martedì 27 aprile 2021

Predicazione di domenica 25 aprile 2021 su Atti 17,19-34 a cura di Marco Gisola

 Atti 17,19-34

 Presolo [Paolo] con sé, lo condussero su nell’Areòpago, dicendo: «Potremmo sapere quale sia questa nuova dottrina che tu proponi? Poiché tu ci fai sentire cose strane. Noi vorremmo dunque sapere che cosa vogliono dire queste cose». Or tutti gli Ateniesi e i residenti stranieri non passavano il loro tempo in altro modo che a dire o ad ascoltare novità.  E Paolo, stando in piedi in mezzo all’Areòpago, disse:

«Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi.  Poiché, passando, e osservando gli oggetti del vostro culto, ho trovato anche un altare sul quale era scritto: Al dio sconosciuto. Orbene, ciò che voi adorate senza conoscerlo, io ve lo annuncio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo; e non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa.  Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci moviamo, e siamo, come anche alcuni vostri poeti hanno detto: "Poiché siamo anche sua discendenza". Essendo dunque discendenza di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile a oro, ad argento, o a pietra scolpita dall’arte e dall’immaginazione umana. Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti».

 Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni se ne beffavano; e altri dicevano: «Su questo ti ascolteremo un’altra volta». Così Paolo uscì di mezzo a loro. Ma alcuni si unirono a lui e credettero; tra i quali anche Dionisio l’areopagita, una donna chiamata Damaris, e altri con loro.



«Ateniesi, vedo che sotto ogni aspetto siete estremamente religiosi». Paolo è molto astuto e per predicare l’evangelo agli ateniesi parte dalla loro religiosità, religiosità pagana, mista alla grande cultura filosofica e politica che gli ateniesi del primo secolo avevano ereditato dai loro antenati, quelli che noi chiamiamo i classici dell’antica Grecia.

Atene non era più quella di cinque secoli prima, ma le persone colte e libere passavano il loro tempo sull’areopago, luogo dove nella Atene del quinto secolo aveva sede un importante tribunale. Ora era un luogo dove le persone più in vista e più colte si dilettavano a discutere di filosofia, di politica e di religione. Gli schiavi invece, ovviamente lavoravano dalla mattina alla sera e non avevano tempo per la politica e la filosofia.

E questi uomini colti sono disposti, forse anche incuriositi, ad ascoltare questo ebreo di cultura greca, che parla loro greco, che è Paolo. Sono sempre assetati di novità, e anche questa nuova religione suscita la loro curiosità.

Paolo parte menzionando un altare, che ha visto in città, intitolato al Dio sconosciuto. Il Dio che a voi è sconosciuto io ve lo faccio conoscere, dice in modo che forse oggi giudicheremmo un po’ presuntuoso…

Paolo parte dalla religiosità degli ateniesi, ma nel suo discorso smonta pezzo per pezzo la loro religione per arrivare ad annunciare la rivelazione e il culmine della rivelazione di Dio in Cristo che è la resurrezione.

Anche il cristianesimo, dal punto di vista sociologico, cioè visto e analizzato dal di fuori, è una religione, accanto a molte altre: ebraismo, islam, buddismo, induismo… ma vista dall’interno, la fede cristiana è una fede fondata su una rivelazione, cioè una libera iniziativa di Dio.

Potremmo dire che la religione o religiosità, o pratica religiosa è ciò che l’essere umano fa per Dio. La rivelazione è ciò che Dio fa per l’essere umano.

Paolo parte dalla creazione, ma non può partire dalla Bibbia, dal libro della Genesi, perché gli ateniesi non la conoscono. Però lui ce l’ha bene in mente e parte parlando del Dio creatore:

«Il Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo; e non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa. Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra»

Già qui mette in discussione un tratto tipico della religiosità greca: il politeismo. Dio è uno e ha creato il mondo e ha creato tutte le nazioni. Dio è uno e ha creato non solo tutto, ma tutti, tutte le nazioni, tutti i popoli.

Dunque non un Dio per ogni occasione, uno per la fecondità, uno per la fertilità, uno per la pace, una per la guerra… ma un Dio solo. E sopratutto non un Dio per ogni popolo, ma un Dio che ha creato tutti gli esseri umani, tutti i popoli.

Ancora oggi, nel ventunesimo secolo, il razzismo è una piaga per l’umanità, figuriamoci allora. C’erano i greci, popolo che si riteneva superiore per lingua, cultura, arte…. E poi c’erano tutti gli altri, i cosiddetti barbari, cioè coloro che non parlano greco. Era una definizione per negazione: non parli greco, non sei greco, sei altro, sei barbaro.

