domenica 15 agosto 2021

Predicazione di domenica 15 agosto 2021 su Efesini 2,4-10 a cura di Marco Gisola

 Efesini 2,4-10

Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, per mostrare nei tempi futuri l'immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù.

Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.



1. Dalla morte alla vita. Questa è l’immagine che l’autore della lettera agli Efesini – che non è Paolo ma un suo discepolo – usa per descrivere l’evento della salvezza: noi eravamo morti nei peccati, Dio ci ha vivificati, con Cristo, risuscitati con lui e con lui fatti sedere nel cielo in Gesù Cristo.

Noi morti, Dio vivifica, risuscita, fa sedere in cielo. Noi non facciamo nulla, come nulla possono fare i morti; Dio fa tutto, l’unico che può vivificare e risuscitare. E avete notato che per tre volte chi ha scritto questa lettera ha usato l’espressione “con Cristo”: vivificati con Cristo, risuscitati con lui, fatti sedere in cielo con lui.

Anzi in realtà per essere precisi, nel testo greco questo “con” fa parte del verbo: in italiano suona male, ma la traduzione letterale sarebbe: Dio ci ha con-vivificati, con-risuscitati, fatti con-sedere in cielo… E questo per sottolineare che ha fatto tutto ciò per noi vivificando, risuscitando, facendo sedere in cielo Gesù stesso duemila anni fa. Lo ha fatto allora per noi e coinvolgendoci già allora in quello che faceva, prima che noi esistessimo.

E poi aggiunge ancora “in Cristo”, per sottolineare una volta di più che tutto ciò che Dio ha fatto, tutto ciò che Dio ha fatto lo ha fatto in e per mezzo di Gesù Cristo.

Dalla morte alla vita: come Gesù è stato risuscitato ed è passato dalla morte alla vita e dalla tomba al cielo, dove siede alla destra del Padre, come dice il Credo, anche noi in Cristo siamo passati dalla morte alla vita.

Dalla morte alla vita: questo è il primo modo, che più radicale non potrebbe essere, in cui la nostra salvezza viene descritta in questo brano.

L’apostolo si rivolge a persone che in gran parte, prima di conoscere Gesù Cristo erano pagane, per questo parla in modo così netto di un prima e di un dopo. Ma questo prima e questo dopo corrispondono a una vita senza Gesù Cristo e a una vita con Gesù Cristo.

Prima e dopo corrispondono a senza e con Cristo. E questo vale per ognuno di noi ogni giorno: senza Gesù Cristo siamo come morti, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo siamo vivificati e risuscitati con lui. Dalla morte alla vita, dalla disperazione alla speranza, dalla tristezza alla gioia.

Addirittura arriva a dire che in Cristo sediamo già nel cielo con lui. Non solo dalla morte alla vita, ma addirittura dalla morte al cielo! Nella fede, siamo già nel cielo, con Dio, nel senso che questo futuro è già stabilito ed è promesso.

Questo ha un implicazione per la nostra fede: il primo passo della fede consiste nel riconoscersi “morti”, cioè confessare che non possiamo fare nulla per la nostra salvezza e che solo Dio ci può vivificare e risuscitare con Cristo. Senza Cristo siamo morti, con Cristo e in Cristo siamo vivi, perché vivificati da Dio stesso attraverso di lui.


2. Una seconda affermazione che fa l’apostolo è quella tipica di Paolo sulla salvezza per grazia: Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti.

Salvati – Paolo dice “giustificati” – per grazia mediante la fede. È dono di Dio, al 100 %, ha fatto tutto Dio in Cristo, come l’immagine del passaggio dalla morte alla vita esprimeva chiaramente. Se anche solo lo 0,00qualcosa % dipendesse da noi, non sarebbe più pura grazia.

E infatti nessuno se ne può vantare. Il vanto è un tema ricorrente nelle lettere di Paolo ed è un tema ricorrente nei dialoghi e nelle polemiche di Gesù con i farisei. Il fariseo della parabola che abbiamo letto (Luca 18,9-14) si vanta e dice: io, io, io…

L’apostolo risponde: Dio, Dio, Dio; soltanto Dio, in Cristo e per mezzo di Cristo. Il vanto vuol dire pensare che si ha qualcosa da offrire a Dio, anziché aver solo da ricevere. Il vanto è pensare di avere da offrire a Dio quello che si fa e quello che si è, avere da offrire a Dio il proprio impegno, la propria buona volontà, la propria rettitudine.

