martedì 3 agosto 2021

Predicazione di domenica 1 agosto 2021 (Biella) su 1 Corinzi 6,12-20 a cura di Marco Gisola

 1 Corinzi 6,12-20

Ogni cosa mi è lecita, ma non ogni cosa è utile. Ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da nulla. Le vivande sono per il ventre, e il ventre è per le vivande; ma Dio distruggerà queste e quello. Il corpo però non è per la fornicazione, ma è per il Signore, e il Signore è per il corpo; Dio, come ha risuscitato il Signore, così risusciterà anche noi mediante la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo per farne membra di una prostituta? No di certo! Non sapete che chi si unisce alla prostituta è un corpo solo con lei? «Poiché», Dio dice, «i due diventeranno una sola carne». Ma chi si unisce al Signore è uno spirito solo con lui. Fuggite la fornicazione. Ogni altro peccato che l’uomo commetta, è fuori del corpo; ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo. Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo.


I nostri corpi sono membra di Cristo, il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, scrive l’apostolo Paolo. Paolo parte dal comportamento sessuale di alcuni Corinzi per toccare l’argomento di che cosa sia il nostro corpo nel rapporto con Dio e quindi nel rapporto con l’altro essere umano.

Questo brano è dunque molto di più che un testo che parla di morale; è un testo che parte da un comportamento concreto che arriva però a dire che cosa è il nostro corpo per Dio e che cosa quindi è per noi.

Paolo reagisce qui a una situazione di cui era stato informato riguardo ai comportamenti sessuali di alcuni Corinzi. Paolo usa qui il termine “fornicazione”, che è un termine generico che indica tutti i comportamenti sessuali disordinati, e poi parla espressamente della frequentazione di prostitute.

Dietro a questi comportamenti c’è un’idea ben precisa che alcuni membri di questa chiesa hanno e che secondo loro li autorizza a tenere questi comportamenti. Questa idea è sintetizzata nella frase “Ogni cosa mi è lecita”, che probabilmente sono parole dei Corinzi stessi che Paolo riprende.

Senz’altro Paolo aveva, anche a Corinto come altrove, predicato la libertà dei cristiani nei confronti della legge e probabilmente alcuni l’avevano interpretata nel senso che questa libertà era libertà di fare tutto ciò che si voleva: Tutto mi è lecito, quindi anche frequentare prostitute.

Ma dietro a questa lettura sbagliata della libertà, c’è una visione sbagliata di che cosa sia il corpo; i Corinzi pensavano alla “greca”: il corpo è mortale, dunque il corpo non conta, conta solo lo Spirito e quindi non importa come uso il mio corpo, perché tanto è destinato alla morte. Come uso il mio corpo non c’entra con Dio.

Dietro a questa idea di corpo c’è la visione di essere umano della antica cultura greca: l’essere umano è composto di anima e corpo, l’anima è nobile e (secondo alcuni filosofi) immortale, il corpo è mortale e ignobile. A questa visione avevano sovrapposto l’idea della libertà predicata da Paolo ed era venuto fuori il motto dei Corinzi: ogni cosa mi è lecita.

Paolo risponde cercando di fare chiarezza innanzitutto su questa visione dell’essere umano: secondo la visione ebraica - e poi cristiana - noi non abbiamo un corpo, ma noi siamo un corpo, a cui Dio ha dato la vita. Questo vuol dire il famoso racconto della creazione di Adamo.

Il corpo non è una cosa che “abbiamo” e che usiamo come se fosse un vestito e non facesse parte della nostra persona. Noi siamo il nostro corpo; la persona che siamo è corpo a cui Dio ha dato vita.

Il termine che spesso si traduce con la parola anima è la vita che il Signore ha dato al corpo che siamo, a cui ha dato non solo il respiro, ma anche la ragione, la coscienza, i sentimenti e mille altre cose.

Nei primi secoli di cristianesimo è invece rimasta questa idea che il corpo sia qualcosa di inferiore e materiale, ma si è imposta la morale opposta: si è passati dal “ogni cosa è lecita” alla demonizzazione del corpo e della sessualità, per cui nulla è lecito, se non per procreare.

Una morale esattamente opposta a quella dei Corinzi, ma che paradossalmente parte dalle stesse premesse: il corpo come qualcosa di negativo e dunque la sessualità come peccaminosa in se stessa. Che però non è l’idea biblica.

Paolo non condivide queste premesse, ma basandosi sulla Scrittura dell’Antico Testamento, ritiene che, come dicevamo, l’essere umano non ha un corpo, ma è un corpo, e il nostro corpo è dono di Dio e fa parte di quella buona creazione come tutto ciò che Dio ha creato.

Per questo Paolo può dire: “Il corpo però non è per la fornicazione, ma è per il Signore, e il Signore è per il corpo”.

La fornicazione non è la sessualità in genere ma la sessualità vissuta per il proprio esclusivo piacere, potremmo dire la sessualità vissuta in senso puramente fisico e basta. L’esempio della prostituzione al riguardo è chiaro: l’uomo che frequenta una prostituta cerca il proprio piacere e nient’altro, è persino disposto a pagarlo e per questo si ritiene padrone del corpo della donna che usa.

Oltre al fatto che, come ben sappiamo, oggi frequentare prostitute significa rendersi complici di una moderna tratta di schiave, di donne sfruttate e schiavizzate.

