domenica 15 gennaio 2017

Predicazione di domenica 15 gennaio 2017 su Giovanni 2,1-12 a cura di Daniel Attinger


Il primo segno di Gesù

Giovanni 2,1-12

letture: Osea 2,21-25; Apocalisse 21,9-14

1 Tre giorni dopo, ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea, e c'era la madre di Gesù. 2 E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze. 3 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 Gesù le disse: «Che c'è fra me e te, o donna? L'ora mia non è ancora venuta». 5 Sua madre disse ai servitori: «Fate tutto quel che vi dirà». 6 C'erano là sei recipienti di pietra, del tipo adoperato per la purificazione dei Giudei, i quali contenevano ciascuno due o tre misure. 7 Gesù disse loro: «Riempite d'acqua i recipienti». Ed essi li riempirono fino all'orlo. 8 Poi disse loro: «Adesso attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 Quando il maestro di tavola ebbe assaggiato l'acqua che era diventata vino (egli non ne conosceva la provenienza, ma la sapevano bene i servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: 10 «Ognuno serve prima il vino buono; e quando si è bevuto abbondantemente, il meno buono; tu, invece, hai tenuto il vino buono fino ad ora».
11 Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.
12 Dopo questo, scese a Capernaum egli con sua madre, con i suoi fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là alcuni giorni.


