domenica 7 febbraio 2021

Predicazione di Domenica 7 Febbraio 2021 su Luca 8,4-8 a cura di Marco Gisola

Luca 8,4-8

4 Or come si riuniva una gran folla e la gente di ogni città accorreva a lui, egli disse in parabola:

5 «Il seminatore uscì a seminare la sua semenza; e, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. 6 Un’altra cadde sulla roccia: appena fu germogliato seccò, perché non aveva umidità. 7 Un’altra cadde in mezzo alle spine: le spine, crescendo insieme con esso, lo soffocarono. 8 Un’altra parte cadde in un buon terreno: quando fu germogliato, produsse il cento per uno». Dicendo queste cose, esclamava: «Chi ha orecchi per udire oda!»



Il seminatore uscì a seminare. Così inizia una delle più note parabole di Gesù. Il seminatore uscì a seminare, e possiamo supporre, seminò a lungo, forse tutto il giorno, perché il contadino sa che quando è ora di seminare non bisogna perdere tempo e bisogna cogliere il momento giusto.

Il seminatore uscì a seminare e, come usava allora in Palestina, gettò il suo seme dappertutto. Perché allora prima si seminava e soltanto dopo si arava. Altrimenti potremmo pensare che il seminatore sia uno sciocco, o almeno un po’ distratto e getti via il seme a caso…!

Si seminava anche su quella parte di terreno che era stata usata come strada per far passare uomini e animali, su quella parte di terreno sotto la quale c’era la roccia, ma a prima vista non si vedeva, anche tra le poche piante selvatiche che erano cresciute dopo l’ultimo raccolto. E poi si passava l’aratro e si mescolava tutto insieme e dove la terra era più profonda e migliore le piante crescevano rigogliose, altrove invece cresceva poco o nulla.

Il seminatore uscì a seminare. E probabilmente a noi viene subito in mente quello che non abbiamo letto, quello che viene subito dopo questi versetti, ovvero la spiegazione del perché su alcuni terreni il seme non ha dato frutto. È l’unico caso in cui dopo la parabola di Gesù incontriamo anche una sua interpretazione, che legge la parabola come un’allegoria e mette l’accento sui diversi tipi di terreno, cioè sui diversi tipi di ascoltatori della parola, quelli che si arrendono a causa della prova, quelli soffocati dalle preoccupazioni o dalle ricchezze, ecc.

Questa interpretazione è probabilmente stata aggiunta dalla prima comunità, che si dà così una spiegazione per un fenomeno che stava osservando, e cioè il fatto che molti non aderivano alla predicazione dall’evangelo o vi aderivano per un po’ e poi tornavano indietro per vari motivi. Per questo l’interpretazione si occupa molto più del terreno che del seme o del seminatore, su cui invece si ferma Gesù nella parabola in sé. E dunque in fondo è come se avessimo due parabole, quella raccontata da Gesù e la stessa parabola riletta dalla comunità. 

Oggi vorrei però fermarmi sulla parabola in sè. Fermarsi sulla parabola vuol dire appunto non considerare tanto i terreni su cui cade il seme, ma piuttosto l’evento della semina e l’enorme frutto che ne deriva. La parabola di Gesù, infatti, una breve parabola di poche righe, ci dice almeno tre cose:

1. Partiamo dal fondo, che è il culmine della parabola: il seme che cade sul buon terreno produce il cento per uno, ovvero cento volte tanto. Un enorme raccolto!

È il frutto del Regno di Dio. Possiamo infatti supporre che, anche se non lo dice esplicitamente, questa sia una parabola del Regno. All’inizio di questo capitolo ci viene detto che Gesù «se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio» (8,1).

Dunque, il seminatore semina e il frutto – cioè il Regno - si sviluppa in modo enorme. Non dappertutto, ma dove il terreno è buono il raccolto è grandissimo! Potremmo dire con un gioco di parole: il regno non nasce dappertutto, ma dove nasce cambia tutto!

Il messaggio sintetizzato al massimo quindi è: il seminatore semina e il raccolto è eccezionale. Fuor di metafora – o meglio: fuor di parabola – Gesù viene e il suo regno cambia la vita di molte persone. Non di tutte, che qualcuno non sia toccato dalla venuta di Gesù è messo in conto. Il seminatore accetta il fatto che su alcuni terreni non nasca nulla - potremmo dire che “tollera” i terreni che non producono frutto – ma il suo raccolto è comunque grandissimo.

