domenica 27 dicembre 2020

Predicazione di domenica 27 dicembre 2020 su Luca 2,25-38 a cura di Marco Gisola

 Domenica 27 dicembre 2020 – prima dopo Natale

Luca 2,(21) 25-38

21 Quando furono compiuti gli otto giorni dopo i quali egli doveva essere circonciso, gli fu messo il nome di Gesù, che gli era stato dato dall’angelo prima che egli fosse concepito. 22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, 23 come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà consacrato al Signore»; 24 e per offrire il sacrificio di cui parla la legge del Signore, di un paio di tortore o di due giovani colombi.

25 Vi era in Gerusalemme un uomo di nome Simeone; quest’uomo era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione d’Israele; lo Spirito Santo era sopra di lui; 26 e gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore. 27 Egli, mosso dallo Spirito, andò nel tempio; e, come i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere a suo riguardo le prescrizioni della legge, 28 lo prese in braccio, e benedisse Dio, dicendo:

29 «Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola;

30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,

31 che hai preparata dinanzi a tutti i popoli

32 per essere luce da illuminare le genti

e gloria del tuo popolo Israele».

33 Il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui. 34 E Simeone li benedisse, dicendo a Maria, madre di lui: «Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione 35 (e a te stessa una spada trafiggerà l’anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati».

36 Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser. Era molto avanti negli anni: dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni. 37 Non si allontanava mai dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. 38 Sopraggiunta in quella stessa ora, anche lei lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme.



L’attesa è finita. Questo potrebbe essere il titolo di questo racconto. L’attesa è finita; il messia tanto atteso è giunto. Questo ci dicono questi due personaggi che Luca fa intervenire sulla scena quando Gesù viene portato al tempio di Gerusalemme per essere presentato, un uomo e una donna che compaiono qui e di cui poi non si parlerà più. Ma chi sono Simeone e Anna?

1. Sono due ebrei credenti, con una profonda fede nella venuta del messia, che attendono che si realizzino le promesse di Dio. Anzi: che attendavano che si realizzassero le promesse di Dio di inviare il messia, perché ora non lo attendono più, dato che lo vedono – il messia - in Gesù.

Simeone e Anna rappresentano l’Israele profondamente credente, in intensa attesa del messia. Sono nel tempio, luogo centrale e fondamentale del culto ebraico, la scena avviene nel cuore fisico e spirituale della fede ebraica, Anna sembra che viva nel tempio, qualcuno dice che forse faceva parte di una comunità femminile simil-monastica. In ogni caso vivono attendendo la venuta del messia.

2. Simeone e Anna sono nel cuore fisico e spirituale della fede ebraica, ma non sono persone che abbiano un potere o un ruolo particolare nella comunità ebraica. Sono persone che non fanno la storia, sono credenti molto ferventi e fedeli, ma sono persone comuni, sono appunto due persone che la Bibbia chiama per nome, senza titoli. Non fanno la storia che scrivono gli esseri umani, ma hanno un compito importante nella storia che Dio stesso scrive: quello di essere i primi a proclamare la venuta del messia.

3. Sono un uomo e una donna, e non è un dettaglio secondario, in una storia fatta quasi solo da uomini. E mentre Simeone è definito «giusto e timorato di Dio», quindi appunto un credente, uno che ci crede davvero, Anna è chiamata «profetessa», che non è un appellativo così scontato per una donna. In tutto l’AT sono solo quattro le donne chiamate profetesse (Miriam, Debora, Hulda, la moglie di Isaia).

Purtroppo mentre di Simeone ci sono riportate le parole che ha pronunciato, di Anna invece no, ci è solo detto che «lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme». Non ci sono riportate le parole che dice, ma Anna parla, parla del bambino Gesù, dunque predica, annuncia anche lei la venuta del messia, cioè: che il messia è venuto.

4. Sono due persone anziane, e anche questo non è scontato in una storia fatta anche qui prevalentemente da giovani. Anna e Simeone sono esseri umani che percepiscono che la loro morte non è molto lontana, e qui forse simboleggiano che Israele è alla fine dell’attesa, perché il messia è venuto.

O forse simboleggiano la saggezza e la profonda fede come possono avere solo persone che hanno creduto tutta la vita, o meglio, hanno vissuto tutta la loro vita credendo.


Questi i personaggi. Il nucleo del testo è il cantico di Simeone, che è il quarto canto che il vangelo di Luca ci presenta, dopo il cantico di Maria, il cantico di Zaccaria e il breve canto degli angeli nella notte di Natale. Qualcuno ha detto giustamente che il vangelo di Luca inizia cantando, perché nei suoi primi due capitoli contiene questi quattro canti.

Questo cantico è meno famoso, forse perché meno lungo di quelli di Maria e Zaccaria, meno esplicito nella lode e un po’ più malinconico, perché Simeone dice che ora Dio può lasciarlo andare, ovvero può morire, perché i suoi occhi hanno visto la salvezza.

Un po’ malinconico, certo, ma pensiamo alla portata e al significato di queste sue parole. Ora posso morire serenamente perché ho visto tutto quello che c’era da vedere. Ho visto il messia e questo mi basta, posso lasciare questa vita. È come se Simeone dicesse: non c’è altro che ho bisogno di vedere.