Tradizionalmente, dai primi secoli del cristianesimo, sono stati associati alla festa dell’Epi­fania che avete ricordato domenica scorsa tre misteri, o tre manifestazioni:
– la manifestazione di Cristo al mondo pagano, attraverso l’apparizione della stella e la visita dei magi d’Oriente,
– la manifestazione a Israele, attraverso il battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista e la voce celeste che lo proclama: “mio figlio, amato”,
– e la manifestazione ai discepoli, attraverso il miracolo avvenuto durante le nozze a Cana; quello del dono di un’abbondanza di vino, testo che si conclude, come abbiamo sentito con le parole: “Gesù fece questo primo dei suoi segni in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,12).
Ecco perché ho scelto di centrare la mia predicazione su questo miracolo. Faccio però subito notare che parliamo solitamente del “miracolo di Cana”, mettendo così l’accento sulla straordinarietà dell’evento, e ci chiediamo magari come Gesù abbia fatto per cambiare l’acqua in vino, o addirittura se possiamo credere in un tale miracolo che, per di più, offende la sensibilità degli astemi! L’evangelo di Giovanni però non parla di “miracolo”; usa sempre, per parlare dei prodigi compiuti da Gesù, del termine “segno”. Ora, lo sappiamo, un segno è un indicatore: indica qualcos’altro. È ciò che ricorda un celebre proverbio cinese: “Quando il dito indica la luna, lo stolto guarda il dito!”. Interrogarci sul come dell’atto di Gesù è fuorviante; dobbiamo invece interrogarci su che cosa questo segno indica. E l’evangelo ce lo rivela subito: indica la “gloria” del Cristo. Ma in che senso questo gesto è portatore di una tale rivelazione?
Senza pretendere di esaurire i significati di questo episodio così ricco di significati che occorrerebbe molto più tempo per scoprirne tutti i sensi, vorrei accennare solo a tre dimensioni particolari di questo evento, che sono anche tre ingredienti della gloria di Cristo.
Anzitutto, questo racconto parla della partecipazione di Gesù a una festa. Cana è oggi una città di circa 20000 abitanti, ma allora era un villaggio forse appena più grande di Nazareth, dal momento che a Cana si disprezzavano i Nazareni: “Può forse venire qualcosa di buono da Nazareth?” (Gv 1,46) aveva chiesta Natanaele quando Filippo gli aveva parlato di Gesù. Nel villaggio, c’è festa per due giovani che si sono sposati. Come avviene ancora oggi nei villaggi dell’Oriente, quando una famiglia è in festa, tutto il villaggio partecipa alla festa. Così, a questa festa era stata invitata Maria, la madre di Gesù, ma anche Gesù e i suoi discepoli. Il gesto che Gesù compie, su richiesta della madre, di provvedere ad un tratto a fornire un’enorme quantità di vino (si tratta di circa 600 litri di vino!) mostra che Gesù vuole che la festa possa continuare nella gioia; Gesù non viene a guastare le nostre feste con la serietà di colui che annuncia cose importanti. Per lui, oggi, è importante che gli sposi possano far festa con i loro commensali. Poco importa come Gesù abbia potuto cambiare l’acqua in vino: l’importante è l’offerta di un vino a profusione… e di un vino eccellente fino alla fine, perché la festa sia riuscita e la gioia sia piena. In questo Gesù rivela qualcosa della sua gloria: essa consiste nel trovare il modo di ren­dere gli esseri umani felici e gioiosi. Dio non è un guastafeste; Dio si rallegra quando ci vede nella gioia, perché il nostro Dio è un Dio gioioso. Ce lo ricorda quella parabola dei talenti in cui i servi che hanno messo a profitto i beni ricevuti sentono il Signore dichiarare: “Bene, servo buono e fedele … entra nella gioia del tuo Signore!” (Mt 25,21.23). Ecco una dimensione di Dio che noi, protestanti, abbiamo forse un po’ tendenza a dimenticare; rischiamo di prenderci troppo sul serio! Accogliamo quindi questo sorriso di Dio manifestato a Cana: il nostro è un Dio che ama la gioia!
Ma vi è un’altra manifestazione in questo racconto: prima di procedere al dono del vino, Gesù dà ordine ai servitori di riempire di acqua sei recipienti che servivano per la purificazione dei Giudei. Se Giovanni sente il bisogno di precisare che questi recipienti avevano un ruolo cul­tuale, ci dev’essere un motivo. Non si tratta solo di indicare la grandezza di queste giare, dal momento che essa viene specificata: due-tre misure, cioè tra 70 e 100 litri ciascuna. Con il suo gesto Gesù intende dire che ora non c’è più bisogno di acqua per rendersi puri davanti a Dio, l’acqua non serve più; ciò che invece conta è la gioia dei commensali: essa è espressione della purezza che si credeva di ottenere attraverso le abluzioni. Ma quella gioia, non è solo quella provocata dal vino, è invece la gioia che viene dal Cristo: è lui, con la sua presenza, con la sua parola, e le sue azioni … anzi con la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione che ci rende puri e ci permette di stare alla presenza di Dio nella consapevolezza di trovare in lui non un giudice che fa paura, ma un padre ricco di tenerezza.
Ma vi è ancora una terza manifestazione, più difficile da afferrare, ma essenziale al nostro episodio. In Giovanni, Maria, la madre di Gesù, appare solo qui e alla fine dell’evangelo, quan­do Gesù è sulla croce. Questo lascia sottintendere che esista una relazione tra questi due episo­di, tanto più che qui come là, il nome di Maria non è pronunciato, ma si parla solo della “madre di Gesù” e, fatto più notevole ancora, in entrambe le scene Gesù si rivolge alla madre chiaman­dola “Donna!”. “Che c’è fra te e me, o donna?” e, sulla croce, vedendo sua madre e il discepolo amato, Gesù dichiara: “Donna, ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Infine, notiamo che è a Cana, du­rante quelle nozze, che Gesù accenna per la prima volta alla sua ora, di cui sappiamo, per il resto dell’evangelo, che è proprio l’ora della croce. Allora quale relazione esiste tra quel matri­monio di Cana e la morte di Cristo sulla croce?
Per comprenderla è importante rilevare che qui Gesù partecipa a un matrimonio, ma stra­namente, non si parla affatto della sposa, e lo sposo è solo appena nominato. In realtà, le due figure importanti dell’episodio sono Gesù e sua madre, come al momento della morte di Gesù. Qui, a Cana, Gesù non si rivolge solo a Maria chiamandola “donna”, cosa tutto sommato piut­tosto strana sulle labbra di un figlio, ma Gesù sembra anche non riconoscere alcun legame fa­miliare con Maria: “Che c’è fra te e me?”. Sembra che attraverso questo procedimento l’evan­gelista intenda innescare un discorso simbolico, come se dicesse: Non fermatevi alla relazione madre-figlio; guardate piuttosto a quell’altra relazione: quella che esiste tra l’Uomo – quello ve­ramente autentico, come Dio lo vuole: Gesù – e la Donna – quella che Dio cerca fin da princi­pio per farne la sua Sposa: quella di cui parla Dio nella profezie di Osea che abbiamo ascoltato, quella di cui parla anche l’altro testo che abbiamo letto nell’Apocalisse –.
Ebbene, proprio questo sposalizio avviene sul Golgota; è là che l’Uomo – così Pilato ha presentato Gesù alla folla: “Ecco l’Uomo!” (Gv 19,5) –, il nuovo Adamo si unisce alla Donna-madre, la nuova Eva; e da questa unione nasce il primo figlio, il discepolo amato: “Donna, ecco tuo figlio!”, che è figura di ogni cristiano. Certamente, la croce rimane un orrido supplizio, ma nella fede Giovanni ha saputo vedervi la sorgente da cui nasce la Chiesa, la Sposa dell’Agnello. E noi, figli di queste nozze, diventiamo in questo modo parte della gloria stessa di Cristo!
Allora, nonostante la nostra debolezza e piccolezza, non cessiamo di rendere grazie a Dio e al Figlio suo che ci ha amati fino a dare per noi la sua vita. A Lui, lode e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen.

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