domenica 8 agosto 2021

Predicazione di domenica 8 agosto 2021 su Esodo 19,1-8 a cura di Marco Gisola

 Esodo 19,1-8

Nel primo giorno del terzo mese, da quando furono usciti dal paese d’Egitto, i figli d’Israele giunsero al deserto del Sinai. Partiti da Refidim, giunseroal deserto del Sinai e si accamparono nel deserto; qui Israele si accampò di fronte al monte. Mosè salì verso Dio e il SIGNORE lo chiamò dal monte dicendo: «Parla così alla casa di Giacobbe e annuncia questo ai figli d’Israele: “Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d’aquila e vi ho condotti a me. Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa”. Queste sono le parole che dirai ai figli d’Israele». Allora Mosè venne, chiamò gli anziani del popolo ed espose loro tutte queste parole che il SIGNORE gli aveva ordinato di dire. Tutto il popolo rispose concordemente e disse: «Noi faremo tutto quello che il SIGNORE ha detto». E Mosè riferì al SIGNORE le parole del popolo. 

 



Un patto di grazia. Così potremmo chiamare ciò che Dio offre al suo popolo Israele che è appena arrivato ai piedi del monte Sinai. Patto di grazia mi sembra il modo in cui potremmo definire la relazione che c’è tra Dio e Israele, di cui ci parla questo brano. E allo stesso modo potremmo definire anche la relazione che c’è tra Dio e noi: un patto di grazia.

Il capitolo 19 dell’Esodo è il capitolo che racconta l’arrivo del popolo di Israele ai piedi del monte Sinai. Israele è stato liberato dalla schiavitù in cui era tenuto in Egitto e ha attraversato il Mar Rosso circa due mesi prima. In questo luogo ci starà per undici mesi, il tempo in cui Dio gli darà tutta la Torah. La permanenza al Sinai occupa infatti tutto il resto del libro dell’Esodo, tutto il libro del Levitico e parte del libro dei Numeri. Questo capitolo dunque precede il dono dei dieci comandamenti e di tutto il resto della Torah. Prima che Dio inizi a parlare, viene solennemente proclamato il patto e Israele altrettanto solennemente lo accetta. Un patto – alcuni usano il termine alleanza – di grazia. Che cosa vuol dire “patto di grazia”?

Partiamo dalla parola grazia, che nel nostro testo non c’è, c’è solo la parola “patto”. Ho usato la parola grazia perché mi sembra quella che meglio definisce il patto tra Dio e Israele, per diverse ragioni. La prima ragione per cui si tratta di un patto di grazia è che è Dio che ha scelto Israele per stringere un patto con lui e non viceversa. È Dio che ha scelto Israele e non Israele che ha scelto Dio. E Dio ha scelto Israele non solo ora, bensì molto tempo prima, quando ancora non era un popolo, lo ha scelto quando ha chiamato Abramo e gli ha promesso che da lui sarebbe nata una grande discendenza che sarebbe divenuta un popolo. A partire da Abramo, Dio ha scelto – nel linguaggio biblico si direbbe ha eletto – il popolo d’Israele.

Questa relazione, che si concretizza qui nel patto del Sinai – è dunque un dono. È Dio che ha cercato Israele, ma forse potremmo quasi dire che Dio ha dato vita al popolo di Israele, attraverso la nascita di Isacco da Abramo e Sara che non potevano avere figli. Fin dall’inizio, fin da Abramo e Sara, in questa relazione tutto è dono, dunque tutto è grazia, patto di grazia.

La seconda ragione è che questo patto è fondato sull’opera di liberazione di Dio, e la liberazione è stata un atto di grazia di Dio, nel senso che la libertà che Israele riceve, venendo liberato dall’Egitto, è anch’essa un dono di Dio. Sia l’esistenza di Israele, sia la liberazione di Israele dalla schiavitù sono doni.

Il Dio che vuole stringere un patto con il popolo d’Israele è il Dio che prima ha liberato Israele dalla schiavitù. Il Dio che propone il patto a Israele è il Dio liberatore, il Dio a cui Israele deve la sua libertà. Il patto è fondato sulla liberazione che Dio ha operato e sulla libertà che ha donato al suo popolo e la Torah è quella che potremmo definire la carta costituzionale del patto. Il patto è fondato sulla liberazione che Dio ha operato e dunque sulla sua grazia.

La terza ragione è che – col senno di poi - noi sappiamo che questo patto sarà infranto tantissime volte da Israele e invece mantenuto da Dio, che rimane fedele al suo patto nonostante l’infedeltà di Israele. Per grazia dunque Dio fa un patto con Israele, per grazia lo mantiene. È una decisione di Dio, un’iniziativa di Dio, che agisce per amore, ma è un patto appunto e non un’imposizione, e quindi Dio vuole la partecipazione attiva di Israele nel patto. La parola “patto” indica che Dio vuole una relazione con Israele, ovviamente una relazione non paritaria, una relazione tra Dio e le sue creature, tra il Dio che ha eletto Israele e Israele che è stato eletto, tra Dio che ha liberato Israele dalla schiavitù e il popolo che è stato liberato, dunque tra il liberatore e i liberati.

