venerdì 2 aprile 2021

Predicazione di Venerdì 2 aprile 2021 (Venerdì Santo) su Isaia 52,13-53,12 a cura di Marco Gisola

Isaia 52,13 - 53,12

52,13 Ecco, il mio servo prospererà, sarà innalzato, esaltato, reso sommamente eccelso.
14 Come molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti (tanto era disfatto il suo sembiante al punto da non sembrare più un uomo, e il suo aspetto al punto da non sembrare più un figlio d’uomo),
15 così molte saranno le nazioni di cui egli desterà l’ammirazione; i re chiuderanno la bocca davanti a lui, poiché vedranno quello che non era loro mai stato narrato, apprenderanno quello che non avevano udito.
53:1 Chi ha creduto a quello che abbiamo annunciato? A chi è stato rivelato il braccio del SIGNORE?
2 Egli è cresciuto davanti a lui come una pianticella, come una radice che esce da un arido suolo;
non aveva forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né aspetto tale da piacerci.
3 Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.
4 Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato;
ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!
5 Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità;
il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
6 Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7 Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca.
8 Dopo l’arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo? 9 Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c’era stato inganno nella sua bocca.
10 Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti. Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani.
11 Dopo il tormento dell’anima sua vedrà la luce e sarà soddisfatto; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti, si caricherà egli stesso delle loro iniquità.
12 Perciò io gli darò in premio le moltitudini, egli dividerà il bottino con i molti, perché ha dato se stesso alla morte ed è stato contato fra i malfattori; perché egli ha portato i peccati di molti e ha interceduto per i colpevoli.



«Vedranno quello che non era loro mai stato narrato, apprenderanno quello che non avevano udito». Che cos’è che non era mai stato narrato e che nessuno aveva mai udito raccontare? Che cos’è questa cosa nuova che il Signore compie per il suo popolo? La grande novità è rappresentata dalla figura del servo di Dio, figura che per noi è incarnata in Gesù di Nazaret, che Israele ovviamente interpreta in modo diverso, ma noi cristiani vediamo in lui il servo sofferente di Dio, che vive la drammatica esperienza della croce, che stasera ricordiamo insieme.
E questa novità incarnata dal servo, di cui il profeta parla al popolo, è da un lato che egli, il servo, che il popolo aveva giudicato percosso e abbandonato da Dio, era tutt’altro che abbandonato, ma era anzi il servo del Signore, il suo prescelto; anche nell’ebraismo ci sono delle interpretazioni messianiche di questo brano. Colui che noi - e in questo “noi” comprendiamo veramente anche noi - avevamo giudica­to percosso e abbandonato da Dio, era invece il suo servo, anzi per noi cristiani, era il suo figlio, che rivelava il volto e il cuore del Padre. Lo pensavamo lontano da Dio, appa­riva lontano, lontanissimo da Dio, e invece era il più vicino a Dio, era il suo servo, il suo figlio.

E in secondo luogo la grande novità rivelata da Dio attraverso Isaia, è che questo servo del Signore, che soffre in silenzio le ingiustizie e le violenze da parte degli esseri umani, «è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità». Dunque non solo colui che è percosso non è abbandonato da Dio ma, al contrario, è il suo servo, ma il suo soffrire è un soffrire per noi.
La grande novità è che il legame tra colpa e sofferenza – quel legame che già Giobbe contestava – qui è spezzato da Dio stesso: la colpa è del popolo, ma la sofferenza è del servo, che è innocente. Noi possiamo dire: la colpa è nostra, ma la sofferenza è di Gesù. Il legame tra colpa e sofferenza è spezzato, ed è spezzato da Dio stesso, attraverso il suo servo, che per noi è il suo figlio e nostro Signore.
Chi ha illustrato in un modo molto bello questo fatto è Lutero, che parla di ciò che Gesù ha fatto per noi come un “felice scambio”; questa è l’espressione che Lutero usa per descrivere quel che Gesù ha fatto per noi: felice scambio nel senso che Gesù ha preso su di sé ciò che è nostro e ci ha dato ciò che è suo, ha preso su di sé il nostro peccato e ci ha dato la sua grazia:

“Cristo è pieno di grazia, vita e salvezza, l’anima è piena di peccato, morte e dannazione. Ora si interpone tra loro la fede e accade che il peccato, la morte e l’inferno sono di Cristo, mentre la grazia, la vita e la salvezza sono dell’anima […] Se Cristo ha tutti i beni e la beatitudine, questo son propri dell’anima. Se l’anima ha in sé ogni difetto e peccato, questi diventano propri di Cristo. Qui si compie il felice scambio…” (La libertà del cristiano).

