domenica 4 aprile 2021

Predicazione di Domenica 4 aprile 2021 (Pasqua di risurrezione) su Esodo 14,5-31 a cura di Marco Gisola

Esodo 14,5-31

5 Quando dissero al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi servitori mutò sentimento verso il popolo, e quelli dissero: «Che abbiamo fatto rilasciando Israele? Non ci serviranno più!» 6 Allora il faraone fece attaccare il suo carro e prese il popolo con sé. 7 Prese seicento carri scelti, tutti carri d’Egitto, e su tutti c’erano dei capitani. 8 Il SIGNORE indurì il cuore del faraone, re d’Egitto, ed egli inseguì i figli d’Israele che uscivano a testa alta. 9 Gli Egiziani dunque li inseguirono. Tutti i cavalli, i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito li raggiunsero mentre essi erano accampati presso il mare, vicino a Pi-Achirot, di fronte a Baal-Sefon.

10 Quando il faraone si avvicinò, i figli d’Israele alzarono gli occhi; ed ecco, gli Egiziani marciavano alle loro spalle. Allora i figli d’Israele ebbero una gran paura, gridarono al SIGNORE, 11 e dissero a Mosè: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto? Che cosa hai fatto, facendoci uscire dall’Egitto? 12 Era appunto questo che ti dicevamo in Egitto: "Lasciaci stare, ché serviamo gli Egiziani!" Poiché era meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto». 13 E Mosè disse al popolo: «Non abbiate paura, state fermi e vedrete la salvezza che il SIGNORE compirà oggi per voi; infatti gli Egiziani che avete visti quest’oggi, non li rivedrete mai più. 14 Il SIGNORE combatterà per voi e voi ve ne starete tranquilli».

15 Il SIGNORE disse a Mosè: «Perché gridi a me? Di’ ai figli d’Israele che si mettano in marcia. 16 Alza il tuo bastone, stendi la tua mano sul mare e dividilo; e i figli d’Israele entreranno in mezzo al mare sulla terra asciutta. 17 Quanto a me, io indurirò il cuore degli Egiziani e anch’essi entreranno dietro di loro; io sarò glorificato nel faraone e in tutto il suo esercito, nei suoi carri e nei suoi cavalieri. 18 Gli Egiziani sapranno che io sono il SIGNORE, quando sarò glorificato nel faraone, nei suoi carri e nei suoi cavalieri».

19 Allora l’angelo di Dio, che precedeva il campo d’Israele, si spostò e andò a mettersi dietro a loro; anche la colonna di nuvola si spostò dalla loro avanguardia e si fermò dietro a loro, 20 mettendosi fra il campo dell’Egitto e il campo d’Israele. La nuvola era tenebrosa per gli uni, mentre rischiarava gli altri nella notte. Il campo degli uni non si avvicinò a quello degli altri per tutta la notte.

21 Allora Mosè stese la sua mano sul mare e il SIGNORE fece ritirare il mare con un forte vento orientale, durato tutta la notte, e lo ridusse in terra asciutta. Le acque si divisero, 22 e i figli d’Israele entrarono in mezzo al mare sulla terra asciutta; e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra. 23 Gli Egiziani li inseguirono e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri, i suoi cavalieri, entrarono dietro a loro in mezzo al mare. 24 E la mattina verso l’alba, dalla colonna di fuoco e dalla nuvola il SIGNORE guardò verso il campo degli Egiziani e lo mise in rotta. 25 Tolse le ruote dei loro carri e ne rese l’avanzata pesante; tanto che gli Egiziani dissero: «Fuggiamo davanti a Israele, perché il SIGNORE combatte per loro contro gli Egiziani».

26 Allora il SIGNORE disse a Mosè: «Stendi la tua mano sul mare e le acque ritorneranno sugli Egiziani, sui loro carri e sui loro cavalieri». 27 Mosè stese la sua mano sul mare e il mare, sul far della mattina, riprese la sua forza, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli andavano incontro. Il SIGNORE precipitò così gli Egiziani in mezzo al mare. 28 Le acque ritornarono e ricoprirono i carri, i cavalieri e tutto l’esercito del faraone che erano entrati nel mare dietro agli Israeliti. Non ne scampò neppure uno. 29 I figli d’Israele invece camminarono sull’asciutto in mezzo al mare, e le acque formavano come un muro alla loro destra e alla loro sinistra.

30 Così, in quel giorno, il SIGNORE salvò Israele dalle mani degli Egiziani, Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare. 31 Israele vide la grande potenza con cui il SIGNORE aveva agito contro gli Egiziani. Il popolo perciò ebbe timore del SIGNORE, credette nel SIGNORE e nel suo servo Mosè. 


L’annuncio della resurrezione di Cristo ci viene oggi incontro nella forma del racconto di liberazione per eccellenza della Bibbia, la liberazione di Israele dalla schiavitù in Egitto. Israele che cammina sulla terra asciutta in mezzo a due muri di acqua, immagine della liberazione compiuta da Dio, è oggi, domenica di Pasqua, per noi immagine della vita nuova che la resurrezione spalanca davanti a noi e in cui siamo chiamati a camminare.

