lunedì 12 aprile 2021

Predicazione di Domenica 11 aprile 2021 su Giovanni 21,1-14 a cura di Marco Gisola

Dopo queste cose, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli presso il mare di Tiberiade; e si manifestò in que­sta ma­niera. Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e due altri dei suoi di­scepoli erano insieme. Simon Pietro disse loro: «Vado a pescare». Essi gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Uscirono e salirono sulla barca; e quella notte non presero nulla. Quando già era mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che era Gesù. Allora Gesù disse loro: «Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No». Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero di pesci. Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signo­re!» Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse la veste, perché era nudo, e si gettò in mare. Ma gli altri disce­poli vennero con la barca, perché non erano molto distanti da terra (circa duecento cubiti), trascinando la rete con i pesci. Appena scesero a terra, videro là della brace e del pesce messovi su, e del pane. Gesù disse loro: «Portate qua dei pesci che avete preso ora». Simon Pietro allora salì sulla barca e tirò a terra la rete piena di centocin­quantatré grossi pesci; e benché ce ne fossero tanti, la rete non si strappò. Gesù disse loro: «Venite a fare co­lazione». E nes­suno dei discepoli osava chiedergli: «Chi sei?» Sapendo che era il Signore. Gesù venne, pre­se il pane e lo diede loro; e così anche il pesce. Questa era già la terza volta che Gesù si manifestava ai suoi discepoli, dopo esser risuscitato dai morti.


Gesù è risorto. E che cosa fanno i discepoli? Vanno a pescare. Gesù è risorto, ma non c’è, non è lì, i discepoli sono soli e che cosa fanno? Come tutti gli esseri umani non possono non preoccuparsi del loro sostentamento cioè di procurarsi da mangiare.

Questo racconto vuole dire ai discepoli – e a noi - che invece Gesù c’è, perché è risorto e ha una parola da dire loro, ha un compito da dare loro, e a noi.

Questo racconto ha due stranezze: la prima è che ci viene detto che questa è la terza volta che Gesù appare ai discepoli, ma leggendo il racconto sembra proprio che sia una prima volta, anche perché qui i discepoli sono in Galilea e non a Gerusalemme come nei primi due incontri del cap. 20.

E tra l’altro il vangelo di Giovanni era già finito al cap. 20 e solo dopo è stato aggiunto il cap. 21. Leggiamo dunque questo racconto come se fosse il primo incontro dei discepoli con Gesù risorto.

La seconda è che è quasi uguale a un racconto che troviamo nel vangelo di Luca, dove, anche lì, Gesù va incontro a questi pescatori che non hanno preso nulla tutta la notte e li rimanda a pescare, ma lì non è il risorto, bensì il Gesù terreno che fa questo e anzi è proprio e solo dopo quella pesca che li chiama a essere suoi discepoli e a diventare pescatori di uomini.

Quello di Luca è un racconto dell’inizio della vicenda di Gesù con i suoi discepoli, qui siamo alla fine, perché Gesù è risorto, o forse potremmo meglio dire che siamo a un nuovo inizio.

Inutile romperci la testa chiedendoci se uno dei due ha influito sull’altro, o quale sia più antico. Cogliamo il bello di questo doppio racconto che ci dice due volte che Gesù va a cercare i suoi discepoli (in Luca futuri discepoli) e fa sì che la loro pesca abbia un grande successo, ovvero ci dice due volte che ascoltando la parola di Gesù, un fallimento si trasforma in un successo.

Anzi, di più: l’esistenza di questo doppio racconto ci dice che dei pescatori diventano discepoli perché ascoltano la parola di Gesù e che dei discepoli pescatori diventeranno apostoli perché ascoltano la parola di Gesù. Ascoltando la parola di Gesù si diventa in grado di essere quello che lui vuole che siamo.



1. Il primo aspetto che mi sembra importante di questo racconto è proprio il fatto che Gesù va a cercare i suoi discepoli. I discepoli sono in Galilea, lontano da Gerusalemme dove sono accaduti gli eventi cruciali della passione e della morte di Gesù, e poi il ritrovamento della tomba vuota….

I discepoli sono ora lontani da quei luoghi e forse anche lontani col pensiero, pensano ad altro; i discepoli sono lontani e Gesù va loro vicino, va lui a cercarli.

Vuole incontrarli e dare loro fiducia, e vuole dare loro un senso e uno scopo. Non lo hanno perduto, anzi, la presenza del risorto è un dono che dà senso e dà frutto al loro agire. La pesca ha qui un significato anche simbolico, rappresenta la predicazione che i discepoli saranno chiamati a portare da ora in poi.

E non solo Gesù va a cercare i suoi discepoli quando sono lontani, ma li va a cercare nel momento in cui la loro fatica non ha dato nessun frutto: Gesù va a cercare i suoi discepoli nel loro fallimento e lo trasforma in un successo. Ma successo non è la parola giusta, perché la pesca non è frutto dei loro sforzi, ma è opera di Gesù, è dono di Dio.

La parola giusta è dono: Gesù risponde al loro fallimento con un dono. Questo racconto è un bellissimo commento pratico alla parola che Gesù aveva detta loro nel discorso sulla vite e i tralci: «senza di me non potete far nulla».

Ma il racconto vuole che andiamo oltre il miracolo; nel vangelo di Giovanni i miracoli sono chiamati “segni”, sono sempre segni del fatto che la presenza/parola di Gesù trasforma la realtà. Il lavoro dei discepoli, che non sarà più quello di pescare ma quello di annunciare l’evangelo, dà molto frutto.