E questo “felice scambio” di cui parla Lutero avviene proprio sulla croce. Non solo il servo di Dio – per noi Gesù di Nazaret – che appare abbandonato da Dio è in realtà il suo servo, ma il suo servizio compie il nostro riscatto, perché il figlio di Dio si è fatto servo non solo di Dio ma di noi umani prendendo la nostra umanità e portandola fino in fondo, «fino alla morte, e alla morte di croce» (Filippesi 2).
Questa idea di scambio ci aiuta a capire il significato della morte di Gesù forse meglio di quell’altro modo di parlare della croce che torna spesso nel Nuovo Testamento, che è l’idea di “sacrificio”. L’idea di sacrificio fa pensare a molti a un Dio crudele che ha bisogno del sacrificio di Gesù per essere placato. Ma non è nulla di tutto ciò. Intanto, il linguaggio sacrificale deriva ovviamente dal culto sacrificale del tempio e poi era un linguaggio comprensibile anche ai pagani, per questo probabilmente è stato così usato. Ma non si tratta di un sacrificio per placare Dio, ma esattamente il contrario: è stato casomai un sacrificio di Dio, nella persona di Gesù.
Lo possiamo leggere proprio nel senso di Lutero, è uno scambio, è Dio che – in Cristo - si mette al nostro posto, che prende su di sé le conseguenze della nostra colpa. E la nostra colpa è il rifiuto che gli opponiamo. Dio viene nella carne dell’uomo Gesù, ma l’umanità lo rifiuta, e poiché Dio viene nella carne, cioè nella vita umana di un essere umano, il modo migliore per rifiutarlo è togliergli la vita, ucciderlo.

La morte di Gesù è il rifiuto che l’umanità oppone al Dio che, in Cristo, viene a portare il suo regno. E il fatto che Gesù vada “obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” è lo scambio, è il fatto che accetta di essere respinto anziché ascoltato, disprezzato anziché lodato, e infine ucciso anziché seguito.
A volte ci viene naturale la domanda se fosse necessario arrivare fino a questo punto, se Dio non poteva fermare gli assassini di Gesù, se davvero Dio aveva bisogno che Gesù morisse. Ma non è Dio che aveva bisogno che Gesù morisse, era l’umanità che ha avuto bisogno – o ha pensato di avere bisogno – di eliminare Gesù. E Dio non ha fermato gli assassini perché in Gesù si è fatto servo e ha scelto di mettersi totalmente nelle mani degli esseri umani fino alle estreme conseguenze, e questa estrema conseguenza, cioè la morte, è colpa degli esseri umani, non di Dio.
L’umanità ha opposto il suo rifiuto a Dio, e per farlo si è unita in una alleanza che potrebbe sembrare strana, ma non lo è, tra potere politico (Pilato), potere religioso (i capi degli ebrei - e non gli ebrei tout-court) e la folla, e in questa alleanza l’umanità ha esercitato tutta la sua ferocia. E davanti alle estreme conseguenze della ferocia umana, si è rivelato l’estremo amore di Dio per noi.

Alla ferocia senza limiti degli esseri umani – ferocia che vediamo ogni giorno nelle guerre, nelle stragi, nelle ingiustizie inenarrabili che accadono in ogni angolo del pianeta – Dio ha risposto con il suo amore senza limiti. Perché questa è in fondo la differenza sostanziale tra l’amore di Dio e il nostro: che il nostro amore è pieno di limiti - e il limite principale siamo noi stessi – mentre quello di Dio è senza limiti, al punto da non porre limiti alla ferocia e all’odio umani.

Che cos’è che non era mai stato narrato e che nessuno aveva mai udito raccontare? È questo amore senza limiti che Dio manifesta nella croce su cui muore Gesù. La profezia di Isaia si realizza per noi nella croce di Cristo, che rappresenta allo stesso tempo il nostro limite più grande - cioè il rifiuto che l’umanità ha opposto a Dio e che anche noi gli opponiamo ogni giorno - e l’amore senza limiti di Dio, che arriva fino alla morte di croce del suo figlio.
Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni […] il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui: nello scambio tra la nostra colpa e la sua grazia – scambio per noi felice, perché è la nostra salvezza – si rivela l’amore senza limiti di Dio, perché sono le nostre trasgressioni quelle per cui è stato trafitto, le ha prese su di sé, le ha portate su di sé, per portarle via da noi, perché noi avessimo pace.

Ma è vera anche l’altra parte della profezia, quello che Isaia dice all’inizio e alla fine di questo canto: «il mio servo prospererà, sarà innalzato, esaltato, reso sommamente eccelso». Dio non lo lascerà in balia della morte, lo riscatterà nella resurrezione e proclamerà che quello è proprio il suo servo, il suo figlio nel quale ha voluto rivelare il suo amore senza limiti, che la ferocia umana non ha potuto sconfiggere.
L’amore senza limiti di Dio non è stato limitato, fermato, nemmeno dal limite di ogni vita, cioè dalla morte che l’umanità ha inflitto al suo servo, al suo figlio.
E così il servo, «Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza». Quella discendenza sono coloro che credono in lui, siamo anche noi, riscattati a caro prezzo dall’amore senza limiti di Dio.
Lo siamo per grazia, e per questo ogni giorno – ma soprattutto in questo giorno in cui guardiamo alla croce di Cristo – possiamo mettere tutti i nostri limiti e tutte le nostre colpe nelle mani dell’amore senza limiti che Dio in essa, nella croce, ci rivela. E lodarlo e ringraziarlo senza fine. Amen

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