Il seminatore mette in conto che non tutti i terreni diano frutto, Gesù mette in conto che non tutti coloro che lo ascoltano credono in lui. 

E tuttavia, è sufficiente che il seminatore semini e il raccolto c’è, ed è grandissimo. È sufficiente che Gesù venga e il suo regno viene e trasforma l’esistenza di molte persone. 

Questa parabola è innanzitutto una promessa, è la promessa che in Gesù è presente il regno di Dio e il suo frutto è molto grande. 


2. Seconda riflessione: «il seminatore uscì a seminare e semina dappertutto». Anche sulla strada, anche sulla roccia, anche tra le spine. Abbiamo già detto perché tecnicamente fa così. Ma il succo è che anche dove il terreno non darà frutto, il seminatore getta il suo seme; anche dove non nascerà o non crescerà, il seme è comunque gettato. 

Il seminatore non decide prima di seminare qui e di non seminare là, semina dappertutto. Non lo sa dove darà frutto e dove non darà frutto. Il regno è per tutti, il regno viene per tutti, l’evangelo è annunciato a tutti.  Il seminatore non può “costringere” tutti i terreni a essere buoni terreni e a dare frutto. Non si può costringere a credere, come e quando lo desidereremmo noi. Il seminatore semina, quello è il suo mestiere, dove il seme darà frutto e dove non darà frutto non dipende da lui.

E probabilmente l’anno successivo tornerà a seminare di nuovo quel terreno e di nuovo seminerà dappertutto, perché sempre il seme è per tutti, sempre il regno è per tutti. Tutti possono essere terreno buono e dare frutto. Questa è la ragione per cui il seminatore esce a seminare.


3. Terza ed ultima riflessione: «il seminatore uscì a seminare…» e continua ad uscire a seminare. Come un campo viene seminato ogni anno, Gesù viene ogni giorno ad annunciarci il regno di Dio, a seminare questo evangelo in noi sperando che dia frutto.

Cercando di interpretare questa parabola nei vv. successivi, la prima comunità cristiana nella sua allegoria sui vari tipi di terreno, ha fatto bene a dire che il seme è la parola di Dio. Oggi Gesù continua a seminare attraverso la sua parola, letta, ascoltata, pregata e meditata. 

La semina continua, non si è interrotta e non si interrompe. Noi siamo certo chiamati ad annunciare l’evangelo del regno, ad annunciare Gesù che porta il regno di Dio nella vita di chi lo incontra. Ma non dobbiamo identificarci troppo in fretta con il seminatore, perché continuiamo ad essere in primo luogo il terreno. Il seminatore, se proprio vogliamo fare anche noi un’allegoria, casomai è lo Spirito Santo, che si serve delle nostre povere voci e delle nostre povere vite per seminare l’evangelo del regno. Ma prima di tutto il seme viene seminato dentro di noi, prima di tutto siamo il terreno che riceve il seme, che riceve l’evangelo, che riceve il perdono, che riceve in dono la fede e la speranza.

Noi siamo il terreno che riceve tutto questo e riceve certamente anche la vocazione a dare frutto, nell’amore e nel servizio. 

Dare frutto: è il nostro compito, è la nostra vocazione, la vocazione di ognuno e ognuna di noi; e lo possiamo fare, lo possiamo fare solo perché la semina non si interrompe, perché «il seminatore uscì a seminare…» e continua ad uscire a seminare.

La semina continua, non si interrompe mai, lo Spirito lavora instancabilmente perché anche i terreni più refrattari, quelli più secchi, quelli più rocciosi, quelli più spinosi, quelli più stanchi, quelli più feriti, diano qualche frutto.

Il seminatore esce a seminare e semina l’evangelo del regno in noi e per noi. Questa è la promessa che questa parabola di Gesù fa a tutti coloro che l’ascoltano, che sono invitati a confidare nel seminatore, ovvero nel Signore che mantiene le sue promesse.

È promessa e dono di Dio la semina, ed è promessa e dono di Dio il raccolto; questa parabola è promessa e dono dall’inizio alla fine. Noi che l’ascoltiamo siamo destinatari del dono e della promessa. Grati per questo al Signore, non possiamo che chiedergli di aiutarci a portare un po’ di quel frutto che gli è gradito, di aiutarci a riconoscere in Gesù il seminatore che semina il suo regno che può cambiare tutto e trarre da un terreno incolto – che siamo noi - un grande raccolto, pieno dei frutti della sua grazia.

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