dell'abbandono alla provvidenza divina. Di modo che, una volta compiuto questo passo supremo dell'atto di fede, il fedele sente e sa di far parte dei predestinati alla salvezza. Superata questa prova, che si può paragonare a quella di Abramo al momento di sacrificare suo figlio, il calvinista si sente in possesso della sua salvezza. È ormai tranquillo. Può e deve occuparsi della santificazione del mondo alla quale è chiamato, con un sentimento di riconoscenza dovuta e fervente a quel Dio che l'ha salvato gratuitamente. È un'occupazione a tempo pieno che non lascia troppo spazio all'arte e alla speculazione. Lutero confondeva la giustificazione e la santificazione, Calvino le distingue e le ordina l'una all'altra. La dottrina della predestinazione supralapsaria ("precedente la caduta") è stata ormai abbandonata dalla maggior parte delle comunità della tradizione calvinista, ma non da tutte. La confortante certitudo salutis è sempre lì.
Ritorniamo ora all'edizione che ci propone la Pléiade. Nella bibliografia noto che la sola edizione completa delle opere di Calvino è quella pubblicata in Germania fra il 1863 e il 1990, in non meno di 52 volumi. I grandi riformatori non scioperavano. Un'altra edizione è in corso dal 1992 presso Droz. Le edizioni scelte in francese non hanno l'aria di essere numerose, e neppure abbondanti.
Una decisione meraviglia. Non si trova nella Pléiade il testo più classico di Calvino, l'Istituzione della religione cristiana, né quello del 1536 in latino - Calvino ha ventisei anni - e neppure quello del 1541 in francese. Calvino rielaborò la propria opera fino alla sua morte. Le edizioni correnti che ci si può procurare oggi, e che non sono critiche, si fondano su quella del 1560. Se la Pléiade non ha ritenuto utile pubblicare il compendium canonico del pensiero calvinista, è, suppongo, perché lo si può trovare facilmente altrove. Non include neppure un altro testo fondamentale, ossia il Catechismo detto di Ginevra, pubblicato in francese nel 1542. Il volume, forse il più raro che ho fra le mani, è stato pubblicato in Sud Africa, dove si è conservato il calvinismo più rigoroso.
L'interesse degli editori, Francis Higman e Bernard Roussel, non sembra centrato sulla teologia di Calvino, ma sulla sua persona, il suo pensiero, la sua vita, il suo stile. La loro prefazione è un modello di concisione e di precisione. Essi hanno trovato il modo di risolvere in poche righe il problema lasciato da Max Weber. Offrono una interpretazione convincente sulla natura del regime ginevrino, non così teocratico come si crede, visto che i magistrati civili mantenevano il controllo. Sulla presunta "cattiveria" di Calvino. Sulla lingua e sulla grafia, adottata in questa edizione. Trung Tran dà tutte le spiegazioni necessarie. Le note abbondanti, erudite, necessarie, occupano un terzo del volume.
La materia è suddivisa così. Je n'ai pas cherché à plaire ("Non ho cercato di piacere") riunisce le prime lettere di Calvino (a Louis du Tillet, e in particolare a Sadoleto) che danno un'idea della sua formazione e del suo carattere dalla sua nascita in Piccardia ai suoi studi di diritto all'università di Orléans. Segue una selezione di commenti biblici. Calvino ha commentato instancabilmente le Scritture. Pronunciava circa 250 sermoni all'anno, che duravano ognuno un'ora abbondante e che sono per la maggior parte spiegazioni bibliche. Sulla dottrina: l'Istituzione e il Catechismo sono sostituiti da altri testi, come il Piccolo trattato della santa Cena, la Dichiarazione per mantenere la vera fede, la Breve risoluzione sui sacramenti.
Calvino ha lottato su tutti i fronti. Contro i papisti, soprattutto, ma anche contro i "nicodemiti" (quelli che cercavano un compromesso con Roma) e contro i battisti. La fede battista è quella che viene chiamata "riforma radicale", quella che fa a meno di un'organizzazione ad ampio raggio d'azione e di pastori regolarmente ordinati. I battisti furono oggetto nel secolo della Riforma di una caccia spietata a cui parteciparono protestanti e cattolici. Nonostante questi massacri spaventosi, li ritroviamo oggi in piena forma negli Stati Uniti, dove il loro numero supera di gran lunga quello di tutte le altre denominazioni protestanti, calvinisti compresi. Hanno conservato vive la logica e l'essenza dello spirito calvinista.
Il volume termina con gli ultimi scritti testamentari di Calvino. Come si sa, volle essere seppellito in modo così discreto e semplice che non si sa dove si trovi esattamente la sua tomba nel cimitero di Ginevra. Come Mosè.
Lo studio sulla lingua di Calvino occupa un grande spazio in questo volume. A buon diritto. L'ho praticata un po'. Ho fatto un po' fatica a entrarvi, ma poi sono stato affascinato da questa lingua marmorea, atemporale. Eccone i principi, da Calvino stesso esposti nel suo Trattato contro gli anabattisti: "Esporre e dedurre le materie distintamente e con un certo ordine, chiarire un punto dopo l'altro. Soppesare bene e guardare da vicino le frasi della scrittura per estrarne il senso vero e naturale. Servirsi di una semplicità e rotondità di parola che non sia lontana dal linguaggio comune. Io cerco di disporre in ordine ciò che dico, al fine di permetterne una più chiara e più facile comprensione". Era una novità. All'epoca, tutti ammiravano lo stile di Calvino, il suo "miele", anche se, per i cattolici, era un miele "avvelenato". Quello che mi colpisce è che il programma retorico di Calvino precede e annuncia il programma metodologico di Cartesio. Siamo nello stesso clima di pensiero.
Un clima francese abbastanza tipico, o piuttosto uno dei climi francesi. Rousseau, l'altro autore decisivo, è di un altro clima.
(©L'Osservatore Romano 3 luglio 2009)
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