Inquadriamo un attimo il racconto di Esodo: tutta la prima parte del libro dell’Esodo ci narra il conflitto che c’è tra Dio e Faraone, che è in tutto il racconto veramente l’avversario di Dio. La grossa questione che c’è al centro del libro dell’Esodo è se Israele debba servire Dio oppure servire Faraone. 

Quando Faraone e la sua corte vengono a sapere che gli Israeliti sono partiti, si pentono di averli lasciati andare e si dicono: «Che abbiamo fatto rilasciando Israele? Non ci serviranno più!», cioè non saranno più nostri servi.

Dio vuole invece che gli Israeliti siano suoi servi, perché solo essere servi di Dio equivale ad essere liberi. Servire Dio significa riconoscere che Dio è fonte di vita e di libertà e dunque mettere in pratica la sua volontà di vita e libertà che rivelerà a Mosè dandogli la Torah sul Sinai. Servire Dio significa essere non suoi  schiavi ma suoi figli: Dio aveva chiamato il popolo d’Israele suo figlio, quando aveva mandato Mosè a dire a faraone: «Lascia andare mio figlio, perché mi serva». (4,22)

Il conflitto tra Dio e Faraone vede la sua ultima tappa nel racconto che abbiamo letto, che ha una fine cruenta, che probabilmente ci lascia perplessi, perché l’ultima scena ci mostra gli egiziani morti sulle rive del mare. (tra parentesi, questi versetti non erano inclusi nel testo proposto dal  nostro lezionario, penso proprio per questo motivo, ma ho voluto includerli non solo per evitare una censura, ma perché qui rinasce la fede di Israele, su cui torniamo tra poco).

Questo aspetto cruento del racconto tutti noi preferiremmo non ci fosse, preferiremmo che il mare si fosse chiuso un po’ prima e gli egiziani se ne fossero tornati a casa sconfitti e arrabbiati ma vivi. 

Un racconto ebraico dice che gli angeli del cielo, quando videro gli Israeliti andare via liberi e gli egiziani morti, si misero a fare festa, ma Dio li fermò, perché se era vero che si poteva gioire per la liberazione d’Israele, tuttavia erano suoi figli anche gli egiziani che erano morti.

Su questo possiamo solo fare una breve considerazione: la prima è che l’esercito egiziano e il suo capo Faraone rappresentano, come dicevamo, l’avversario di Dio, l’oppressore, coloro che non vogliono la liberà di Israele, ma la sua schiavitù e che forse avrebbero preferito uccidere gli Israeliti piuttosto che lasciarli andare via liberi, come accade purtroppo in tutte le guerre. La fine degli egiziani ci mostra che chi mette in atto violenza ed oppressione non ha spazio nel piano di Dio. 

E chi sono invece gli Israeliti che Dio libera dalla schiavitù? Israele è anche qui, come in tutto l’Antico Testamento, un popolo ondivago, che oscilla tra fede e sfiducia, tra l’affidamento a Dio e il lamento quando le cose non vanno come vorrebbero. Esattamente come siamo noi… 

Qui ci viene presentato un popolo che all’inizio del racconto esce “a testa alta” dall’Egitto, che cammina sicuro verso la libertà. Ma poco dopo, appena vedono gli egiziani che si avvicinano e si sentono perduti, si lamentano e protestano contro Mosè: 

«Allora i figli d’Israele ebbero una gran paura, gridarono al SIGNORE, e dissero a Mosè: «Mancavano forse tombe in Egitto, per portarci a morire nel deserto? […] era meglio per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto».

E in fondo hanno ragione, è meglio essere schiavi ma vivi, che essere morti. Ma la questione è proprio qui: Dio ovviamente non li vuole morti, ma non li vuole nemmeno schiavi, bensì vivi. Li vuole vivi e liberi. Liberi dalla schiavitù, liberi di servirlo, liberi di costruire un popolo che viva secondo giustizia, seguendo le norme della Torah, che gli darà sul Sinai.

Vivi e liberi. Questo è ciò che Dio vuole per il suo popolo, questo è ciò che Dio dona al suo popolo e che dona a noi nella resurrezione di Gesù. Vivi e liberi. A Dio non basta che noi siamo vivi, ci vuole liberi. Non gli basta che siamo vivi fuori, ci vuole vivi dentro, cioè liberi. 

Per essere libero, anzi per diventare libero – perché la Bibbia ci insegna che liberi non lo si è, ma lo si può solo diventare - Israele deve imparare a fidarsi. E spesso non ci riesce; possiamo proprio specchiarci in questo Israele che a un certo punto (e non solo qui, succederà di nuovo più volte nel deserto…!) preferirebbe tornare indietro, rinunciare alla libertà, si accontenterebbe di essere vivo, anche se schiavo…

È questo popolo qui che Dio libera dalla schiavitù d’Egitto. È questo popolo ondivago, incostante, che un attimo prima cammina a testa alta e un attimo dopo ha paura e si lamenta e si pente di essere partito dall’Egitto.