Il rapporto con una prostituta è un rapporto senza relazione non dico affettiva, ma neppure umana. C’è solo una relazione economica e quindi in fin dei conti di potere: chi ha i soldi e dunque il potere di comprare, compra anche le persone. Si compra un corpo, dunque si compra una persona per un tot di tempo e la si usa come se fosse un oggetto. Si rende oggetto la persona che si ha di fronte.

Paolo non condanna la sessualità tout-court, ma – per dirla con parole di oggi - la sessualità senza relazione, la sessualità come dominio e come sfruttamento economico.

Ma questo discorso morale, parte da un discorso spirituale: nel caso della prostituzione, non solo l’uomo sfrutta il corpo della donna ma - scrive Paolo “pecca [anche] contro il proprio corpo”, perché non riconosce che esso è dono di Dio e tempio del suo Spirito.

Questo comportamento, che per i corinzi è conseguenza della loro libertà, per Paolo è invece mancanza di libertà. Infatti scrive: “Ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da nulla”. In nome di una pretesa libertà si può diventare schiavi. I corinzi erano diventati schiavi dei loro corpi che avevano trasformato in banali strumenti di piacere, anziché per essere persone in relazione.

Infatti, ci relazioniamo con gli altri col nostro corpo. E non certo solo nella sessualità. Ce ne siamo resi conto in questo anno e mezzo di pandemia: abbiamo rinunciato alla stretta di mano, all’abbraccio, al “santo bacio” di cui parla Paolo stesso, tutti modi di relazionarci con il corpo, perché il corpo siamo noi, è la nostra persona.

Sembra davvero incomprensibile che in certe epoche del cristianesimo si sia arrivati a maltrattare il proprio corpo pensando di essere così più vicini a Dio, oppure a considerare il corpo come qualcosa di peccaminoso. Eppure il corpo è il tempio dello Spirito Santo, i nostri corpi sono membra di Cristo.

I nostri corpi siamo noi e sono un dono che Dio ci ha dato anche per relazionarci, un dono che va rispettato e non sfruttato, e di nuovo non solo sessualmente, ma che non va sfruttato in nessun modo, come in fondo sono sfruttati i corpi di lavoratori schiavi, i cui corpi non sono più persone ma strumenti questa volta di lavoro, sfruttati per fare lavori pesanti fino allo sfinimento, in casi drammatici fino alla morte come quel giovane morto a fine giugno lavorando nei campi sotto il sole di mezzogiorno.

Paolo arriva a dire “Glorificate dunque Dio nel vostro corpo”. Il nostro corpo è un luogo di culto, nel e con il nostro corpo glorifichiamo Dio perché è con il nostro corpo (che comprende anche il cervello dunque la nostra intelligenza) che serviamo il nostro prossimo e serviamo Dio nel prossimo.

Questo esclude lo sfruttamento del corpo altrui ed esclude anche che il nostro corpo diventi un idolo. Perché il nostro corpo può anche diventare un idolo, c’è gente che fa del proprio corpo non un luogo di culto come dice Paolo, ma un oggetto di culto, alla ricerca di una bellezza o di una forza che la pubblicità ci sbatte in faccia ogni giorno.

Una forma di idolatria, attraverso cui glorifichiamo noi stessi e non Dio. E che a volte getta nello sconforto chi non raggiunge la bellezza o la forza che desidera. Il mito della bellezza, della forza, della giovinezza o del voler sembrare giovani anche quando non lo si è…

E invece, questo corpo - non che abbiamo, ma che siamo - è fragile, è debole, ha dei momenti della vita in cui è più bello e più forte e momenti in cui manifesta tutta la propria debolezza e fragilità, sotto i colpi della fatica, delle malattie, del tempo che passa.

Eppure è sempre dono di Dio, è sempre tempio dello Spirito Santo, è sempre il luogo del culto che Dio ci invita a celebrare non la domenica ma ogni giorno nel servizio, che è il contrario del dominio di cui parlavamo prima e che Dio non vuole. Il servizio al prossimo cui siamo chiamati è relazione, e tutte le relazioni implicano il nostro corpo, anche in tempo di pandemia, anche quando non ci possiamo toccare.

Guardare il prossimo negli occhi mentre ci parla, portare con le nostre mani un peso che una persona fa fatica a portare – magari perché ha portato pesi tutta la vita, parlare al telefono con una persona sola o distante, scrivere una lettera o una mail, partecipare a una manifestazione… tutte azioni che facciamo con il corpo.

Tutto è corpo, siamo corpo, dono di Dio e tempio dello Spirito. Non solo il corpo ci è donato ma è abitato dallo Spirito e diviene luogo di culto, di culto quotidiano, fatto di preghiera e di servizio, di momenti in cui il corpo è fermo per ascoltare la parola di Dio e per pregarlo e momenti in cui è in movimento per andare incontro al prossimo per servirlo.

Dio non ha solo dato la vita a questo corpo che siamo, ha anche riscattato il nostro intero essere: “non appartenete a voi stessi – scrive Paolo - Poiché siete stati comprati a caro prezzo”.

Appartenere a Cristo significa vivere nella fiducia, nella gioia e nel servizio. E tentare di glorificare Dio nel nostro corpo, nei nostri occhi che guardano il prossimo, nelle nostre mani che lo servono, nei nostri muscoli che lavorano per questo mondo, nella nostra mente che elabora pensieri e riflessioni, nella nostra bocca che è chiamata a ridire la parola dell’evangelo.

Appartenere a Cristo significa vivere nella gratitudine per il dono del corpo che siamo e per l'opportunità che ci dà di viverlo alla sua gloria.

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