Tutte cose belle e buone, da cercare e perseguire, che però non sono qualcosa che noi possiamo offrire a Dio, ma è ciò che possiamo essere e fare perché Dio ha offerto tutto a noi, fino ad arrivare ad offrire suo figlio per noi.

Non abbiamo da offrire a Dio la nostra buona volontà, il nostro impegno, la nostra rettitudine, semplicemente perché se mai abbiamo un po’ di buona volontà, un po’ di impegno e un po’ di rettitudine, anche questi sono doni, doni sempre in conflitto con la nostra umana cattiva volontà, indifferenza e malignità.

Affinché nessuno se ne vanti”, perché il vanto non vede e non riconosce il dono di Dio e non riconosce che quello che facciamo di buono è dono di Dio.


3. Questo è ciò che esprime l’apostolo quando scrive che noi stessi siamo opera di Dio: siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.

Siamo noi opera sua, e qui non si riferisce alla creazione, ma alla redenzione, perché in Cristo siamo portati dalla morte alla vita e sono di Dio anche le opere che ha preparate per noi affinché le pratichiamo.

E questo è il terzo punto importante di questo brano: le opere, il tema che è stato al centro del dibattito e delle polemiche tra cattolici e protestanti fin dal ‘500.

Nessuno dei riformatori ha mai detto che NON bisogna fare buone opere, perché sarebbe stato come dire che non bisogna fare la volontà di Dio, il che sarebbe chiaramente assurdo! Ma tutti i riformatori hanno detto che non ci si può guadagnare la salvezza con le opere, perché essa o è dono di Dio – come dice il testo di oggi – oppure non è.

Certo che bisogna fare buone opere, certo che bisogna fare la volontà di Dio, ma non per guadagnarci qualcosa, ma semplicemente perché Dio lo vuole e per manifestargli la nostra gratitudine. Il catechismo di Heidelberg del 1563 in una delle sue domande (n. 86) si chiede proprio questo: perché, essendo salvati per grazia, dobbiamo fare buone opere?

E la risposta è innanzitutto che possiamo fare buone opere perché siamo non solo “acquistati [da Cristo] con il suo sangue”, cioè salvati, ma Dio ci “rinnova anche attraverso il suo Spirito”.

Per dirla con l’immagine della lettera agli Efesini, possiamo fare buone opere perché non siamo più morti, ma siamo vivi, perché vivificati in Cristo, per grazia.

E dopo aver detto che possiamo fare buone opere, dice che dobbiamo farle, e ne dà tre ragioni: dobbiamo farle innanzitutto “affinché con la nostra intera vita ci mostriamo grati a Dio” per ciò che ha fatto per noi in Cristo, poi per “essere sicuri della nostra fede vedendone i frutti”, e infine come testimonianza verso il prossimo.

Dunque la gratitudine è la prima ragione, il riconoscimento di aver ricevuto tutto ciò che siamo in Cristo; per rispondere e corrispondere concretamente all’amore ricevuto.

E poi per essere sicuri della nostra fede, e trovo bellissimo questo pensiero: se alla fede che dico di avere non corrispondono opere, la fede non c’è. Se dico che ti amo e poi ti prendo a schiaffi, l’amore non c’è, è una bugia. Lo stesso per la fede: se non viene tradotta in opere di amore e di servizio semplicemente non c’è.

E infine come testimonianza; le nostre migliori parole non saranno ascoltate, se non sono accompagnate dai fatti, cioè dall’amore per il prossimo e persino per il nemico. Annuncio dell’evangelo e pratica dell’evangelo vanno insieme.

Ma senza alcun vanto; però con molta gioia e molta speranza, segni della nostra gratitudine; perché siamo morti vivificati, morti risuscitati con e in Cristo. Dimenticare che senza l’evangelo saremmo morti sarebbe una porta spalancata al vanto.

Ricordarselo è invece una porta spalancata all’umiltà, alla gratitudine e alla fiducia.

Perché tutto ciò che siamo, tutto ciò che crediamo e tutto ciò che facciamo è opera sua, opera di Dio che è “ricco in misericordia” e ci ha vivificati con Cristo.

In lui, per grazia, siamo vivi, per fare le opere buone che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.

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