UNA VIA INTITOLATA A TULLIO VINAY
Domenica 2 agosto verrà intitolata una via della Borgata Ghigo del Comune di Prali (Torino), in Val Germanasca, a Tullio Vinay, nella ricorrenza del centenario della nascita. Pastore della chiesa valdese, durante il secondo conflitto mondiale a Firenze si è prodigato per la salvaguardia di ebrei, ricevendo nel 1982 dal Governo israeliano il titolo di “Giusto della nazione”. La sua persona è legata ad alcune esperienze fondamentali delle chiese evangeliche nel dopoguerra: la fondazione del Centro ecumenico di Agape a Prali, del Servizio cristiano a Riesi (Caltanissetta) e l'impegno contro la guerra in Vietnam e contro la tortura. Già Firenze lo ha ricordato nei mesi scorsi assegnando alla memoria il “Fiorino d'oro”.
"Fiorino d'oro" alla memoria al pastore Tullio Vinay
Uno spazio simile a quello che per circa due anni ospitò Anna Frank e i suoi familiari ad Amsterdam fu allestito a Firenze, dal pastore valdese Tullio Vinay e consentì a diverse decine di ebrei di salvarsi dai rastrellamenti e dalle deportazioni. Lo ha raccontato Valdo Spini, presidente della Fondazione Circolo Rosselli, sulla base di alcuni particolari venuti alla luce grazie a un libro che la figlia di Vinay, Paola, sta ultimando.
Spini ha proposto al Comune di Firenze il conferimento del Fiorino d'oro alla memoria a Tullio Vinay. "E' giusto ricordarlo alla vigilia della Giornata della Memoria, dedicata proprio al ricordo della terribile tragedia dell'olocausto - ha spiegato Spini - ed è giusto che ora anche Firenze renda a Vinay il tributo che merita. Per questo propongo ufficialmente che Palazzo Vecchio tributi un fiorino d'oro alla memoria a Lui e agli altri fiorentini cui è stato dedicato un albero nel viale dei Giusti a Gerusalemme". Il rifugio era stato realizzato in una intercapedine al secondo piano dell'edificio di via Manzoni che allora ospitava la chiesa valdese, poi trasferita in Via Micheli.
L'impegno di Vinay a favore degli ebrei era già noto, tanto che Israele gli conferì nel 1982 il titolo di "Giusto della nazione".
Riportiamo il discorso che il pastore Vinay pronunciò in quella circostanza:
Signor Ambasciatore,
ricevo questa medaglia non come segno di riconoscenza, ne tanto meno come onorificenza perché non ho fatto che il mio dovere di uomo. La ricevo però come segno di affetto da parte di quelli che ho amato. Di affetto tutti ne abbiamo bisogno perché l'amore è il vero motore della vita. Son passati 40 anni; ho dimenticato i nomi e i volti di quelle trenta o quaranta o più persone che ho aiutate a scampare dai campi di annientamento, ma esse hanno lasciato, come l'intero olocausto degli ebrei, un segno profondo, indelebile, per sempre, nella mia vita. Tant'è che proprio in conseguenza di quelle sofferenze, e delle altre della IIa. guerra mondiale, abbiamo fondato fin dal 1947 il Centro di Agape che ha voluto innanzitutto essere un luogo di riconciliazione fra i popoli, prima nemici, per la costruzione di un mondo nuovo sul fondamento dell'amore di Dio. Questa vocazione l'ho trovata nei Profeti di Israele e in Cristo. La mia politica, anche ora al Senato, vuoi essere mossa dall'amore per gli altri ed essere perciò soprattutto difesa dei deboli e degli oppressi.
In questa occasione, perciò, Signor Ambasciatore, mi trova in un campo diverso. Per la stessa ragione per la quale sono stato, anche con gravi rischi, vicino alle sofferenze degli Ebrei, non posso ignorare, ora, quelle dei Palestinesi. Non si stupisca. Sempre dalla parte di Abele. E spero tanto che quelli che ho aiutato a salvarsi mi comprendano, tanto più che non ho mai colto sulla loro bocca una parola di rivalsa. Mi spiego. Si può comprendere che dopo 2000 anni di dispersione e di persecuzioni, gli Ebrei abbiano desiderato avere una patria, ma per averla hanno dovuto toglierla agli altri. Hanno fatto pagare agli Arabi le colpe degli Europei e degli Americani. Arriverei a comprendere questo se ne fosse seguita una politica di comprensione e di aiuto agli espropriati, ai vostri fratelli conterranei, una politica di buon vicinato, anche se rifiutati. Non c'è avversario che non possa essere vinto dall'amore. Israele ha fatto del deserto un giardino di Eden, perché non aiutare i Palestinesi a fare altrettanto affinchè il minor territorio fosse compensato dalla maggior qualità d'esso? Questa non è ingenuità, è semplicemente una politica diversa da quella abituale che manda in rovina il mondo. Israele, invece, ha continuato con le annessioni, con repressioni sempre più crudeli. Con rappresaglie in cui sono stati coinvolti anche le donne e i bambini. È con profondo dolore che pronunzio queste parole proprio per l'amore che ho per il vostro popolo, amore che è sorto non soltanto quando eravate perseguitati e distrutti, ma anche prima. Ma per onestà verso voi e verso me, dovevo dirle.
Ma voglio volgere lo sguardo al futuro, malgrado tutto questo. In un giorno del 1943, un maestro ebreo che si era rifugiato da me, mi chiese una parola di conforto. Spesso succedeva così in casi analoghi. Presi l'Antico Testamento e lessi un passo del profeta Osea, il profeta dell'amore. Il passo suona così: «Dice l'Eterno: "II mio cuore si commuove tutto dentro di me. Io non sfogherò l'ardente mia ira, non distruggerò Efraim di nuovo, perché son Dio e non un uomo"». A questo punto il maestro mi interruppe: «Ora comprendo perché ci perseguitano»! Ed io: «Perché dice questo?» - «Perché nessuno ha mai dato un simile messaggio!». Aveva capito l'annunzio della grazia incluso nel testo, l'annunzio dell'amore come vocazione d'Israele. Sì, anche io riconosco a Israele questa grande vocazione, la vocazione di Israele, non la politica di Begin. L'Iddio di Abramo, d'Isacco, di Giacobbe è anche l'Iddio di Gesù Cristo: l'Iddio che fa grazia, l'Iddio che ama, che ci ama.
Attendiamo che Israele riconosca nella politica quotidiana questa sua vera vocazione per darne un segno alle altre nazioni, le quali pure devono «convertirsi dalle loro vie malvage», per usare ancora un'espressione dell'A.T. Attendiamo questo da Israele, ma ci vuole prima un capovolgimento completo della sua politica verso i suoi vicini. Sì, Israele antesignano di un mondo nuovo, non ripetitore delle barbarie delle altre nazioni.
Su questa linea di attesa avrei molto da dire. Mi fermo qui. Questo segno di affetto, lo chiamo così, 40 anni fa non avrebbe avuto bisogno di questo chiarimento. Ora era necessario perché non si pensi, in alcun modo, che dimentico gli oppressi, per convenienza o anche per semplice cortesia.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 28 gennaio 2009
e da Riforma del 16 gennaio 2009
da www.chiesavaldese.org
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