domenica 21 febbraio 2021

Predicazione di domenica 21 febbraio su Giovanni 13,12-17 a cura di Marco Gisola

 Giovanni 13,12-17

12 Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: «Capite quello che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. 14 Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15 Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. 16 In verità, in verità vi dico che il servo non è maggiore del suo signore, né il messaggero è maggiore di colui che lo ha mandato. 17 Se sapete queste cose, siete beati se le fate.


Libertà. La libertà è ciò che celebriamo nella festa del 17 febbraio, i diritti civili e politici che re Carlo Alberto concesse ai valdesi nel 1848. Diritti civili, quindi, ma, come sapete, non libertà di culto: l’editto del re affermava chiaramente che “nulla è però innovato riguardo all’esercizio del loro culto e alle scuole da essi dirette”.

Libertà che però i valdesi si sono presi, approfittando del clima liberale che c’era, andando a predicare l’evangelo in tutta l’Italia, man mano che veniva unificata.

Libertà. E il testo di oggi ci parla di libertà? Sono le parole che Gesù dice ai suoi discepoli subito dopo aver lavato loro i piedi, un gesto che – se vogliamo leggerlo così - ci parla della libertà di Gesù. Libertà di Gesù di spogliarsi, cioè di togliersi le sue vesti, e di mettersi in ginocchio per lavare i piedi dei suoi discepoli. 

Libertà di lavare i piedi di Pietro, che protesta scandalizzato a vedere il suo maestro lì per terra davanti a lui; libertà di lavare i piedi di Giuda, che poco dopo intingerà il boccone nel piatto di Gesù e poi uscirà, quando è già notte, per andare a consegnare Gesù a chi lo metterà n croce.

Gesù dice ai suoi discepoli: avete capito che cosa ho fatto? Avete capito che questo gesto che ho compiuto non solo per voi, ma a voi, toccando i vostri piedi, è un esempio? Un esempio che voi dovete imitare, lavandovi i piedi gli uni agli altri?  Ma non è ovviamente solo il gesto di lavarsi i piedi gli uni gli altri che dovete imitare, ma il diventare servi gli uni degli altri.

E avete capito che questo gesto, che ho compiuto a voi e per voi, rimanda alla croce che mi aspetta? Avete capito che il mio farmi servo mi porterà fino là, fino alla croce? 

Forse la prima cosa – che quel gesto Gesù lo ha compiuto per lasciare loro un esempio – lo hanno capito, ma che quel gesto preludeva alla croce, che era una tappa del cammino verso la croce, questo probabilmente no, difficilmente lo avranno capito; capiranno tutto solo dopo, dopo la croce e dopo Pasqua. 

Capire e fare, questo è ciò che Gesù chiede ai suoi discepoli, e a noi. E questa è la beatitudine che Gesù pronuncia qui e che è il culmine del racconto della lavanda dei piedi: «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

«Se sapete… se fate…» nel sapere e nel fare sta la nostra beatitudine. Perché nel sapere e nel fare sta la nostra fede e nel sapere e nel fare sta anche la nostra libertà. Non soltanto nel sapere e non soltanto nel fare. Ma nel sapere e nel fare insieme.

Che cosa è che devono sapere – e dunque credere - i discepoli? Che Gesù è loro maestro e Signore. E questo lo sanno, Gesù dice loro: «Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono». Dunque sembra che i discepoli sappiano ciò che c’è da sapere su Gesù. 

Ma forse invece non sanno tutto o non sanno tutto nel modo corretto. Forse pensano di sapere: di sapere che Gesù è un Signore glorioso e un maestro degno di onore. E allora Gesù si spoglia e si china ai loro piedi per lavarli loro.

Devono sapere anche questo. Non basta che sappiano che Gesù è il Signore; devono anche sapere che Gesù è il Signore che si china e si fa servo e che lo fa per loro. Non basta che sappiano che Gesù è il maestro; devono anche sapere che Gesù è il maestro che insegna loro a chinarsi e a farsi servi gli uni per gli altri. Se sanno questo, allora sapranno anche che il loro fare deve andare in questa direzione, sapranno che il loro fare non deve solo imitare il gesto del maestro e Signore, ma il suo atteggiamento davanti all’altro essere umano, il suo chinarsi e farsi servo.