Siamo noi, con i nostri alti e i nostri bassi, con i nostri momenti di entusiasmo e i nostri momenti di paura e scoramento che Dio ha amati al punto di lasciare che Gesù venisse crocifisso, ed è per noi che lo ha risuscitato. 

La resurrezione di Cristo è per i discepoli e le discepole di Gesù allora, e per noi oggi, come il mare che si apre per Israele mentre esce dall’Egitto. Israele dubita e ciononostante Dio agisce, mantiene la promessa. Israele è libero. Vivo e libero. La strada è asciutta davanti a lui. 

Il racconto ci dice che quando vedono gli egiziani sconfitti, gli Israeliti credono in Dio e anche in Mosè. La fede di Israele, che aveva vacillato quando avevano visto gli egiziani che li stavano raggiungendo, ora rinasce, risorge.

Risorge grazie all’opera di Dio, che compie il miracolo della liberazione e dell’attraversamento del mare. Israele sperimenta che Dio è davvero il liberatore e può credere in lui e può anche fidarsi di colui che Dio ha scelto per guidare il suo popolo verso la libertà. Dio ha sconfitto gli egiziani, ora sono liberi. È una resurrezione.

È curioso che il racconto dica che il popolo crede anche in Mosè. È ovvio che Mosè non è Dio, che la fiducia in Mosè non è la stessa che si ha in Dio. E sappiamo anche che Mosè – insieme a Dio – sarà ancora  contestato altre volte, nel corso del cammino nel deserto. 

Senza dubbio Mosè ha un compito unico nella storia di Israele, ma mi sono chiesto che cosa può voler dire questa fiducia del popolo in Mosè che qui è messa in evidenza. Non ho la risposta esatta ovviamente, ma mi sono detto che forse ciascuno di noi per credere ha bisogno di qualcun altro che creda, non al nostro posto, ma con noi. 

E non uno, non un Mosè, ma tanti piccoli Mosè, tanti esempi di fede, tante sorelle e fratelli che in momenti diversi della nostra vita hanno fatto o detto qualcosa che ha aiutato noi a credere. Non è questione di avere dei capi o delle guide, ma di avere delle “fedi” che aiutano e sostengono la nostra fede. 

La fede di Mosè non era perfetta, nessuna fede è perfetta, conosciamo anche i suoi dubbi, e anche i suoi lamenti. Ma in quel momento ha avuto la fede di ascoltare il Signore e alzare il suo braccio perché si aprisse la strada nel mare. E credo che ciascuno di noi, se si guarda indietro o intorno, vede delle braccia alzate che hanno aperto e aprono la strada alla nostra fede.

Ma torniamo a Israele. Dove lo abbiamo lasciato? Lo abbiamo lasciato in mezzo al mare, che cammina però sulla terra asciutta.

La terra asciutta su cui camminano gli Israeliti è segno di salvezza. La stessa parola viene usata nel libro della Genesi quando Dio separa la terra dalle acque e nel libro di Giona, quando egli viene “sputato” dal pesce sulla terraferma. La terra asciutta è per Israele luogo di salvezza e segno della protezione di Dio. Sulla terra asciutta di Genesi l’essere umano potrà vivere, sulla terra asciutta Giona trova salvezza dalla morte.

Una bellissima immagine di liberazione, questa in cui Israele cammina sulla terra asciutta, con un muro di acqua a destra e un muro di acqua a sinistra. E gli egiziani alle spalle. 

Detta così sembra un po’ terribile… ma io la trovo molto efficace: gli egiziani non li raggiungeranno, finiranno sott’acqua e sott’acqua finiscono la schiavitù, la morte, la tirannia e la violenza che essi rappresentano.

E i muri d’acqua terranno su, perché è Dio che li tiene su. Israele deve solo guardare avanti e pensare a camminare sulla terra asciutta. 

Nella croce che abbiamo ricordato venerdì è morta la morte, è morta la schiavitù, è stata sconfitta la ferocia umana che ha portato Gesù sulla croce. E tutto ciò è avvenuto per noi. La resurrezione di Cristo è per noi la strada sulla terra asciutta che Dio ha costruito per noi. 

E sulla strada bisogna camminare, il cammino è lungo, ci sarà il deserto con tutto ciò che esso comporta, ci saranno altri lamenti, altri momenti di sfiducia ma anche altre braccia che aiuteranno la fede di Israele e la nostra. 

Cristo è risorto e in Cristo ci viene aperta una strada sulla terra asciutta. Siamo liberi di camminare, siamo stati liberati per camminare, per servire Dio e non i faraoni di ieri e di oggi, per servire Dio nel prossimo che a volte è sulla nostra stessa strada a volte la incrocia soltanto.

Cristo è risorto, il mare si è aperto e non ci sommergerà né ci impedirà di camminare. La terra sotto i nostri piedi è asciutta, il risorto ci precede, e come Mosè a Israele ci dice: “Non abbiate paura, guardate la salvezza che Dio ha operato per voi!”. Per questo Cristo è risorto, perché Dio ci vuole vivi, liberi e in cammino dietro a lui.


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