Anche gli ebrei dunque erano barbari. E Paolo – questo ebreo che parla greco - viene a dire che tutte le nazioni vengono da un solo Dio. Prima cosa sconcertante per le colte orecchie greche.

E poi dice che questo Dio «non abita in templi costruiti da mani d’uomo; e non è servito dalle mani dell’uomo, come se avesse bisogno di qualcosa; lui, che dà a tutti la vita, il respiro e ogni cosa». Non siamo noi a fargli una casa, non siamo noi a dargli qualcosa, ma è lui che dà a noi la vita, il respiro e ogni cosa. Il Dio annunciato da Paolo non è un Dio che chiede ma è un Dio che dà.

Noi che diamo a Dio, noi che vogliamo andare a Dio: questa è la religione. Dio che viene a noi, Dio che dà a noi: questa è la rivelazione. E finora – potremmo dire – è la rivelazione del Dio di Israele. Infatti, ciò che Paolo ha detto finora, avrebbe potuto dirlo anche un ebreo.

Il fondamento di ciò che ha detto Paolo fino ad ora sta nella fede nel Dio unico e creatore e nella critica dell’idolatria, cioè nell’AT. Perché anche l’AT è rivelazione, che Dio ha dato a Israele attraverso la Torah, sua volontà rivelata a Mosè sul Sinai.

Ma questa è solo la prima tappa della rivelazione, Paolo prepara così l’annuncio della rivelazione in Cristo:

«Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti».

Dio ha creato tutte le nazioni, ora dunque tutti gli esseri umani sono chiamati a ravvedersi. Anche i colti greci. Tutti uguali nella creazione, tutti uguali nell’appello al ravvedimento.

E tutti uguali nel giudizio che Dio farà «per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito», cioè ha scelto, e che ha risuscitato dai morti. Alle loro orecchie l’annuncio della resurrezione suona troppo strano, inconcepibile. Tutto ciò che Paolo aveva detto fino a quel momento era ancora ascoltabile, ma questo no. Che un uomo venga risuscitato dai morti è troppo.

Si poteva pensare a una morte eroica o affrontata a testa alta come aveva fatto il filosofo Socrate, che aveva accettato di essere condannato a morte, benché innocente, ma l’idea della resurrezione non apparteneva al pensiero greco.

E dunque: «Su questo ti ascolteremo un’altra volta…». Quando il discorso di Paolo arriva all’annuncio della resurrezione i colti ateniesi se ne vanno.

Ma non tutti. L’ultimo versetto del racconto del libro degli Atti ci dice «Ma alcuni si unirono a lui e credettero; tra i quali anche Dionisio l’areopagita, una donna chiamata Damaris, e altri con loro».

Abbiamo due nomi, un uomo, membro dell’Areopago, cioè dell’assemblea degli ateniesi, e una donna e poi altri anonimi.

Notiamo che non c’è alcuna parola di condanna o di giudizio nei confronti di coloro che non credono e se ne vanno. Non è stato così per gran parte della storia del cristianesimo.

L’accento è posto invece su coloro che hanno creduto, e questi due nomi ci dicono che di questo Dionisio e di questa Damaris si è conservata testimonianza. Loro due e gli altri, anonimi, sono persone, vite, storie.

Un successo o un fallimento? Ai nostri occhi, abituati a valutare successo e fallimento in base alla quantità, ai numeri, è un fallimento, non totale ma quasi. Per l’autore degli Atti è un successo, perché ci dice che l’evangelo ha attecchito anche ad Atene.

Dionisio, Damaris e qualcun altro hanno creduto, per loro Dio non è più sconosciuto e la morte non è più soltanto la fine da affrontare a testa alta, ma è il nemico che Cristo ha affrontato per noi e ha vinto.

Dopo Paolo avrà parlato loro della croce di Cristo, dei suoi insegnamenti, di tutta la storia di Israele e dei suoi profeti che lo hanno preannunciato…

Ma la svolta avviene con la fede nella resurrezione, la svolta dal Dio sconosciuto al Dio conosciuto perché rivelato in Cristo, la svolta dalla religione che vuole far abitare Dio in templi fatti da mano d’uomo alla rivelazione del crocifisso risorto e salito in cielo.

Tre domeniche dopo Pasqua questo racconto ci dice che per la fede è sempre Pasqua, che Pasqua è il centro della fede e il momento in cui la fede nasce e rinasce, il momento in cui non si cerca più Dio come a tentoni, ma lo si incontra perché Cristo è risorto e viene a noi nell’annuncio dell’evangelo e con lui risorge la nostra fede, la nostra speranza, la nostra vita.



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