È quasi troppo questa affermazione, troppo perché possiamo condividerla così semplicemente. Chi di noi, anche i più anziani, non hanno ancora voglia di vedere qualcosa, i figli o i nipoti crescere, laurearsi, trovare lavoro… Simeone non avrà avuto il desiderio di vedere ancora qualcosa del genere?

Non dobbiamo pensare che Simeone non volesse bene a nessuno e che non desiderasse più nulla. La sua è un’affermazione di fede, non parla delle sue umane attese, ma della sua attesa di Dio, che supera tutte le altre attese.

Le sue parole esprimono questo paradosso della fede e lo esprimono non in astratto, ma nel concreto della sua vita e della sua morte, che non era lontana, ma per cui non era pronto. Ora è pronto perché ha visto il messia. Ha visto la promessa di Dio compiersi.

È questo infatti è il messaggio del testo: Dio ha mantenuto la sua promessa, il messia è giunto, non c’è più nulla da attendere.


Apriamo una parentesi su Giuseppe e Maria: Giuseppe e Maria dopo aver sentito il cantico di Simeone, «restavano meravigliati delle cose che si dicevano di lui». Non è sfiducia, è meraviglia, il che è ben diverso. Giuseppe e Maria sapevano che il loro figlio aveva un compito particolare datogli da Dio, ma probabilmente non si aspettavano che questo fosse riconosciuto pubblicamente da qualcuno quando il bambino era così piccolo.

È bella questa meraviglia che accompagna la fede. Una fede senza meraviglia, senza stupore è una fede a cui manca qualcosa, segnata dall’abitudine. Noi non siamo Maria e Giuseppe, il loro compito è unico nella storia, ma da loro possiamo imparare che Dio con la sua Parola, qui proclamata da Simeone, vuole stupirci, possiamo imparare che non c’è nulla di scontato quando si ha a che fare con Dio, che vuole sempre ancora sorprenderci.

Non mi fermo sulla parola rivolta da Simeone a Maria, una profezia dolorosa che dice che Maria parteciperà, da madre, al dolore del figlio, questo è probabilmente il senso della spada di cui parla Simeone.


Ma torniamo a Simeone: Dio ha mantenuto le sue promesse, il messia è arrivato, è qui, Simeone ce l’ha in braccio…

Però… non è ancora successo nulla! Gesù ha quaranta giorni di vita (era questo il tempo dopo cui una donna che aveva partorito doveva offrire il sacrificio per la sua purificazione), è un neonato, non parla, non cammina, non è ancora in grado di fare nulla… Non è ancora accaduto nulla, ma per Simeone è già accaduto tutto.

«I miei occhi hanno visto la salvezza»: che cosa vede Simeone? Un bambino, inerme, incapace di qualunque cosa e dipendente in tutto e per tutto dagli altri come tutti i bambini di quaranta giorni… Così piccolo che può tenerlo in braccio.

Non ha visto re, non ha visto cavalli e cavalieri, non ha visto forza, non ha visto prestigio, non ha visto ricchezza… Eppure Simeone sa che quello è il messia e che è lui la realizzazione delle promesse di Dio.

Ce l’ha nelle mani, come ce l’avranno nelle mani – in tutt’altro modo – coloro che lo manderanno a morire sulla croce. Vede un messia che si dà nelle sue mani, nelle nostre mani. E altre mani saranno molto meno tenere di quelle di Simeone.

Perché Gesù è segno di contraddizione, «posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele»: rubo l’esempio a un collega che tra i tanti segni di contraddizione che Gesù ha posto nel suo cammino cita il caso dell’adultera di Giovanni 8:

per la donna l’incontro con Gesù è stato il suo rialzamento, è stato ciò che ha fatto sì che potesse essere rialzata, che potesse vivere anziché morire; per gli uomini che volevano tirarle addosso le pietre e ucciderla Gesù è stato occasione di caduta, perché se ne sono dovuti andare con la coda tra le gambe.

Non è uguale essere da una parte o dall’altra, incontrare in Gesù la salvezza (come l’adultera) o la caduta come gli aspiranti giustizieri dell’adultera.

Ma torniamo al centro: Simeone e Anna vedono il compimento della promessa, la promessa è già compiuta in quel bambino, che è il messia, e che pure non ha ancora detto e fatto nulla. Ma è già compiuta, la salvezza è già venuta.

Davanti al “Già” compiuta, il “non ancora”, quello che ancora deve avvenire, diventa insignificante per Simeone e Anna. La promessa è già compiuta, il messia è già arrivato, la salvezza è già presente.

Questa è la fede di Simeone, che lo Spirito ha portato quel giorno nel tempio a prendere in braccio la sua salvezza, ed è la fede di Anna, che lo stesso Spirito – e non il caso - ha fatto sì che anche lei giungesse in quel momento per testimoniare di lui.

Questa è la loro fede, dono dello Spirito, per cui non hanno più bisogno di vedere nulla, perché hanno già visto tutto.

La Parola di Dio ci dice oggi che quel bambino, di cui abbiamo celebrato la nascita due giorni fa, è già tutto anche per noi. L’evangelo è davvero tutto lì in quel bambino inerme, in quel Dio fattosi uomo che si consegna nelle nostre mani per salvare e rialzare chi si affida a lui. Davvero per la nostra vita e la nostra fede in Gesù abbiamo già tutto.

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