Dio vuole fare un patto con Israele perché gli Israeliti sono liberi e non più schiavi. Agli schiavi si impone, con persone libere si fa un patto. È un patto tra Dio che “ha fatto” qualcosa per il suo popolo e un popolo che è chiamato a fare: “Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d’aquila e vi ho condotti a me”. Avete visto quello che ho fatto per voi, dice Dio al suo popolo, sapete chi sono e che cosa ho fatto, non sono un Dio sconosciuto, anzi, sono il Dio che vi accompagna fin dai tempi dei vostri padri. Dio usa un’immagine che torna altre volte nella Bibbia, l’immagine bellissima e tenerissima della mamma aquila che porta i suoi piccoli sulle sue ali, li porta in salvo; così Dio ha portato il suo popolo in salvo dalla schiavitù verso la libertà.

E che cosa è chiamato a fare il popolo? “Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia; e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa”. Se ubbidite alla mia voce e osservate il mio patto. Qui Dio parla dei comandamenti che sta per donare, e non solo dei dieci comandamenti, bensì di tutta la Torah. Ma i comandamenti sono ben più di una legge, sappiamo che Torah significa insegnamento, ed è significativo che qui Dio parla della sua voce. Gli Israeliti sono chiamati a ubbidire alla sua voce, e la voce implica un Dio che parla, una relazione, implica ciò che Dio ha detto, ciò che Dio sta per dire e ciò che Dio dirà. Non solo quello che dirà a Mosè, ma tutto quello che dirà anche dopo, tutto quello che dirà attraverso i profeti e altri testimoni. Osservare il patto è molto di più che seguire alcune regole e prescrizioni, è ascoltare una voce, stare in una relazione.

Se fa questo, se ascolta questa voce, Israele è il “tesoro particolare” di Dio, è “un regno di sacerdoti, una nazione santa”. Queste parole non a caso sono state riprese nel Nuovo Testamento nella 1 lettera di Pietro (2,9) e applicate ai cristiani: “voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato”. Ma non è un merito o una virtù di Israele o dei cristiani quello di essere “un tesoro particolare […], un regno di sacerdoti, una nazione santa”; è il frutto della elezione di Dio, di cui parlavamo poco fa.

Perché Dio ha scelto Israele? Quando si parla della elezione di Israele non dobbiamo dimenticare quello che troviamo in Deuteronomio 7,6ss: Infatti tu sei un popolo consacrato al SIGNORE tuo Dio. Il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo tesoro particolare fra tutti i popoli che sono sulla faccia della terra. Il SIGNORE si è affezionato a voi e vi ha scelti, non perché foste più numerosi di tutti gli altri popoli, anzi siete meno numerosi di ogni altro popolo, ma perché il SIGNORE vi ama..

Dio ha scelto, ed è di nuovo una scelta di grazia e non di merito: Israele non è un popolo grande e forte, ma piccolo e debole; la scelta di Dio è una scelta fondata solo sull’amore, solo sulla grazia, non sulle qualità di Israele. Dio lo ha scelto tra gli altri popoli con uno scopo ben preciso: quello di essere una nazione santa e un regno di sacerdoti. Una bella interpretazione di che cosa questo voglia dire l’ho letta in un commento che dice che essere un regno di sacerdoti significa essere “una nazione che serve anziché una nazione che comanda”.

Israele esiste per gli altri, in funzione delle altre nazioni, come era stato detto già ad Abramo: “in te saranno benedette tutte le famiglie della terra” (Genesi 12,3). Se Israele ascolta la voce di Dio e osserva il patto sarà questo, sarà ciò per cui Dio lo ha scelto. Essere scelti non è un premio, è un compito; un compito che inizia con l’ascoltare la voce di Dio. “Noi faremo tutto quello che il SIGNORE ha detto”, risponde il popolo.

Fare e ascoltare, ascoltare e fare, ascoltare la voce di Dio per imparare a fare la sua volontà. Questo è il compito di Israele che Dio lega a sé in questo patto di grazia e questo è il nostro compito, di noi cristiani che Dio lega a sé in Cristo in un medesimo patto di grazia.

Siamo inseriti anche noi, in Cristo, in questo patto di grazia e ci rimaniamo ascoltando la voce di Dio e facendo ciò che essa ci chiede. Questa è la nostra vocazione, ma è prima di tutto ciò che dà senso alla nostra vira, è la nostra speranza e la nostra gioia.

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