Questo racconto biblico ci ricorda innanzitutto che ciò che noi stiamo facendo non è una nostra opera, ma è un dono che riceviamo e che se c’è un qualche risultato non è frutto dei nostri sforzi, ma è anch’esso un dono di Dio, è frutto della sua Parola che noi ascoltiamo, come i discepoli hanno ascoltato la parola di Gesù che ha detto loro di gettare di nuovo le reti.

Avevano già lavorato tutta la notte e non avevano preso nulla. Il nulla è il risultato della loro fatica. La rete piena è il frutto della loro obbedienza alla parola del Cristo risorto. Non è il loro lavoro che da frutto, è la parola che essi ascoltano da Gesù risorto che dà frutto.



2. Un secondo grosso tema di questo racconto è il tema del riconoscere Gesù. O meglio del loro non riconoscere Gesù. I discepoli non riconoscono Gesù risorto, non subito, non tutti allo stesso tempo. Ma il riconoscere non è una questione soltanto fisica, di capire chi è quell’uomo che sta lì davanti a loro. In Giovanni conoscere/riconoscere Gesù ha il significato di credere, di fidarsi di lui.

Il primo a riconoscere Gesù è “il discepolo che Gesù amava”, che lo riconosce – come dice Calvino nel suo commento - non con gli occhi ma per ciò che Gesù ha compiuto. Non è cioè un riconoscimento fisico, ma un riconoscimento nella fede: lo riconoscono dopo aver ascoltato e messo in pratica la sua parola.

Infatti un’altra stranezza di questo racconto è che i discepoli fanno ciò che Gesù dice e gettano le reti, prima di aver capito che è Gesù. Ma questa stranezza ci vuole dire che non è il vedere il risorto che conta, ma è ascoltarlo. Chi lo ascolta lo riconosce e giunge alla fede.

E perché proprio il discepolo che Gesù amava, di cui non sappiamo il nome, lo riconosce prima degli altri? Che cosa ha in più degli altri? Questo misterioso discepolo, così importante nel vangelo di Giovanni, ha in fondo un’unica particolarità: quella di essere amato da Gesù. Non che gli altri non siano amati, ma lui è sempre solo definito così, come il discepolo che Gesù amava.

Riconoscere Gesù significa allora in primo luogo riconoscere di essere amati da lui. Conoscere Gesù equivale a sperimentare il suo amore per noi. È il suo amore per noi – non il nostro per lui – che ce lo fa riconoscere.

E quando è invece che Pietro riconosce Gesù? Pietro riconosce Gesù – e dunque crede che quell’uomo è davvero Gesù risorto - dopo che glielo ha detto il discepolo che Gesù amava. Potremmo dire che Pietro (quello più in vista tra i discepoli) viene “evangelizzato” dal discepolo che Gesù amava, riceve da lui il gioioso annuncio «è il Signore!», ovvero che Gesù è risorto.

Persino Pietro riconosce il risorto dopo aver ricevuto l’annuncio. Per riconoscere Gesù e credere in lui abbiamo bisogno di ricevere l’annuncio, abbiamo bisogno che qualcuno ce lo dica che Gesù è lì, che Gesù è risorto, anche se non lo riconosciamo pienamente o con la chiarezza che vorremmo.



3. E infine un terzo aspetto importante di questo brano è la sua conclusione: il racconto si conclude con un pasto comune, con una colazione consumata insieme. Avrete forse notato un particolare: Gesù ha chiesto ai discepoli di tornare a pescare dopo che non avevano preso nulla, i discepoli pescano un gran numero di pesci, dopo la pesca sono invitati da Gesù a mangiare insieme con lui e che cosa scoprono? Che del pesce sulla brace c’era già.

Gesù ne ha messo lui stesso sulla brace, e c’è anche del pane! Gesù aveva già del pesce e anche del pane. Che cosa significa questo? Significa che se l’obiettivo fosse stato solo quello di fare colazione insieme, non sarebbe servito tornare a pescare, perchè il cibo c’era già.

Il racconto ci vuole dire che Gesù non ha bisogno dei discepoli ma vuole servirsi di loro. Dio non ha bisogno di noi, non siamo indispensabili. Non siamo necessari, ma siamo desiderati, siamo amati, e dunque chiamati a partecipare alla pesca, ascoltando e mettendo in pratica la sua parola.

Gesù ci vuole pescatori, ci vuole apostoli, annunciatori e facitori del suo evangelo di grazia e di giustizia.

Ma l’esito del racconto non è soltanto la pesca miracolosa, è anche la comunione miracolosa con il risorto, simboleggiata dal pasto consumato insieme. Come Gesù usava mangiare con i suoi discepoli e con coloro che incontrava, anche qui il risorto mangia con i suoi discepoli, segno che è veramente risorto.

La comunione con il risorto inizia con l’ascolto e la pratica della sua parola e si compie nella comunione del pasto comune. Dall’ascolto alla comunione: l’ascolto della parola del risorto è comunione con il risorto.


Questo racconto ci dice che Gesù è risorto e viene a cercarci, per annunciarci la sua parola, che vuole essere ascoltata e praticata; e che questa parola, ascoltata e praticata, dà molto frutto, perché vuole compiere la sua opera attraverso di noi.

E ci dice che al termine della nostra opera, lui stesso ci inviterà alla sua mensa, dove troveremo del pesce già pronto sulla brace, perché quello che cerchiamo di fare noi in realtà lo ha già fatto lui, e non ci resterà che gioire della sua comunione.









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