E potranno farlo solo se sapranno chi è veramente il maestro che hanno davanti e il Signore in cui credono. Credere consiste nel sapere e nel fare questo. Nel sapere che cosa Gesù ha fatto e che cosa Gesù chiede loro di fare per servire il prossimo che il Signore ci dà. E in questo sta la nostra beatitudine. In questo sapere e fare è la nostra fede e in questo sapere e fare è la nostra libertà. Solo se sai che sei libero perché Dio in Cristo ti ha liberato, puoi liberamente servire. Solo se sai che sei libero, che sei stato liberato in Cristo, puoi chinarti come lui a lavare i piedi al prossimo.  E allora l’umiltà non è umiliazione e il servizio non è schiavitù, ma è libertà.

Forse in questo racconto troviamo una delle immagini più alte della libertà di Gesù, della libertà assoluta di Gesù: Gesù che lava i piedi a Giuda. Gesù è così libero davanti agli esseri umani che può chinarsi ai piedi di Giuda e lavargli i piedi; ben sapendo che cosa Giuda stava per fare. Gesù è stato così libero da lavare i piedi anche a Giuda. Come è stato così libero – così ci racconta Giovanni, a differenza degli altri vangeli – da portare lui stesso la propria croce. Per ribadire che «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine», come viene detto all’inizio del racconto della lavanda dei piedi.

La libertà di Gesù è stata vera libertà non perché non aveva nulla da perdere, ma perché non aveva nulla da vincere. E la resurrezione, cioè la vittoria di Pasqua, non rende meno crudele la sua passione, non rende meno terribile la sua morte e non rende meno vero il suo farsi servo.

Sapere chi è Gesù e che cosa ha fatto per noi è la nostra fede e la nostra libertà. Ed è un sapere che include un fare; sapere e fare insieme. 

Forse è questo che ha aiutato i valdesi ad attendere così tanto tempo la libertà: forse hanno resistito secoli nel ghetto delle valli perché sapevano chi era Gesù e che cosa aveva fatto per loro. Forse hanno aspettato così lungo la libertà perché erano già liberi. E quando l’hanno avuta davvero la libertà, hanno capito che questa libertà non era soltanto un dono, ma era una vocazione, che non era soltanto questione di essere liberi ma di usare la libertà tanto attesa e ora ricevuta. Ora potevano andare a coltivare la terra in pianura anziché in montagna, potevano mettere su un’attività commerciale a Pinerolo, o andare all’università a Torino. E l’avranno senz’altro fatto. E potevano fermarsi lì. 

E invece hanno capito e sono stati aiutati a capire che o avrebbero usato quella libertà per predicare l’evangelo o non sarebbero stati nulla: “o sarete missionari o non sarete nulla”, scrisse Beckwith al moderatore di allora. Non dico questo per fare retorica o per gloriarsi di un lontano passato, ma per dire che hanno capito che la loro libertà non era per loro, ma era per l’evangelo ed era per gli italiani. Si illusero anche senz’altro che molti italiani non aspettassero altro che la predicazione evangelica, ma in ogni caso trasformarono quel dono in servizio: l’Italia che stava nascendo aveva, secondo loro, bisogno di evangelo e di scuole.

E questo fecero, così interpretarono la loro vocazione. Ne abbiamo un esempio nel tempio di Piedicavallo, in cui c’erano sala di culto, la scuola e l’abitazione della maestra, che in settimana insegnava ai bambini a leggere e scrivere e la domenica faceva scuola domenicale. 

Potremmo dire che questa fu la loro risposta alla domanda di Gesù: «capite quello che vi ho fatto?» 

Questa è la domanda che oggi la Parola di Dio pone anche a noi: «capite quello che vi ho fatto?». Capite che quello che ho fatto io per voi, dovete farlo voi per gli altri? Capite che la libertà che ho avuto io di chinarmi ai vostri piedi per lavarveli è la stessa che avete voi, miei discepoli e discepole? E capite che proprio questo è il senso e lo scopo della libertà che io – non Carlo Alberto - vi do, quello di potervi chinare senza umiliarvi e di poter servire senza essere schiavi, ma rimanendo liberi?

Il Signore ci aiuti a rispondergli ogni giorno, ci aiuti a capire e a fare, a imparare sempre di nuovo quello che ha fatto per noi e a fare ciò che vuole da noi e a tenere sempre uniti il sapere – cioè il credere - e il fare. 

Perché anche a noi Gesù dice: «Se sapete queste cose, siete beati se le fate».

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